Ue-Russia, contro legge e logica

di Fabrizio Casari

Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica,...
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Rafah e ONU, Israele al bivio

di Mario Lombardo

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato lunedì per la prima volta dall’inizio dell’aggressione israeliana una risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Il provvedimento è passato con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti, che hanno rinunciato al potere di veto, provocando una durissima reazione da parte del regime israeliano. Per tutta risposta, Netanyahu ha annullato la visita a Washington di una delegazione che avrebbe dovuto discutere con la Casa Bianca la possibile operazione militare nella città di Rafah, al confine tra la striscia e l’Egitto. Questa iniziativa, dalle implicazioni potenzialmente devastanti, resta al centro dell’attenzione della...
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di Michele Paris

L’incerto processo di pacificazione in corso tra gli Stati Uniti e gli insorti talebani in Afghanistan sembra aver fatto un significativo passo avanti in questi giorni con l’annuncio della prossima apertura di un ufficio politico che rappresenterà gli esponenti del regime rovesciato nell’autunno del 2001. Secondo fonti anonime citate dal quotidiano britannico The Times, il quartier generale talebano verrà aperto in Qatar entro la fine dell’anno.

Questa decisione viene considerata una misura di “confidence-building” dai diplomatici coinvolti nelle negoziazioni con i Talebani, in vista del lancio a breve di colloqui di pace formali tra questi ultimi, gli Stati Uniti e il governo di Kabul. La concessione di un ufficio di questo genere è una svolta importante, in quanto implica il riconoscimento della legittimità politica dei Talebani per la prima volta da quasi dieci anni a questa parte.

Negli ultimi mesi, sui media occidentali erano apparsi numerosi resoconti di incontri diplomatici tra americani, inglesi e rappresentanti dei Talebani. In particolare, alcuni giornali avevano segnalato almeno tre incontri in località segrete di Germania e Qatar alla presenza di Tayyab Agha, definito uno dei più stretti consiglieri del Mullah Omar. Allo stesso scopo, USA e Gran Bretagna da qualche tempo si stanno adoperando presso le Nazioni Unite per depennare alcuni esponenti talebani dalla lista degli individui sottoposti a sanzioni internazionali.

L’ufficio dei Talebani in Qatar, secondo quanto riportato dal Times, non dovrà essere considerato come un’ambasciata o un consolato, bensì un quartier generale che permetterà loro di essere trattati come un “partito politico”. La rappresentanza talebana non potrà comunque svolgere attività di propaganda né raccogliere fondi per la propria causa.

La concessione di un ufficio di questo genere lontano dal teatro di guerra risponderebbe ad una richiesta specifica degli americani per evitare l’influenza del Pakistan sui negoziati. È probabile, d’altra parte, che gli stessi Talebani cerchino di avere le mani libere dai servizi segreti e dall’esercito pakistano prima di intraprendere un percorso di pacificazione con le forze occupanti.

L’esclusione del Pakistan dai colloqui di pace con i talebani è precisamente uno degli obiettivi principali degli Stati Uniti, così da evitare l’utilizzo degli “studenti del Corano” da parte di Islamabad per esercitare la propria influenza su Kabul. Sembra improbabile, tuttavia, che il Pakistan resterà a guardare un eventuale accordo a proprie spese tra Washington, il governo Karzai e i Talebani.

Già lo scorso anno, infatti, le autorità pakistane avevano mostrato la propria irritazione nei confronti di una simile ipotesi, quando arrestarono il Mullah Abdul Ghani Baradar e altri esponenti talebani di primo piano, con ogni probabilità perché coinvolti in colloqui di pace con gli americani a loro insaputa.

Gli Stati Uniti stanno tenendo un atteggiamento estremamente cauto nel loro approccio verso i Talebani, non solo per timore di possibili reazioni del Pakistan, ma anche per alcuni precedenti imbarazzanti. Lo scorso anno, ad esempio, gli americani avevano propagandato promettenti colloqui con un membro della dirigenza talebana, successivamente rivelatosi un impostore. Anche i Talebani, da parte loro, preferiscono mantenere un certo riserbo, continuando a sostenere pubblicamente che la  condizione imprescindibile per l’avvio di negoziati sia il ritiro di tutte le truppe straniere dall’Afghanistan.

La riconciliazione con i Talebani è un obiettivo perseguito da tempo anche dal fragile governo afgano del presidente Hamid Karzai, il quale ha lanciato, sia pure senza troppo successo, un Consiglio di Pace per facilitare il reinserimento dei membri del precedente regime nella vita politica afgana. Questo processo incontra però non pochi ostacoli, dal momento che nell’élite politica del suo paese sono in molti ad opporsi ad un reintegro degli odiati Talebani a Kabul.

Le aperture americane verso i Talebani rispondono in sostanza alle crescenti pressioni interne per porre fine in qualche modo ad un conflitto decennale sempre più impopolare. Il deterioramento delle condizioni di sicurezza in Afghanistan, il crescente costo della guerra e l’annunciato disimpegno di molti alleati sono poi un ulteriore incentivo per la ricerca di una soluzione negoziata.

In ogni caso, a ben vedere, la ricerca di colloqui con i Talebani da parte degli americani sembra smentire le ragioni stesse della guerra lanciata contro l’Afghanistan all’indomani dell’attacco al World Trade Center. Quell’invasione fu accompagnata da annunci che dipingevano il regime integralista di Kabul a tinte fosche, facendone un tutt’uno con i terroristi affiliati ad Al-Qaeda responsabili degli attentati dell’11 settembre.

La concessione di un ufficio di rappresentanza in un paese alleato di Washington e, più in generale, l’avvio di colloqui di pace con esponenti di un movimento detestato dalla gran parte della popolazione afgana almeno quanto lo sono gli invasori americani, rivela così ancora una volta i veri motivi della guerra lanciata dall’amministrazione Bush e fatta propria da Obama.

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