Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Michele Paris

Quella di Obama in corso questa settimana è solo la terza visita di un presidente degli Stati Uniti in Vietnam dalla fine del conflitto tra i due ex nemici. Il viaggio di tre giorni nel paese del sud-est asiatico ha al centro delle discussioni con i leader locali importanti questioni economiche e militari, tutte inevitabilmente legate agli sforzi di Washington per convincere Hanoi ad allinearsi ai piani strategici americani anti-cinesi in questa parte del continente.

Per garantire il maggiore impatto possibile della visita di Obama, poche ore dopo il suo arrivo in Vietnam è stata diffusa la notizia che il governo americano intende cancellare definitivamente l’embargo alla vendita di armi a questo paese. Questa proibizione era in vigore dal 1975 ed era stata già allentata sempre dall’amministrazione Obama nel 2014 per consentire al Vietnam di ottenere una linea di credito destinata all’acquisto di alcune navi da guerra.

La decisione presa due anni fa a Washington, secondo il Washington Post, era servita a “rafforzare la sicurezza marittima del Vietnam nel Mar Cinese Meridionale”, dove gli animi con la Cina si sono sensibilmente infiammati negli ultimi anni per via del riesplodere di contese territoriali alimentate proprio dagli Stati Uniti.

La notizia della fine dell’embargo è stata confermata lunedì dallo stesso Obama durante una conferenza stampa con il presidente vietnamita, Tran Dai Quang. Come di consueto, Obama ha affermato pubblicamente l’esatto contrario di ciò che ha motivato la sua amministrazione nel prendere questa iniziativa, sostenendo che essa “non è basata sulla [minaccia] della Cina”, ma sulla volontà degli USA di “completare un lungo processo di normalizzazione delle relazioni con il Vietnam”.

Nel calcolo americano rientra in questo caso anche la Russia, fino ad ora di gran lunga il primo fornitore di armi del Vietnam. Le forze navali di Mosca possono inoltre attraccare liberamente nella strategica Baia di Cam Rahn, affacciata sul Mar Cinese Meridionale, mentre l’accesso per quelle americane è per ora rigorosamente limitato.

Le intenzioni di Washington sono perciò quelle di ridurre il più possibile i rapporti in ambito militare tra Mosca e Hanoi. Recentemente, tra l’altro, era emersa la notizia di come gli Stati Uniti avessero fatto pressioni sul regime per sospendere il programma di collaborazione con la Russia che consente ai velivoli militari di questo paese in missione nell’Oceano Pacifico di fare rifornimento in territorio vietnamita.

Che l’obiettivo principale degli Stati Uniti sia però la Cina è fuori discussione e a confermarlo è l’impegno con cui l’amministrazione Obama in questi anni ha insistito con vari paesi in Asia sud-orientale per far loro intraprendere la strada della militarizzazione e per assicurare alle proprie forze navali maggiore accesso a strutture posizionate strategicamente.

Com’è accaduto per altri paesi, a cominciare dalle Filippine, anche i rapporti del Vietnam con la Cina si sono deteriorati in maniera significativa. Il punto più basso si era raggiunto nel 2014, quando Pechino aveva posizionato una piattaforma petrolifera nelle acque contese con Hanoi nel Mar Cinese Meridionale. L’iniziativa aveva scatenato una feroce campagna anti-cinese in Vietnam con la morte di due cittadini cinesi e la distruzione di fabbriche di proprietà taiwanese e sudcoreana, perché scambiate per cinesi.

Gli Stati Uniti hanno così da un lato soffiato sul fuoco della discordia tra i due paesi e dall’altro si sono adoperati per intensificare i legami con il Vietnam. Altamente simbolica delle intenzioni americane fu ad esempio la grandiosa accoglienza riservata al segretario del Partito Comunista vietnamita, Nguyen Phu Trong, vero depositario del potere nel suo paese, durante la visita alla Casa Bianca nel 2015.

Il rafforzamento dei rapporti con il Vietnam dovrebbe poi includere per gli USA il “pre-posizionamento” di equipaggiamenti militari in determinate strutture di questo paese. Ciò dovrebbe ufficialmente servire a fronteggiare in maniera tempestiva eventuali disastri naturali ma, di fatto, rappresenterebbe l’anticamera di un futuro dispiegamento di forze militari permanenti o “a rotazione”.

