La censura targata MAGA

di Michele Paris

A poco più di una settimana dall’assassinio dell’attivista ultra-conservatore Charlie Kirk, ha già fatto numerose vittime la caccia alle streghe ordinata dalla Casa Bianca contro i presunti mandanti e chiunque si azzardi a mettere in dubbio la versione ufficiale dei fatti o l’integrità morale del defunto sostenitore del presidente Trump. La conseguenza probabilmente più clamorosa di...
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Trump-GB, sudditi e complici

di Mario Lombardo

L’accoglienza con tutti gli onori riservata nel Regno Unito al presidente americano Trump contrasta fortemente con le proteste che stanno accompagnando la sua seconda visita di stato in questo paese dopo quella, altrettanto controversa, del 2019. La stampa ufficiale, nell’analizzare la trasferta di due giorni dell’inquilino della Casa Bianca, ha insistito sulla distanza presumibilmente incolmabile che separerebbe quest’ultimo dal primo ministro britannico, Keir Starmer, su temi come Gaza, Ucraina o politiche commerciali, tanto da mettere potenzialmente in serio imbarazzo un padrone di casa che sta attraversando una profondissima crisi sul fronte interno. Le differenze tra i due governi e le rispettive classi dirigenti sono al...
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di Michele Paris

Il fragilissimo cessate il fuoco siglato lo scorso mese di febbraio a Minsk e ufficialmente tuttora in vigore in Ucraina appare sempre più in pericolo in questi giorni dopo l’esplosione dei combattimenti più duri da vari mesi a questa parte tra le forze del regime golpista di Kiev e i separatisti filo-russi delle autonominate “repubbliche popolari” nel sud-est del paese.

Le due parti in conflitto si sono scambiate reciproche accuse su chi abbia riaperto per primo le ostilità. Il governo ucraino ha puntato il dito contro i “ribelli” per avere iniziato a bombardare le località di Maryinka e Krasnohorivka - entrambe sotto il controllo di Kiev - nella mattinata di mercoledì. I separatisti, al contrario, hanno denunciato colpi di artiglieria sulla città di Donetsk che hanno causato una decina di vittime e la distruzione di abitazioni ed esercizi commerciali.

Allo stesso modo, da Mosca sono giunte accuse verso il regime ucraino, responsabile di ripetute provocazioni anche nei giorni scorsi. Le violazioni delle norme del cessate il fuoco mediato da Francia, Germania e Russia erano state registrate in realtà da entrambe le parti fin dal mese di febbraio, ma appare comunque evidente la volontà di Kiev di far saltare l’accordo e innescare nuovamente il conflitto armato.

Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno come al solito utilizzato il riesplodere delle violenze in Ucraina orientale per fare pressioni sulla Russia. Rivelatrici dell’attitudine USA ad assegnare meccanicamente le responsabilità al Cremlino sono state le parole della portavoce del Dipartimento di Stato, Marie Harf.

Nel corso di una conferenza stampa, quest’ultima ha affermato che “la Russia ha la diretta responsabilità” degli attacchi in corso e delle violazioni del cessate il fuoco, commesse “per la maggior parte” dai separatisti. In realtà, la stessa Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), i cui uomini stanno monitorando il rispetto dell’accordo di Minsk, ha rilevato sostanzialmente lo stesso numero di violazioni da parte delle forze di Kiev e dei “ribelli” negli ultimi due mesi.

Alla nuova escalation di tensioni in Ucraina avevano d’altra parte contribuito varie provocazioni dello stesso governo di Kiev e degli Stati Uniti. Tra di essi va ricordato l’avvio del programma di addestramento di soldati ucraini in seguito all’arrivo nel paese di militari americani, coadiuvati da altri provenienti da Canada e Gran Bretagna.

Inoltre, il presidente Petro Poroshenko ha recentemente nominato governatore della provincia di Odessa l’ex presidente georgiano, Mikhail Saakashvili, dopo avergli conferito la cittadinanza ucraina. La nomina del responsabile dell’esplosione della guerra tra Georgia e Russia nell’estate del 2008 appare decisamente provocatoria, sia perché in questa provincia vive una forte minoranza russofona sia perché nel maggio del 2014 la città di Odessa fu teatro del massacro di 42 manifestanti filo-russi per opera di una milizia neo-fascista sostenitrice del governo di Kiev.

Vari commentatori indipendenti hanno sottolineato come le autorità ucraine abbiano deciso di rilanciare le operazioni militari, sia pure per il momento su scala relativamente ridotta, in concomitanza con i prossimi appuntamenti dei governi occidentali nei quali si dovrà discutere della crisi in atto.

Questo atteggiamento da parte del regime di Poroshenko è tutt’altro che nuovo ed è stato sottolineato ad esempio dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, il quale ha fatto notare come le nuove tensioni siano riesplose a poche settimane dal summit UE di Bruxelles, previsto per il 25 e il 26 giugno.

In quell’occasione, i paesi membri dovranno stabilire se prolungare fino al gennaio 2016 le sanzioni punitive adottate nei confronti della Russia. Prima di questo evento, tra il 7 e l’8 giugno andrà in scena anche un vertice dei G-7 in Baviera.

Se la conferma delle sanzioni non appare in dubbio, come ha rivelato mercoledì il Wall Street Journal citando anonime fonti diplomatiche europee, nondimeno le iniziative ucraine servono a mantenere alto il livello di interesse per l’Ucraina tra i governi in Occidente, da dove era iniziato a trapelare qualche segnale di impazienza nei confronti di Kiev.

Soprattutto, il regime ucraino aveva acconsentito a sottoscrivere il cessate il fuoco di Minsk solo dietro le pressioni di Francia e Germania, preoccupate per una possibile escalation delle ostilità che avrebbe potuto trascinare direttamente la Russia nel conflitto.

Come ha spiegato giovedì l’analista Alexander Mercouris, infatti, Poroshenko e la sua cerchia di potere continuano a “non essere realmente interessati all’implementazione del Memorandum di Minsk”, poiché ciò “comporterebbe la fine del progetto Maidan”, ovvero del disegno strategico iniziato con il colpo di stato dello scorso anno per sganciare l’Ucraina dalla Russia e riorientarla verso l’Occidente.

Trattare con i “ribelli” e concedere alle loro province un’ampia autonomia significherebbe dunque riconoscere la sostanziale vittoria della Russia, la quale manterrebbe così quella che ritiene una legittima influenza su almeno una parte dell’Ucraina.

Un altro importante fattore da considerare nelle più recenti provocazioni di Kiev è poi il “continuo e rapido declino dell’economia dell’Ucraina, nonché la crescente impopolarità dei suoi leader”, così che l’opzione della guerra sembra essere un modo per recuperare consensi tra la popolazione.

Da questa prospettiva, la retorica russofoba risulta sempre lo strumento preferito dei vertici ucraini, come ha confermato questa settimana Poroshenko in un discorso di fronte al parlamento di Kiev, durante il quale ha messo in guardia da una fantomatica “invasione su vasta scala” da parte della Russia. Il presidente-oligarca ha parlato di una “minaccia colossale” che graverebbe sull’Ucraina e per questa ragione nelle province orientali sono già schierati 50 mila soldati pronti a “difendere il paese”.

La prospettiva di un inasprirsi dello scontro, infine, è apparsa evidente in maniera inquietante anche dall’annuncio fatto in questi giorni da un portavoce dell’organizzazione neo-fascista “Settore Destro” per mobilitare le milizie armate ultra-nazionaliste, già impiegate a fianco dell’esercito di Kiev nella violenta campagna di repressione contro i separatisti filo-russi.

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