Assange, le “non garanzie” USA

di Michele Paris

Nelle scorse settimane si erano intensificate le voci di una possibile risoluzione del caso di Julian Assange, con il presidente americano Biden che aveva anche ammesso di valutare la richiesta del governo australiano di lasciare cadere definitivamente le accuse contro il fondatore di WikiLeaks. Per il momento, il governo di Washington sembra essere però deciso a continuare la battaglia per...
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Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove. La premessa necessaria a qualsiasi commento della vicenda è la legittimità dell’iniziativa di Teheran. Come hanno sostenuto i leader iraniani, la ritorsione è giustificata in base all’articolo 51 della Carta delle...
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di Michele Paris

Un articolo pubblicato dal Washington Post ha ricordato qualche giorno fa come l’amministrazione Obama stia continuando a fare affidamento sulle cosiddette “extraordinary renditions” nella guerra al terrore, nonostante le ripetute assicurazioni pubbliche da parte della Casa Bianca di avere ristabilito la legalità dopo gli eccessi che avevano caratterizzato i due mandati di George W. Bush.

Il quotidiano della capitale americana ha fatto riferimento alla vicenda di tre cittadini europei di origine somala (due svedesi e uno britannico) apparsi il 21 dicembre scorso in un’aula di tribunale di Brooklyn dopo essere rimasti segretamente sotto custodia delle autorità statunitensi per almeno quattro mesi.

Dal momento che i documenti relativi ai tre arrestati rimangono classificati, le circostanze della loro cattura sono tutt’altro che chiare. Tuttavia, come ha scritto il Washington Post, una dichiarazione ufficiale dell’FBI e del procuratore federale del distretto orientale di New York ha fatto sapere che i tre accusati sono stati “fermati in Africa dalle autorità locali mentre si stavano recando in Yemen” ai primi di agosto. I tre sarebbero sostenitori o farebbero parte di Al-Shabab, una milizia integralista islamica che da anni si batte contro il debole governo centrale della Somalia e che si trova sulla lista delle organizzazioni terroristiche degli Stati Uniti.

Secondo i difensori dei tre accusati, i loro clienti sono stati arrestati a Gibuti, il piccolo paese situato nel Corno d’Africa che ospita una importante base militare americana (Camp Lemonnier), da dove vengono gestite operazioni di anti-terrorismo e le incursioni con i droni in paesi come Somalia e Yemen. Dopo l’arresto, gli svedesi Ali Yasin Ahmed (23 anni) e Mohamed Yusuf (29) e il cittadino britannico Mahdi Hashi (23) sono stati interrogati per svariate settimane a Gibuti da agenti della CIA, verosimilmente con metodi di tortura, senza che contro di loro fossero state emesse accuse formali.

Prima di finire a Gibuti, secondo altre ricostruzioni, i tre sarebbero stati fermati e interrogati proprio in Somalia, dove la CIA gestisce una struttura detentiva clandestina presso l’aeroporto di Mogadiscio, come rivelò nell’agosto del 2011 il giornalista investigativo americano Jeremy Scahill sulla rivista The Nation.

Dopo un paio di mesi, in ogni caso, un apposito Grand Jury segreto convocato a New York ha incriminato i tre sospettati, i quali sono stati così posti sotto custodia dell’FBI e trasferiti clandestinamente in territorio americano.

Nelle parole dell’avvocato difensore del britannico Hashi, i tre arrestati “stavano soggiornando a Gibuti e, improvvisamente, dopo avere incontrato degli amichevoli agenti dell’FBI e della CIA - i quali non si sono identificati - il mio cliente si è ritrovato senza cittadinanza e in un tribunale degli Stati Uniti”. Mahdi Hashi, infatti, la scorsa estate venne minacciato con la revoca della cittadinanza britannica dalle autorità di Londra a causa delle sue “attività di estremista”. Fin dal 2009, Hashi aveva però subito pressioni da parte dell’MI5, cioè i servizi domestici di intelligence, per diventare un informatore del governo.

