La testata on-line Politico ha lanciato un allarme questa settimana per il serissimo problema che l’Europa sarà chiamata al più presto ad affrontare. La questione non ha a che fare con il processo di deindustrializzazione forzata o il venir meno di fonti energetiche a basso costo a causa delle (auto-)sanzioni e delle politiche suicide innescate dalla guerra in Ucraina. Il “problema” a cui si riferisce il popolare sito di news è piuttosto l’atteggiamento del primo ministro della Slovacchia, Robert Fico, diventato subito dopo l’assunzione del suo incarico lo scorso ottobre una delle per ora pochissime voci critiche della campagna guerrafondaia e anti-russa dettata da Washington e sposata in pieno da questa parte dell’Atlantico.

Come già per il caso dell’Ungheria, la coincidenza delle posizioni del nuovo governo di Bratislava con le accuse di essere sul punto di smantellare le fondamenta del sistema democratico slovacco ed europeo è altamente sospetta. I commenti di media e politici atlantisti non cercano nemmeno di dissimulare il collegamento tra le denunce dell’aspirante “dittatore” Fico e le loro fissazioni russofobe. In tutte le dichiarazioni di questi mesi si ribadisce e si denuncia infatti come un crimine imperdonabile l’attitudine conciliante del premier slovacco nei confronti di Mosca.

Alla vigilia delle elezioni presidenziali, in programma sabato prossimo in Slovacchia, l’Europa è così tornata alla carica con le accuse di mettere in pericolo la legalità democratica. Al centro degli attacchi c’è in particolare la riforma della Giustizia del governo sostenuto da una coalizione formata dal partito socialdemocratico di Fico (SMER), da un’altra formazione di centro-sinistra (“Hlas”) e dai nazionalisti del Partito Nazionale Slovacco. Il punto più controverso è la soppressione della procura speciale incaricata di indagare sui casi più eclatanti di corruzione nel paese e che nel recente passato aveva preso di mira soprattutto esponenti del partito di Fico o uomini d’affari ad esso vicini.

L’intervento legislativo in ambito giudiziario era già stato uno dei temi su cui si era basata l’offensiva di Bruxelles contro il governo ungherese di destra del primo ministro, Viktor Orbán, oggetto di varie “procedure di infrazione”. Come nel caso di Budapest, anche per Bratislava si parla ora di un possibile stop al trasferimento di fondi UE. Il deputato europeo per la Slovacchia e vice-presidente del Parlamento Europeo, Martin Hojsík, ha sollecitato misure urgenti nei confronti di Fico se il suo governo dovesse proseguire sull’attuale “percorso illiberale”.

La Commissione Europa sembra per il momento prudente sulla vicenda. La Reuters ha citato un funzionario europeo che spiega come a Bruxelles si stia cercando di mantenere un certo equilibro per non “alienare” ancora di più il governo slovacco. Il ricatto è chiaramente lo strumento preferito dagli ambienti di potere europei per rimettere in riga un membro che intende perseguire politiche indipendenti. C’è però anche il timore che l’isolamento della Slovacchia, dopo l’esperienza ungherese, possa alimentare l’insofferenza che circola dietro le apparenze di unità, in particolare con gli appuntamenti elettorali del prossimo futuro che preannunciano una possibile ondata populista in Europa.

In campagna elettorale e subito dopo il voto dello scorso autunno, Fico aveva insistito sulla necessità di invertire la rotta circa il sostegno all’Ucraina nella guerra contro la Russia. Il leader social-democratico slovacco riteneva economicamente e militarmente insostenibile, oltre che inutile, lo sforzo per prolungare il conflitto. L’argomento è particolarmente caldo per un piccolo paese senza significative risorse come la Slovacchia e, infatti, la vittoria del partito SMER alle urne è stato dovuto alla popolarità della proposta più moderata in politica estera di Fico rispetto al precedente gabinetto atlantista.

Diventato premier per la quarta volta, aveva così decretato la sospensione dell’invio di armi ed equipaggiamenti militari al regime di Zelensky. Anche se per lo più simboliche, le forniture arrivate a Kiev da Bratislava avevano svuotato i depositi di armi slovacchi. La decisione di Fico ha comunque incontrato il disappunto UE, se non altro per il danno all’immagine di presunta compattezza nel sostegno all’Ucraina, già intaccata dalle posizioni ungheresi. Una fermezza, quella europea, che si scontra anche col fatto che Fico, a differenza di Orbán, non ha finora bloccato nessun provvedimento a favore dell’Ucraina in sede UE.

Le manovre per punire Fico e il suo governo sono state così messe in atto rapidamente. Secondo alcuni, ad esempio, il recente ritiro dalla Slovacchia del sistema di difesa antiaereo italiano SAMP/T sarebbe stato deciso come ritorsione nei confronti del nuovo governo. L’opzione più importante è tuttavia il già ricordato congelamento degli aiuti europei, come era stato fatto con l’Ungheria di Orbán. Il procedimento richiede ad ogni modo almeno alcuni mesi e per il momento la minaccia resterà un’arma di pressione su Fico.

