Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Michele Paris

Nel pieno del cosiddetto dibattito in corso negli ambienti ufficiali degli Stati Uniti attorno al problema delle crescenti disuguaglianze di reddito, due studi autorevoli negli ultimi giorni hanno nuovamente messo in luce come la crisi economica in corso stia premiando enormemente la ristretta cerchia al vertice della piramide sociale a discapito della grande maggioranza della popolazione americana.

La prima delle due indagini è stata condotta dal più grande sindacato statunitense - AFL-CIO - e fotografa una realtà ormai fuori da qualsiasi logica, con gli amministratori delegati delle 350 principali compagnie USA che nel 2013 hanno ottenuto compensi in media 331 volte superiori a quelli dei lavoratori medi.

In termini concreti, l’anno scorso la crema dell’aristocrazia economico-finanziaria d’oltreoceano è stata cioè premiata per i propri servizi con una media di 11,7 milioni di dollari, a fronte di un salario medio ricevuto dai meno privilegiati pari a poco più di 35 mila dollari.

Ancora più sbalorditivo, anche se tutt’altro che sorprendente, risulta poi il divario tra gli stessi 350 “CEO” americani e i lavoratori costretti a sopravvivere con il salario minimo federale, fissato alla miseria di 7,25 dollari l’ora (circa 15 mila dollari l’anno). In questo caso, i primi hanno fatto segnare, sempre nel 2013, introiti 774 volte superiori alla paga minina.

Per comprendere la portata di dati simili è sufficiente confrontarli con il passato. Nel 1950, infatti, il rapporto tra i guadagni dei manager più pagati negli USA e i lavoratori medi era di 20 a 1, mentre nel 1980, alla vigilia della controrivoluzione reaganiana, sarebbe salito a 42 a 1.

L’incremento vertiginoso dei compensi garantiti agli amministratori delegati giunge poi spesso in situazioni aziendali segnate da licenziamenti e congelamento delle retribuzioni dei lavoratori nonostante i frequenti aumenti dei profitti.

Nell’attuale sistema capitalistico, in definitiva, la più devastante crisi economica dal dopoguerra si è tradotta in una drammatica regressione delle condizioni di vita per le fasce più povere della popolazione, mentre contemporaneamente i ricchi e i super-ricchi  (negli Stati Uniti come altrove) stanno facendo registrare livelli di agiatezza senza precedenti.

I due processi, com’è ovvio, sono strettamente legati tra di loro, visto che impoverimento di massa, disoccupazione, compressione dei salari e peggioramento delle condizioni di lavoro sono componenti fondamentali del colossale trasferimento di ricchezza in corso, favorito da politiche economiche e sociali deliberate di una classe politica che è espressione unica dei poteri forti.

Qualche giorno prima della pubblicazione del rapporto dell’AFL-CIO, il centro studi californiano Equilar aveva a sua volta reso noti i dati sui compensi degli amministratori delegati più potenti degli Stati Uniti. Secondo questa seconda indagine, la media dei guadagni ai vertici delle prime 100 corporations americane nel 2013 ha sfiorato i 14 milioni di dollari, con un incremento rispetto all’anno precedente.

A guidare la speciale classifica è ancora una volta il co-fondatore e CEO di Oracle, Larry Ellison, in grado di portarsi a casa nei dodici mesi ben 78,4 milioni di dollari tra stipendio, azioni e “stock options”.

Ellison è l’incarnazione stessa della moderna aristocrazia che ha accumulato ricchezze da favola nel pieno della devastazione sociale con cui il resto della popolazione deve fare i conti. I suoi beni sono stimati attorno ai 48 miliardi di dollari - pari alla somma dei PIL di svariate decine di paesi - e lo collocano al quinto posto tra gli individui più ricchi del pianeta. Alle centinaia di proprietà immobiliari a sua disposizione, Ellison nel 2012 ha aggiunto nientemento che un’intera isola, quella di Lanai, alle Hawaii, la sesta per estensione dell’arcipelago del Pacifico, acquistata al 98% per una somma compresa tra i 500 e i 600 milioni di dollari.

La concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochissimi è confermata anche da altri dati. Tra il 1978 e il 2012, ad esempio, lo 0,5% della popolazione ha visto aumentare la propria percentuale della ricchezza complessiva negli Stati Uniti dal 17% al 35%. Se si considera poi la ristrettissima cerchia di super-ricchi, vale a dire lo 0,1% della popolazione americana, la quota di ricchezza nelle sue mani ammonta addirittura al 20% del totale.

I due rapporti di AFL-CIO ed Equilar sono stati accolti dalla stampa americana con il consueto disinteresse, tutt’al più riproponendo l’illusione che essi serviranno a convincere la classe dirigente della necessità di intervenire con provvedimenti concreti per invertire la tendenza e porre un freno alle disparità sociali e di reddito.

Come è già avvenuto negli ultimi anni, tuttavia, simili propositi verranno disattesi anche in questa occasione, e tra dodici mesi i nuovi studi sui compensi negli USA metteranno in luce con ogni probabilità un ulteriore allargamento del gap tra ricchi e poveri.

La politica di Washington e gli stessi ambienti finanziari internazionali, in ogni caso, vedono con crescente apprensione le conseguenze in termini di tensioni sociali create da una distribuzione sempre più irrazionale delle ricchezze.

Combinandosi a scrupoli elettorali in vista del voto di novembre per il rinnovo di gran parte del Congresso, questi timori hanno da qualche tempo convinto la stessa amministrazione Obama della necessità di promuovere improbabili e insignificanti iniziative populiste per combattere le disuguaglianze sociali e di redito. Questa presunta battaglia intrapresa dalla Casa Bianca, tra una raccolta fondi alla presenza di donatori miliardari e l’altra, è stata addirittura definita dal presidente democratico come “la sfida più importante dei nostri tempi”.

Le già scarse iniziative di legge proposte per ridurre le disuguaglianze - come il limitato innalzamento dello stipendio orario minimo avanzato da Obama - rischiano inoltre di sparire del tutto nel prossimo futuro. Infatti, il dominio dei poteri forti sulla politica di Washington potrebbe, se possibile, anche aumentare in seguito ad una recente sentenza della Corte Suprema USA, la quale ha cancellato i limiti sui contributi totali che un singolo individuo può erogare alle campagne elettorali di candidati a cariche pubbliche.

Come già ricordato, questi livelli di disparità economica stanno già provocando profonda frustrazione ed esplosive tensioni sociali tra la grande maggioranza della popolazione. Per questa ragione, la classe dirigente americana  (e non solo) oltre a creare continue crisi internazionali per dirottare verso l’esterno i propri conflitti interni, ha da tempo costruito un apparato di controllo da stato di polizia per reprimere ogni forma di dissenso o ribellione, come hanno rivelato i documenti della NSA resi noti grazie a Edward Snowden. Simili disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza nelle società capitalistiche moderne, d’altra parte, risultano sempre meno compatibili con un sistema autenticamente democratico.

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