USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Giovanni Gnazzi

Le polemiche sulla trasmissione di Bruno Vespa, Porta a Porta, sono ormai ricorrenti come a conduttore conviene. L’occasione ultima è stata offerta dall’intervista di Vespa al figlio di Totò Riina, capo dei Corleonesi nella stagione tremenda dell’offensiva mafiosa, ovvero gli anni ’80 e ’90. Il giornalista abruzzese ha ritenuto di dover ospitare il figlio del boss mafioso che, bontà sua, ha risposto da figlio di mafioso alle domande (invero non particolarmente incisive) riguardo vita, opere e soprattutto omissioni del padre.

E, cosa non secondaria, ha presentato il suo libro prossimo all’uscita e, dunque, trova in Vespa un naturale interlocutore. Che è persino costretto a far vedere prima domande e risposte per ottenere la liberatoria. Glorioso esempio di schiena dritta, momento epico per il giornalismo italiano.

Il figlio di Riina ha il merito di non tentare di presentarsi per quello che non é. Mafioso il padre, da mafioso si atteggia il figlio. Nessun infingimento se non quello di non presentarsi con lupara e coppola. Non presenta un finto quanto inutile pentimento per le malefatte del padre, che invece assolve.

E sebbene tenti di dipingere il boss dei corleonesi come un uomo a metà strada tra il padre modello e un candidato alla beatificazione, per quanto provi maldestramente a vendere una presunta innocenza riguardo le stragi e l’assassinio di Falcone e Borsellino, non tenta di proporre niente di nuovo rispetto alla dinamica processuale. Non era questo lo scopo dell’intervista, anche perché non é questo lo scopo del libro a cui l’intervista è funzionale.

Ma certo le sue parole rimbombano nelle teste dei familiari delle vittime di mafia e vedere seduto nel salotto dei plastici dell’ammiraglia Rai un personaggio che, sia pure da figlio, difende le malefatte del padre, non può certo annoverare la trasmissione di mercoledì sera come una pietra miliare del servizio pubblico. "Le colpe dei padri - diceva Gramsci - non debbono ricadere sui figli". Ma quando i figli le riconoscono come tali e non come meriti.

Le critiche per aver dato udienza ad una interpretazione negazionista ed assolutoria delle gesta criminali di Totò Riina sono arrivate da ogni dove. Quelle più aspre sono arrivate dalla Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, ma questo era prevedibile, sia per il ruolo istituzionale che per la sensibilità politica dell’ex ministro della salute.

Quello che invece non torna è la presunta correttezza dell’operazione che rivendica Vespa. Perché è lo stesso Vespa che, all’epoca dei cosiddetti “anni di piombo”, rivendicava con altrettanta baldanza il rifiuto da parte dei media di pubblicare i comunicati dei gruppi armati clandestini, Brigate Rosse in testa, perché non si voleva fungere da “cassa di risonanza” ai proclami di chi combatteva contro lo Stato.

Si può ritenere quella posizione giusta o sbagliata e, a distanza di anni, è persino possibile insistere a dispetto della storia politica e giudiziaria intervenuta. Ma non si capisce la ragione di una diversità di trattamento, sebbene è noto come gli editori di riferimento di Vespa non siano stati un esempio di equidistanza tra i due fenomeni.

Non si tratta di porre distinguo tra mafia e terrorismo, che non avrebbero senso, viste le diverse origini, ragioni, scopi e modalità con le quali hanno attraversato la storia del nostro paese. D’altra parte, tentare di associare un fenomeno di rottura dell’establishment (almeno nelle intenzioni) ad uno che invece ne rappresenta da sempre il consolidamento, sarebbe esercizio sperticato quanto sciocco.

Resta invece il doppio standard "giornalistico" che però con il giornalismo ha poco a che fare. E' piuttosto quasi una involontaria ammissione di sentieri del cuore inconfessabili, di verità indicibili. Per questo il contorto sentiero della professione s’inerpica sulla curva prima della quale c’è il mestiere da embedded e subito dopo la passione civile a un tanto al chilo. Per il terrorismo si usa quindi l’elmetto, per la mafia insorge invece un sobbalzo, chiamato affettuosamente diritto di cronaca.


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