L’altro fronte che sembra preoccupare l’Europa è quello dell’intervento del governo slovacco sui media pubblici, secondo Bruxelles invariabilmente per controllare gli organi di stampa e imporre la propria linea, anche in questo caso sull’esempio di Budapest. Fico ha attaccato l’emittente pubblica slovacca (RTVS) per l’atteggiamento “ostile” e “non abbastanza obiettivo”, mentre il suo ministro della Cultura, Martina Šimkovičová, starebbe preparando una proposta di legge per sostituire la rete pubblica con un nuovo soggetto (STaR), secondo Politico “guidato da dirigenti di nomina politica”.

Le critiche rivolte alla Slovacchia per il tentativo di cancellare l’indipendenza dei media appaiono in qualche modo surreali in un clima giornalistico europeo e occidentale in genere dominato da network pubblici e grandi conglomerati privati che agiscono da casse di risonanza dei rispettivi governi. Senza citare poi la censura pura e semplice imposta ai media russi dopo l’inizio delle operazioni militari in Ucraina nel febbraio 2022.

In generale, l’Europa sembra riscoprire i valori del diritto e della democrazia quando uno dei suoi membri si discosta dalla linea ufficiale condivisa, negli ultimi due anni riguardo all’Ucraina e alla crociata anti-russa. Il “pericolo” rappresentato dalla Slovacchia di Robert Fico, a un’analisi razionale, impallidisce di fronte alla deriva anti-democratica e autoritaria in cui annega da tempo un’UE che ha essa stessa affossato la propria credibilità e legittimità agli occhi degli europei.

Mentre Orbán e Fico sono sottoposti a pressioni e minacce, nel resto del “giardino” europeo si è ad esempio sempre più vicini alla cancellazione di fatto del diritto di protestare ed esprimere il dissenso contro le politiche dei governi (vedi Francia e Germania). Oppure in Italia viene ratificato un accordo in totale violazione del diritto internazionale con l’Albania per tenere lontani i migranti. Solo di qualche giorno fa è inoltre la notizia del patto sottoscritto dall’Europa con il macellaio egiziano al-Sisi da svariati miliardi di euro, sempre per combattere l’immigrazione clandestina.

Riguardo alla Russia, invece, la democraticissima Europa sta studiando un meccanismo per mettere le mani sui fondi di Mosca congelati – illegalmente – nelle banche europee (300 miliardi di dollari), rubandoli di fatto al legittimo proprietario. Nei giorni scorsi avrebbe ottenuto un ampio consenso la proposta del capo della diplomazia UE, Josep Borrell, di utilizzare gli interessi generati dal denaro russo per acquistare armi destinate all’Ucraina. Infine, se da un lato si eccepisce sulle riforme “anti-democratiche” allo studio a Bratislava, dall’altro si continua a sostenere e glorificare un regime ultra-autoritario e infestato dal nazismo come quello di Zelensky, che ha liquidato tutti i partiti di opposizione, cancellato le elezioni, perseguitato la chiesa ortodossa e represso violentemente il dissenso interno.

La raffica di interventi pubblici di politici europei e di articoli pubblicati sui media ufficiali in merito al “problema” slovacco servono nell’immediato a influenzare l’esito delle elezioni presidenziali del prossimo fine settimana. La carica di presidente in Slovacchia è in larga misura simbolica, ma l’eventuale elezione di un alleato di Fico, come appunto il favorito Peter Pellegrini, toglierebbe all’UE uno strumento per fare pressioni su un premier ritenuto filo-russo e anti-europeista. I sondaggi indicano un certo equilibrio tra l’ex primo ministro e il candidato dell’opposizione liberale europeista, l’ex ministro degli Esteri ed ex ambasciatore negli Stati Uniti, Ivan Korčok. Anche se Pellegrini è in leggero vantaggio, è quasi certo che i due si sfideranno in un secondo turno di ballottaggio.

Per dare un’idea della campagna in atto è sufficiente citare lo “scoop” della testata “investigativa” VSquare, riportata tra gli altri dal britannico Guardian nella giornata di martedì. Su Pellegrini graverebbe cioè una colpa gravissima, come la richiesta, fatta al governo Orbán quando era primo ministro della Slovacchia nel 2020, di organizzare una visita a Mosca un paio di giorni prima delle elezioni, presumibilmente per promuovere la propria immagine tra gli elettori filo-russi. La finta notizia-bomba, com’è facilmente immaginabile, sarebbe arrivata ai reporter di VSquare dall’agenzia di intelligence di un non meglio definito paese europeo. Orbán aveva dato incarico al suo ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, di occuparsi della questione. Pellegrini aveva alla fine avuto modo di incontrare il premier russo, Mikhail Mishustin.

La ridicola “esclusiva” pre-elettorale è stata letteralmente smontata dalla dichiarazione rilasciata dal ministero degli Esteri ungherese: “Se il ministero riceve una richiesta di stabilire o consolidare contatti con altri paesi e la richiesta non è contraria agli interessi nazionali dell’Ungheria, siamo sempre pronti a contribuire. Questa si chiama diplomazia”. Sempre a proposito dei canali di comunicazione tra Budapest e Mosca, il ministro Szijjártó aveva recentemente risposto in questo modo alle critiche del primo ministro ultra-atlantista polacco Donald Tusk: “Il premier polacco resterebbe sorpreso nel sapere quanto è lunga la lista di politici europei che mi hanno chiesto aiuto negli ultimi anni per stabile contatti con i russi”.

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