Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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Trump, intrigo a New York

di Mario Lombardo

Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di...
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di Michele Paris

Mentre l’Unione Europea al termine di una riunione di emergenza nel fine settimana annunciava un oneroso accordo con il governo della Turchia per tenere gli immigrati fuori dai confini del vecchio continente, in quest’ultimo paese andava in scena l’ennesimo gravissimo giro di vite sui diritti democratici in nome delle manovre strategico-militari condotte dal presidente Erdogan e dal primo ministro Davutoglu. Un’intesa che era già stata prefigurata alcune settimane fa è stata suggellata a Bruxelles, dove i vertici UE hanno confermato il pagamento ad Ankara di una cifra pari a tre miliardi di euro che, nelle parole della cancelliera tedesca Merkel, dovrebbe contribuire a “far restare i migranti nella regione [mediorientale]” e, soprattutto, fuori dall’Europa.

Oltre al denaro, l’Europa intende offrire alla Turchia la ripresa dei vertici bilaterali, ma anche un’accelerazione sull’abolizione del visto d’ingresso nei paesi UE per i cittadini turchi e il ritorno al tavolo delle trattative per l’ingresso a pieno titolo di Ankara nell’Unione.

L’accordo, al di là delle rassicurazioni, dà in sostanza carta bianca a un regime sempre più autoritario per contrastare i flussi migratori, con modalità che, quasi certamente, provocheranno un numero maggiore di morti e il dilagare delle violazioni dei diritti umani di coloro che fuggono da situazioni disperate, la cui responsabilità, per quanto riguarda soprattutto la Siria, è da attribuire peraltro proprio alla Turchia e ai governi occidentali.

Se la decisione dell’UE risponda a un’illusoria convinzione che Erdogan sia in grado o abbia la volontà di stoppare gli immigrati diretti in Europa, sia pure con metodi repressivi, o risulti piuttosto un costoso espediente per favorire un’escalation del conflitto in Siria non appare del tutto chiaro. Quel che è certo, però, è che difficilmente i governi europei e i burocrati non eletti di Bruxelles siano all’oscuro sia della deriva autoritaria del governo Erdogan-Davutoglu sia dei metodi proposti da questi ultimi per fermare l’esodo di profughi dalla Siria.

Lo stesso presidente Erdogan, nel corso di una visita a Bruxelles ai primi di ottobre, aveva ad esempio esposto “tre passi” da compiere per risolvere la crisi migratoria in Medio Oriente. Il contenuto di tutte e tre le iniziative (illegali) smascherava in realtà le intenzioni di un governo molto più interessato a perseguire il cambio di regime a Damasco, visto che l’addestramento e la fornitura di armi all’opposizione anti-Assad, la creazione di una “zona di sicurezza” lungo il confine con la Turchia e l’imposizione di una “no-fly zone” nella stessa area non farebbero altro che alimentare ulteriormente il caos in Siria.

Il denaro che sarà erogato dall’Unione Europea potrebbe così essere impiegato da Ankara a questi scopi, anche se la presenza della Russia oltre il confine meridionale rende per il momento complicate le ultime due proposte di Erdogan. Per questa ragione, il governo turco potrebbe finire soprattutto per intensificare il proprio sostegno finanziario, militare e logistico ai gruppi armati in Siria, inclusi quelli di orientamento jihadista come lo Stato Islamico (ISIS/Daesh).

Ad ogni modo, l’imbarazzo generato dall’accordo da tre miliardi di euro tra Bruxelles e Ankara è stato tale che quasi tutti i media ufficiali in Occidente hanno dovuto dedicare almeno un breve commento sull’apparente contraddizione tra la difesa dei valori democratici che guiderebbe le politiche dell’Unione e il deterioramento del clima democratico in Turchia.

Un qualche imbarazzo lo ha mostrato la stessa Merkel, quando, alla domanda di un giornalista curdo circa le violazioni dei diritti umani che si stanno moltiplicando sotto il governo dell’AKP, non avendo risposte adeguate a portata di mano, ha replicato che “questo argomento non è stato discusso a lungo” durante il vertice UE.

Nonostante la poca sorprendente indifferenza per l’argomento diritti umani della cancelliera tedesca, un qualche approfondimento degli eventi dei giorni scorsi in Turchia da parte dei governi dell’Unione sarebbe stato illuminante. Se non altro, ciò avrebbe potuto rappresentare un promemoria sulla doppiezza delle politiche di Bruxelles, caratterizzate da un lato da sanzioni a un paese come la Russia, intervenuta in Ucraina orientale indubbiamente per difendere i propri interessi ma comunque in risposta alla minaccia rappresentata dall’installazione di un regime golpista a Kiev da parte di Washington e Berlino, e dall’altro da una pioggia di denaro su un governo, come quello turco, responsabile di una lunga serie di violazioni dei diritti umani e delle norme del diritto internazionale.

