Con la tregua appena prolungata tra Israele e le forze della Resistenza a Gaza, il livello di distruzione causato dal regime sionista nella striscia è stato mostrato al mondo in tutta la sua drammaticità. Se non esistono giustificazioni per i massacri sistematici e senza precedenti per intensità in rapporto alle dimensioni del territorio colpito e della sua popolazione, anche le motivazioni ufficiali delle operazioni militari, sostenute da Tel Aviv e dai governi occidentali, vengono progressivamente smentite dalle ricostruzioni che stanno emergendo attorno ai fatti del 7 ottobre scorso. Le vittime israeliane seguite all’attacco di Hamas e Jihad Islamica sono state probabilmente causate in buona parte non da queste ultime organizzazioni palestinesi, ma proprio dal “fuoco amico” delle forze armate sioniste.

Alcuni media indipendenti occidentali hanno dato rilievo alle numerose testimonianze dei sopravvissuti al fuoco nelle ore immediatamente successive all’attacco che ha colto di sorpresa Israele. Il racconto degli eventi del 7 ottobre è stato riportato anche da giornali e televisioni israeliane, che hanno così contribuito a disegnare un quadro decisamente più complicato rispetto all’equazione Hamas = terrorismo, propagandato dal regime di Netanyahu e dai suoi sostenitori in Occidente.

La prova più recente è stata segnala dal sito The Grayzone, che ha citato un servizio del network israeliano N12 News su una squadra composta interamente da militari donne, addette alla conduzione di carri armati durante le operazioni del 7 ottobre. Tra queste ultime, un capitano ventenne ha raccontato di avere ricevuto l’ordine, da un soldato “nel panico”, di aprire il fuoco sulle abitazioni che facevano parte del kibbutz Holit, nonostante non era chiaro se all’interno fossero presenti anche civili israeliani oltre a militanti di Hamas.

La stessa testimone ha spiegato che, dopo avere ricevuto l’ordine, aveva chiesto esplicitamente al suo superiore se vi fossero civili negli edifici da colpire. La risposta fu che questa informazione non era nota ai militari, ma che l’ordine era comunque di fare fuoco contro le abitazioni. Nel kibbutz di Holit sarebbero stati alla fine uccisi dieci cittadini di Israele.

Indagini precedenti avevano allo stesso modo evidenziato la risposta indiscriminata delle forze di occupazione all’attacco di Hamas e Jihad Islamica, senza troppi scrupoli per la sorte dei civili israeliani. Sempre The Grayzone la settimana scorsa aveva portato alla luce le vicende relative a un altro kibbutz al centro del blitz palestinese, quello di Be’eri. Qui erano state addirittura 112 le vittime tra i residenti israeliani, tra cui la dodicenne Liel Hetzroni, il cui decesso era stato subito sfruttato dalla propaganda anti-palestinese del regime di Netanyahu.

La causa della morte della bambina israeliana risulta chiara dalla testimonianza della 44enne Yasmin Porat, una dei due sopravvissuti al fuoco dei carri armati di Israele contro l’edificio in cui una quarantina di combattenti di Hamas avevano preso in ostaggio 15 israeliani. La testimone dei fatti ha rivelato alla rete televisiva pubblica israeliana Kan che i militanti palestinesi erano da alcune ore con gli ostaggi all’interno dell’abitazione, quando arrivarono le forze israeliane aprendo il fuoco senza nessun indugio. A morire nell’apocalisse che seguì furono quindi sia i membri di Hamas sia gli ostaggi israeliani. Un’altra conferma delle responsabilità delle forze sioniste è il fatto che il corpo di Liel Hetzroni, così come di altri residenti del kibbutz, non è stato ritrovato perché sepolto dalle macerie provocate dal fuoco devastante dei “tank” israeliani.

