Una causa attualmente all’attenzione della Corte Suprema americana minaccia di ridurre in modo drastico le entrate dei sindacati del settore pubblico negli Stati Uniti, restringendone ulteriormente il peso e l’influenza dopo anni di guerra condotta dagli ambienti della destra americana contro i presunti rappresentanti dei lavoratori.

 

Il caso - “Janus contro AFSCME” (Federazione Americana dei Dipendenti di Stati, Contee e Municipalità) - ruota attorno alla costituzionalità delle cosiddette “agency fees”, cioè le quote raccolte dai sindacati tra quei lavoratori non iscritti ma che godono ugualmente dei benefici derivanti dalla loro attività di contrattazione.

 

Questa forma di contributo da destinare ai sindacati è prevista in una ventina di stati americani. Varie iniziative di legge, quasi sempre repubblicane, hanno invece abolito altrove l’obbligatorietà della pratica e privato le stesse organizzazioni dei dipendenti pubblici di decine di milioni di dollari in entrate.

 

 

Il procedimento finito alla Corte Suprema di Washington era scaturito da un’ordinanza emessa dal governatore repubblicano dell’Illinois, Bruce Rauner, per mettere fuori legge le “agency fees” relativamente ai dipendenti pubblici del suo stato. Questa decisione era stata oggetto di una causa legale che aveva portato a un verdetto contrario al governatore, in quanto non coinvolto in una pratica riguardante i soli sindacati e i lavoratori che essi rappresentano.

 

I veri promotori della causa avevano allora reclutato un dipendente della sanità pubblica dell’Illinois, Mark Janus, per presentare una nuova denuncia, finita appunto alla Corte Suprema. Janus sostiene che l’obbligo di finanziare un’organizzazione a cui non è iscritto viola il diritto di libertà di espressione previsto dal Primo Emendamento alla Costituzione americana. Ciò sarebbe dovuto al fatto che i sindacati svolgono attività politiche, in larga misura a sostegno del Partito Democratico, che possono risultare contrarie alle posizioni e alle idee di coloro da cui ricevono i versamenti previsti per legge.

 

Le associazioni sindacali odierne, rappresentanti i dipendenti pubblici o privati, negli USA come altrove, hanno smesso da tempo di essere realmente al servizio degli interessi dei lavoratori. Esse svolgono piuttosto un ruolo cruciale di contenimento delle tensioni sociali, implementando le decisioni dei datori di lavoro e riuscendo talvolta a ottenere benefit tutt’al più trascurabili, ma sempre con l’impegno di isolare e dividere le varie categorie di lavoratori o, addirittura, le singole realtà lavorative.

 

In uno scenario simile, l’obbligo imposto ai lavoratori non iscritti ai sindacati di versare contributi, che finiscono nelle casse di organizzazioni sostanzialmente allineate ai datori di lavoro, appare tutt’altro che legittimo. Ciononostante, le ragioni di coloro che combattono contro queste pratiche sono totalmente reazionarie e intendono combattere il principio della rappresentanza dei lavoratori in quanto tale, se non i loro stessi diritti.

 

Il caso su cui dovrà esprimersi la Corte Suprema è comunque il culmine di una guerra alle “agency fees” che è in atto da anni come fronte più recente dell’assalto alla rappresentanza sindacale. L’obiettivo è quello di ribaltare le posizioni del tribunale costituzionale americano espresse con una sentenza del 1977.

 

In essa, la Corte Suprema aveva appunto stabilito il principio del contributo generalizzato a organizzazioni che dovrebbero operare a favore di tutti i lavoratori, compresi quelli privi di tessera sindacale.

 

Negli ultimi anni, vari stati americani hanno adottato leggi contro le “agency fees”, mentre alcune sentenze della stessa Corte Suprema hanno contribuito a indebolirne le fondamenta, sia pure senza mai negare del tutto la legittimità del principio. Il costante spostamento a destra del baricentro ideologico della Corte preannuncia però da tempo una decisione definitiva contraria ai sindacati.

 

Nel 2016, un caso simile a quello odierno aveva lasciato la situazione invariata solo perché la morte improvvisa del giudice ultra-reazionario Antonin Scalia aveva portato a un risultato di parità all’interno della Corte Suprema. Oggi, però, la presenza del nuovo giudice Neil Gorsuch, nominato dal presidente Trump, rende quasi certa una sentenza sfavorevole alle organizzazioni sindacali del settore pubblico.

 

Un parere di questo genere finirebbe per avere conseguenze su tutto il territorio americano. Media e commentatori “liberal”, così come esponenti e sostenitori del Partito Democratico, a cui fanno riferimento la gran parte dei sindacati USA, sono perciò in estremo allarme in vista della decisione della Corte Suprema.

 

In molti paventano già la fine dei sindacati stessi, anche se i timori riguardano più che altro la possibilità che il Partito Democratico si ritrovi privato di contributi e attivisti tradizionalmente garantiti dalle associazioni dei lavoratori. Una delle ragioni della guerra ai sindacati da parte dei repubblicani è peraltro quella di colpire i democratici prosciugando le entrate dei sindacati che li appoggiano politicamente.

 

Il dibattito sul caso “Janus contro AFSCME” rivela però soprattutto il duplice approccio della classe dirigente americana ai sindacati e al loro ruolo nella società capitalistica. Il Partito Democratico e gli ambienti di potere che a esso fanno riferimento ritengono i sindacati indispensabili per tenere sotto controllo i lavoratori e dirottare rivendicazioni e malumori di questi ultimi in una direzione innocua per il sistema.

 

Preoccupazioni simili le ha espresse ad esempio un recente intervento dell’opinionista “liberal” del Washington Post, Dana Milbank, il quale ha avvertito i sostenitori della causa anti-sindacale che l’eventuale indebolimento di queste organizzazioni rischia di far riapparire “lo spettro delle agitazioni dei lavoratori in tutto il paese”.

 

In questi decenni, in cui i sindacati del settore pubblico hanno potuto contare sui contributi anche dei non iscritti, gli scioperi sono stati infatti estremamente ridotti, mentre il tentativo di ridimensionarne il ruolo minaccia di dare nuovo impulso alla militanza di una “working-class” americana che sta già mostrando più di un segnale di risveglio.

 

Per il Partito Repubblicano e gli ambienti di potere e del business più reazionari, invece, le associazioni sindacali, malgrado l’ormai estrema docilità, restano elementi di intralcio all’imposizione pura e semplice di condizioni di lavoro sempre più brutali, così che la loro scomparsa o marginalizzazione, anche attraverso una sentenza della Corte Suprema, risulterebbe tutt’altro che sgradita.

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