La partnership con gli Stati Uniti continua ad ogni modo a essere vista con qualche cautela dal regime di Hanoi, viste le vicende del recente passato e la tradizionale tendenza al multilateralismo della propria politica estera. Allo stesso tempo, come per altri paesi della regione, la Cina riveste un’importanza fondamentale anche per il Vietnam sul fronte degli investimenti e degli scambi commerciali.

Tuttavia, la storia dei rapporti tra i due vicini è fatta di tensioni, se non vere e proprie guerre, come quella di confine combattuta brevemente nel 1979. Questo contribuisce forse a spiegare la particolare apprensione di Pechino per le iniziative diplomatiche, economiche e militari americane nei confronti del Vietnam.

Timori che sono apparsi chiari dalle critiche esplicite rivolte alla visita di Obama da parte della stampa ufficiale cinese. Un commento dell’agenzia di stampa Xinhua, ad esempio, ha accusato gli USA di non avere “limiti nell’intromettersi nelle vicende regionali” relative al Mar Cinese Meridionale.

Lo stesso organo del governo di Pechino ha scritto domenica che la riconciliazione tra USA e Vietnam “non dovrebbe essere usata… come strumento per minacciare o addirittura danneggiare gli interessi strategici di un paese terzo”. Ancora più duramente e in maniera tutto sommato corretta, Xinhua ha affermato che Washington ha reso “alcuni paesi della regione più risoluti”, alimentando “le loro illusioni di poter continuare a sfruttare interessi illegali” nel Mar Cinese Meridionale.

Sostanzialmente allo stesso scopo di sganciare, sia pure in maniera relativa, il Vietnam dalla Cina, ma sul fronte economico, nella sua visita Obama non poteva non sollevare la questione del trattato di libero scambio denominato “Trans Pacific Partnership” (TPP), di cui il regime di Hanoi è firmatario assieme a un’altra decina di paesi asiatici e del continente americano.

In questo caso il compito del presidente Obama è quello di assicurare la leadership comunista che il Congresso di Washington alla fine ratificherà il trattato, anche se il clima elettorale negli USA e l’emergere di tendenze “isolazioniste” nella maggioranza Repubblicana suggeriscono che i tempi potrebbero non essere brevi. Il TTP serve comunque a garantire il dominio delle multinazionali USA sul commercio internazionale e rappresenta la componente economica delle manovre di accerchiamento della Cina da parte americana.

Il Vietnam resta in ogni caso un obiettivo allettante per il business a stelle e strisce. Il regime che governa questo paese ha da tempo intrapreso una strada “riformista” in ambito economico e l’adesione al TPP ha rafforzato i propositi di liberalizzazione, dalla privatizzazione delle aziende pubbliche all’abbattimento dei rimanenti ostacoli all’afflusso dei capitali esteri.

Se la visita di Obama in Vietnam e quella successiva a Hiroshima, in Giappone, in qualità di primo presidente USA in carica a recarsi sul luogo dove venne sganciato un ordigno nucleare nel 1945, dovrebbero testimoniare della volontà della Casa Bianca di guardare al futuro e mettere da parte i conflitti del passato, quello che lasciano intravedere le vicende di questi ultimi anni è in realtà la preparazione di nuove guerre ancora più rovinose.

Infatti, le questioni trattate a Hanoi da Obama non possono che essere considerate come provocazioni da Pechino, tanto più che s’inseriscono su una vera e propria escalation della rivalità tra le prime due potenze economiche del pianeta.

Dopo le polemiche americane per la presunta militarizzazione da parte cinese di alcuni lembi di terra in acque contese e l’invio ripetuto di navi da guerra USA in “ricognizione” all’interno delle acque territoriali di isole la cui sovranità è rivendicata da Pechino, proprio qualche giorno fa è stato registrato un nuovo episodio allarmante.

Il Pentagono si era cioè lamentato pubblicamente dopo che due aerei da guerra cinesi avevano intercettato in maniera “non sicura” un aereo spia americano in missione sul Mar Cinese Meridionale. Pechino aveva subito negato qualsiasi manovra pericolosa ma il possibile incidente sfiorato ha dato vita a nuove accuse e contro-accuse, mostrando la precarietà della situazione e il rischio di guerra sempre più concreto in Estremo Oriente.

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