Assange, le “non garanzie” USA

di Michele Paris

Nelle scorse settimane si erano intensificate le voci di una possibile risoluzione del caso di Julian Assange, con il presidente americano Biden che aveva anche ammesso di valutare la richiesta del governo australiano di lasciare cadere definitivamente le accuse contro il fondatore di WikiLeaks. Per il momento, il governo di Washington sembra essere però deciso a continuare la battaglia per...
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Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove. La premessa necessaria a qualsiasi commento della vicenda è la legittimità dell’iniziativa di Teheran. Come hanno sostenuto i leader iraniani, la ritorsione è giustificata in base all’articolo 51 della Carta delle...
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di Mariavittoria Orsolato

Scene di guerriglia urbana salutano l’ennesima beffa che Berlusconi è riuscito a rifilare all’Italia. Una Roma paurosamente somigliante alla Genova del 2001 racconta la rabbia delle migliaia di manifestanti, accorsi nella capitale per dare la misura dell’esasperazione di un paese abbandonato a sé stesso. Ci sono gli studenti medi ed universitari che reclamano un futuro, ci sono i terremotati dell’Abruzzo, gli operai cassaintegrati della Fiom e i cittadini campani sommersi dai rifiuti. Oltre 100.000 persone provenienti da categorie sociali eterogenee, accomunate dalla posizione di svantaggio e subalternità cui la politica li ha costretti a sottostare.

Il serpentone dell’opposizione sociale ha sfilato pacificamente per le vie di una Roma militarizzata fino alle 14 circa, quando le voci concitate confermano la notizia che Berlusconi ha ottenuto la fiducia. Da quel momento, ennesima goccia di frustrazione in un otre ormai colma di risentimento, la protesta si è trasformata in guerriglia e i manifestanti si sono improvvisamente trasfigurati - questo a detta della stampa “che conta” - in pericolosi “black block”. Gli scontri hanno caratterizzato zone diverse della capitale ed anche nelle altre città italiane (tra cui Milano, Palermo, Bologna, Torino, Napoli e Cosenza) gli studenti che non si sono potuti permettere la trasferta romana, hanno sfilato e protestato contro il governo e contro l’ennesima evidenza che la politica italiana non è cosa per gente onesta.

Mentre le vie del centro si riempivano dell’odore acre dei lacrimogeni e si coloravano dei riverberi di camionette delle forze dell’ordine in fiamme, gli onorevoli restavano barricati nelle due Camere in attesa che la zona rossa stabilita dal sindaco Alemanno fosse attestata come sicura. Una piccola vittoria per i manifestanti impegnati nella protesta, un noioso contrattempo per i parlamentari ansiosi di rilasciare le loro ovvie dichiarazioni ai primi microfoni disponibili.

Due contesti agli antipodi, che però convivono in questo 14 dicembre, data da considerarsi ormai paradigmatica nella cronistoria della seconda repubblica. Due contesti che, nella loro evidente antitesi, non possono fare altro che produrre le immagini a cui tutti ieri abbiamo assistito.

Sebbene il dubbio che il “povero” Cossiga instillò solo un paio di anni fa - agenti infiltrati nelle file dei manifestanti per creare disordini ad hoc - si faccia strada ogni qual volta si vedano scontri di piazza, è innegabile che l’esplosione di violenza che ha travolto la capitale sia soprattutto il frutto di un sentimento viscerale che in molti tra i presenti ai più di 10 cortei evidentemente condividono e che le provocazioni dei finti manifestanti ritratti da La Repubblica non hanno fatto altro che amplificare. La manifestazione collerica, il lancio esasperato di qualsivoglia oggetto e l’uso di armi improprie sono le espressioni evidenti di un malessere sociale che ormai non è più possibile sedare con annunci rassicuranti e promesse fatue.

La conferma della fiducia a quello che a tutti gli effetti è il quarto governo Berlusconi è anche la conferma che l’enorme rete clientelare che avviluppa lo Stato ha avuto la meglio sul buonsenso avvocato da una società civile sull’orlo di una guerra fratricida a causa di scelte istituzionali spregiudicate negli annunci e del tutto disastrose negli effetti. E quando la frustrazione incontra l’impeto giovanile e la disperazione di chi non trova echi - causa latenza imperitura di un’opposizione credibile - e la possibilità di essere incanalati in un’azione politica concreta, Roma, eterno simbolo di potere, viene messa a ferro e fuoco.

Quanti dicono che i fatti di ieri sono arrivati come un fulmine a ciel sereno peccano di ingenuità o di eccessiva malizia: la reazione della folla alla fumata nera di Montecitorio era assolutamente prevedibile. Certo, l’emulazione dei colleghi inglesi deve aver giocoforza influito sulla dose di coraggio dei ragazzi italiani, ma non è più possibile liquidare gli eventi appena trascorsi come smargiassate di pochi teppisti o azioni faziose degli autonomi: portare avanti i cortei anche dopo la notizia della fiducia è stata una richiesta dei manifestanti e non il diktat dei centri sociali o dei facinorosi.

La rabbia, l’odio e le esplosioni di violenza saranno anche ascrivibili a pochi, ma sono l’ineluttabile risultato dei sogni infranti di un’intera generazione, privata della previdenza sociale così come della facoltà di progettare e sognare un futuro diverso dalla precarietà imposta dall’alto. Se alle richieste di aiuto e di attenzione, le istituzioni tutte rispondono con autoreferenzialità ed evidente egoismo, il dialogo si trasforma in scontro e le possibilità di mediazione diventano lacerazioni insanabili all’interno del complesso tessuto sociale.

La totale inadeguatezza dell’attuale sinistra a raccogliere le istanze rivendicate dal risveglio delle coscienze studentesche porta, come fu durante il ’77, a far perdere la bussola a quanti, con le migliori intenzioni, lavorano e cogitano in prospettiva di un futuro migliore e di un paese più giusto. La completa autogestione della protesta rischia, infatti, di prestare il fianco alle inevitabili polemiche da talk-show e di far defezionare così anche i tanti moderati che, pur condividendo le motivazioni della contestazione, non vedono di buon occhio l’azione diretta o esasperata.

Cento feriti rispondono a un bollettino di guerra e non ai numeri di una manifestazione: l’opinione pubblica, nella sua confortante ignoranza, potrebbe ribaltare il suo giudizio e negare quella naturale simpatia che spetta a dei giovani pieni di voglia di partecipazione e sacrosante rivendicazioni. Le cronache raccontano come ieri in mattinata le casalinghe del centro romano si sporgessero dai balconi per gridare la loro solidarietà ai manifestanti, mentre nella serata bersagliassero le stesse persone di insulti per i disagi arrecati.

Questa è l’Italia, un paese in cui distruggere tutto non serve a nulla, ma dove nemmeno manifestare sembra riuscire ad ottenere udienza; un paese in cui le proteste contro Berlusconi rischiano persino di rafforzarlo. Una dittatura del paradosso che tiranneggia gli umori popolari e censura ogni afflato di libertà intellettuale. I manifestanti ieri, in modo condivisibile o meno, hanno provato a gridarlo. Purtroppo anche stavolta non verranno ascoltati.
 

 

 

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