Le vicende di due autorevoli giornalisti e di tre alti ufficiali turchi hanno infatti portato nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale le tendenze repressive di Erdogan e del suo governo. Giovedì scorso, il direttore e il responsabile della sede di Ankara del quotidiano Cumhuriyet, rispettivamente Can Dündar e Erdem Gül, sono stati arrestati dopo un lungo interrogatorio a Istanbul per avere pubblicato nel mese di maggio alcune immagini che documentavano automezzi carichi di armi inviati in Siria sotto la supervisione dei servizi segreti turchi (MIT).

Le accuse formulate dalla giustizia turca nei confronti dei due giornalisti sono sbalorditive e includono: spionaggio, rivelazione di documenti riservati e affiliazione a un’organizzazione terroristica. Secondo il giornale turco il materiale era diretto verso alcuni gruppi fondamentalisti dell’opposizione siriana, com’è noto utilizzati da tempo dalla Turchia per cercare di abbattere il regime di Assad a Damasco.

La Gendarmeria turca, ovvero la sezione delle forze armate che si occupa dell’ordine pubblico interno, nel gennaio del 2014 aveva intercettato in due occasioni alcuni veicoli pesanti in seguito a soffiate su possibili carichi illegali di armi da trasferire in Siria. Il governo, da parte sua, aveva smentito questa accusa, sostenendo che gli automezzi in questione trasportavano carichi “umanitari” destinati ai ribelli siriani di etnia turcomanna.

Accuse di spionaggio e di tradimento sono state dunque rivolte ai due giornalisti di Cumhuriyet, ma anche ai vertici della Gendarmeria turca che avevano autorizzato l’intercettazione dei carichi che sarebbero dovuti giungere ai terroristi attivi in Siria.

Anche due generali e un colonnello in pensione sono stati arrestati domenica a Istanbul con le accuse di avere “ottenuto informazioni confidenziali a scopo di spionaggio politico o militare, rivelato informazioni segrete relative alla sicurezza nazionale a scopo di spionaggio, tentato di rovesciare il governo della Repubblica turca o di impedirne il funzionamento, fondato o guidato un’organizzazione terroristica armata”.

Sul caso era già intervenuto anche Erdogan, il quale aveva definito l’indagine allora in corso ai danni dell’MIT un atto di “tradimento e spionaggio” da parte dei procuratori coinvolti, a loro volta sottoposti a indagine.

Soprattutto l’arresto dei due giornalisti ha suscitato indignazione anche tra la popolazione turca, già segnata da una campagna contro la libertà di stampa che, solo nelle ultime settimane, aveva registrato la chiusura di un gruppo editoriale vicino all’opposizione a pochi giorni dalle recenti elezioni anticipate vinte dall’AKP.

Nella giornata di domenica, una folla composta soprattutto da giornalisti ha sfilato per le strade di Istanbul per esprimere solidarietà a Can Dündar e Erdem Gül e per chiederne la scarcerazione. Il portavoce di un’associazione della stampa turca è stato tra coloro che hanno parlato durante l’evento, sottolineando come il governo stia trasformando il giornalismo – “necessità fondamentale per una società civile” – in un’attività criminale.

Alla manifestazione era presente anche il segretario generale di Reporter Senza Frontiere (RSF), Christophe Deloire, il quale ha ricordato come la Turchia occupi il 149esimo posto su 180 paesi elencati nella classifica della libertà di stampa stilata dalla stessa organizzazione con sede in Francia.

Deloire ha poi assicurato che RSF continuerà a esercitare pressioni sull’Unione Europea per adoperarsi per il rispetto del pluralismo e della libertà dei media in Turchia. Simili appelli ai governi europei sono giunti dagli stessi giornalisti di Cumhuriyet in carcere ma, anche considerandoli in buona fede, risultano pericolosamente illusori visti i precedenti dell’UE e lo stesso recente accordo tra Bruxelles e Ankara sui migranti.

A ben vedere, infatti, la legittimazione di Erdogan e del suo regime da parte europea non deve sorprendere alla luce del collasso delle forme di governo democratiche che sta avvenendo in gran parte dei paesi del vecchio continente.

A questo processo di erosione dei diritti democratici più fondamentali si è assistito drammaticamente proprio nella gestione della cosiddetta “emergenza” legata ai migranti, che Bruxelles chiede oggi alla Turchia di contribuire a risolvere, ma anche nell’implementazione in Francia di misure da stato di polizia dopo gli attentati di Parigi, versione finora più estrema di un assalto diffuso alle libertà civili e giustificato, come sempre, dalle necessità della “guerra al terrore”.

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