La strategia adottata dai vertici militari sionisti nel rispondere all’attacco palestinese lascia intendere che sia stata implementata la cosiddetta direttiva “Hannibal”. Questa disposizione prevista dalle forze armate dello stato ebraico ammette l’uso della forza contro il nemico anche in presenza di ostaggi israeliani. In questo modo viene dato cioè il via libera all’uccisione di questi ultimi per evitare che vengano fatti prigionieri dal nemico. La direttiva risponde alla necessità di limitare o azzerare del tutto il “rischio” di mettere nelle mani della Resistenza detenuti israeliani che possono essere poi scambiati per quelli palestinesi nelle carceri sioniste, spesso in numero maggiore rispetto ai primi.

La direttiva “Hannibal” viene chiamata in causa anche per un altro degli episodi più controversi dell’offensiva di Hamas del 7 ottobre, quello del rave Nova Festival, dove, secondo i dati diffusi inizialmente da Tel Aviv, morirono circa 260 giovani israeliani. Un articolo del quotidiano israeliano “liberal” Haaretz ha citato una fonte interna alla polizia che ha rivelato come, poco dopo l’arrivo dei militanti palestinesi nel luogo dell’evento musicale, fosse stato inviato un elicottero Apache che aprì il fuoco indiscriminatamente senza distinguere tra i combattenti di Hamas e i civili israeliani. Per il pilota del velivolo risultava complicato identificare i palestinesi, visto che indossavano abiti civili, e dopo qualche esitazione iniziale finì per sparare nonostante il rischio di uccidere giovani israeliani. Ad oggi, il bilancio ufficiale della strage al rave Nova Festival è stato alzato a 364 vittime.

La condotta delle forze sioniste il 7 ottobre scorso spiega in buona parte il numero elevato di morti in seguito all’assalto di Hamas e Jihad Islamica oltre i confini della striscia, prima stimato in 1.400 e in seguito ridotto a 1.200. La propaganda israeliana e occidentale che aveva immediatamente descritto atrocità indicibili da parte dei militanti palestinesi, pronti a sparare contro chiunque, nonché a decapitare bambini e a stuprare donne israeliane, è a poco a poco crollata per lasciare spazio a una realtà molto più sfumata.

Ad esempio, la versione di Tel Aviv stride con le testimonianze degli stessi ostaggi israeliani rilasciati da Hamas, molti dei quali hanno assicurato di essere stati trattati con estremo riguardo e confermato che l’obiettivo dei combattenti palestinesi era di portare il maggior numero possibile di israeliani a Gaza. Hamas e Jihad Islamica puntavano evidentemente ad avere molti ostaggi israeliani da scambiare con i palestinesi che affollano le prigioni dello stato ebraico. Per questa ragione, e per limitare la propaganda negativa israeliana e occidentale, le vittime civili dovevano essere limitate al massimo e, infatti, i vertici delle due organizzazioni della Resistenza avevano da subito affermato di avere preso di mira esclusivamente i militari israeliani.

È evidente che il regime di Netanyahu non ordinerà nessuna indagine sui fatti del 7 ottobre, perché il racconto di una violenza cieca da parte di Hamas rappresenta un’arma di propaganda utile a disumanizzare tutto il popolo palestinese e giustificare il genocidio in corso a Gaza. Proprio perché la favola di Hamas indistinguibile dall’ISIS ha invaso i circuiti mediatici mainstream, il regime sionista è stato in grado di incassare il sostegno iniziale di una parte significativa dell’opinione pubblica occidentale.

Con il procedere dei massacri di civili palestinesi e il cedimento della propaganda ufficiale di fronte al dilagare di immagini raccapriccianti dalla striscia, l’opposizione alla strage quotidiana per mano di Israele è però cresciuta come un’onda, fino a mettere in seria crisi sia il regime di Netanyahu, costringendolo ad accettare almeno una tregua.

In attesa della possibile ripresa dei massacri da parte di Israele, resta aperto l’interrogativo posto da un recente articolo della testata on-line libanese The Cradle a proposito della direttiva “Hannibal”: se, cioè, il regime sionista “mostra così poco rispetto per le vite dei suoi abitanti-coloni”, quali speranze di pace e normalità restano al popolo palestinese?

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