I due cittadini svedesi, invece, secondo quanto confermato al Washington Post dal Ministero degli Esteri di Stoccolma, avrebbero ricevuto visite di diplomatici del loro paese e assistenza consolare sia a Gibuti che a New York. Il governo svedese ha comunque chiarito di non avere preso alcuna posizione ufficiale nella vicenda, lasciando di fatto carta bianca alle autorità americane circa la sorte dei suoi due cittadini. I servizi di sicurezza svedesi, d’altra parte, hanno collaborato illegalmente nel recente passato con Washington in svariati casi di “renditions” e il governo di Stoccolma si è più volte dimostrato estremamente docile nei confronti di quello americano, come conferma il caso del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange.

Se Al-Shabab, come già ricordato, è considerato fin dal 2008 un gruppo terroristico dal Dipartimento di Stato USA, per stessa ammissione del governo americano le sue attività sono limitate alle vicende della guerra civile in corso in Somalia, mentre non vi sono praticamente prove del coinvolgimento dei suoi membri nelle trame terroristiche internazionali. In maniera ancora più evidente, sostengono i legali della difesa, contro i tre accusati non esiste nemmeno un indizio di una eventuale intenzione di colpire obiettivi o cittadini americani. Sia il governo di Londra che quello di Stoccolma, oltretutto, hanno tenuto sotto controllo per anni i movimenti dei loro tre cittadini verso la Somalia, senza però mai trovare alcuna prova che potesse giustificare l’apertura di un procedimento legale.

A sostegno della tesi che le “renditions” - una pratica messa in atto dal governo americano per rapire una persona e trasferirla in un paese terzo per essere sottoposta ad interrogatori anche con metodi di tortura senza tenere conto dei suoi diritti legali - stanno proseguendo anche sotto la presidenza Obama, il Washington Post ha citato un altro caso, quello del cittadino eritreo Mohamed Ibrahim Ahmed. Quest’ultimo era apparso di fronte ad un tribunale federale di Manhattan nel dicembre 2011 dopo essere stato interrogato da un team di agenti americani in Nigeria senza che gli fossero stati letti i suoi diritti.

I casi descritti dal Washington Post sono con ogni probabilità solo la punta dell’iceberg e risultano noti perché i sospettati di terrorismo coinvolti hanno avuto quanto meno la possibilità di esporre le loro vicende ad un giudice federale. Il continuo ricorso alle “renditions” negli ultimi quattro anni è inoltre la prova di come le promesse fatte da Obama di mettere fine alle pratiche illegali del suo predecessore siano state del tutto disattese.

In seguito alle  pressioni dei vertici della CIA, d’altra parte, pochi giorni dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, il presidente democratico emise un “ordine esecutivo” che lasciò aperta la possibilità di continuare a tenere sotto custodia in prigioni clandestine all’estero i sospettati di terrorismo catturati illegalmente, purché “su base temporanea”.

Inoltre, le persone sottoposte a “renditions” e tornate in libertà per l’inconsistenza delle accuse nei loro confronti si sono viste regolarmente negare la possibilità di denunciare in un tribunale americano il trattamento subito, visto che il governo ha sempre impedito ogni procedimento facendo appello al segreto di stato.

Nonostante il tentativo di occultare la realtà di questi anni da parte della stampa e dei sostenitori liberal di Obama, la continuità degli strumenti pseudo-legali per combattere la fantomatica “guerra al terrore” è stata dunque garantita in pieno dal presidente democratico. A continuare ad essere impiegate e spesso ampliate sono state non soltanto pratiche come le “renditions”, ma anche gli assassini mirati senza giustificazione legale in ogni angolo del pianeta e i processi-farsa di fronte a tribunali militari che calpestano puntualmente i diritti costituzionali garantiti a qualsiasi imputato.

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