di Fabrizio Casari

Sarà l'entusiasmo del San Paolo, sarà l'eccitazione che i ragazzi di Mazzarri vivono ormai da mesi, sarà un Milan al di sotto delle attese, ma quando Cavani trova le serate come questa, c'é poco da fare, il risultato é scritto prima ancora di cominciare. Ibra a casa non basta a giustificare un Milan in panne. Il Napoli entusiasta e il Milan molle sono la fotografia di una partita che non ha mai avuto storia. E, nonostante i soliti aggiustamenti di calendario (Galliani é uno specialista della materia) i partenopei sono scesi in campo con una carica agonistica e una voglia di vincere che il Milan non aveva. Il 3 a 1 é risultato giusto di una partita che non ha mai avuto storia, nemmeno quando il Milan si era trovato in vantaggio.

Tutt'altro spettacolo da quello visto al Meazza 24 ore prima. Negli ultimi cinque-sei anni di calcio italiano, Inter e Roma hanno dato vita alla parte più spettacolare del torneo. La lotta tra le due squadre è stata sempre per stabilire quale delle due potesse puntare al titolo e le sfide sul campo facevano felici i pallottolieri. Gol e giocate di gran classe illuminavano partite al cardiopalma. Quest’anno, invece, la prima sfida è stata all’insegna di una serata per cuori deboli. Uno spettacolo sostanzialmente noioso, quello andato in scena al Meazza e un risultato giusto per quello che si è visto e soprattutto per quello che non si è visto.

Due allenatori discussi e discutibili, due squadre con un ritmo da oratorio, un pubblico che non sa nemmeno se fischiare o sospirare. A sentire la vulgata generale, pare che la Roma abbia fatto una grande partita e l’Inter no. Certo che i nerazzurri non hanno brillato, ma per definire quella della Roma una grande partita ci vuole coraggio e tifo sperticato.

I giallorossi hanno avuto maggiore controllo palla e maggiore presenza nella metà campo avversaria, ma in tutta la partita solo un tiro nello specchio della porta. Non è propriamente quanto ci si aspetta da una squadra che si dice votata all’attacco: e se era votata alla difesa che faceva? Solo la fortuna li ha graziati, dato che Milito si è divorato un gol e tre riti - Zarate, Nagatomo e Forlan - hanno sfiorato l’incrocio dei pali, mentre un altro di Snejider è stato respinto sulla linea da Kriajer.

Si vedrà anche l’embrione di un gioco, ma per ora la Roma è lenta e noiosa, non ha più quelle accelerazioni improvvise e quella velocità negli scambi che la rendevano pericolosissima per chiunque. E’ prevedibile, lenta e, senza la classe di De Rossi e il suo senso della posizione in mezzo ai due centrali di difesa, prenderebbe gol con una certa facilità.

Il che non significa che il modulo di Luis Enrique non sia intelligente e che non possa divenire vincente, ma serve ben altra condizione fisica e velocità. De Rossi, sistemato al centro della difesa, svolge il ruolo di player difensivo più indietro, quindi al riparo dal pressing del centrocampo avversario e, con Pizarro in linea verticale può aprire spazi alle due punte che si allargano e ai centrocampisti che s’inseriscono. Ma questo in teoria, perché se non hai Iniesta, Xavi e Messi in mezzo e Pedro e Villa sulle corsie, allora solo l’estrema velocità d’esecuzione può realizzare lo schema.

Se però è la lentezza a sovrastare la qualità, allora la storia è diversa. Se la Roma non avesse incontrato un’Inter così mal messa, completamente involuta sotto l’aspetto del gioco e del carattere, sarebbe uscita sconfitta. E, visto che i media celebrano l’originalità dell’allenatore spagnolo, mettere Taddei e Perrotta sulle fasce non è filosofia calcistica, ma bestemmia tattica. Se ieri nell’Inter sulle fasce ci fossero stati Maicon e Chivu, sarebbero stati dolori per il credo calcistico di Luis Enrique.

L’Inter dal canto suo paga una preparazione precampionato a metà, una campagna acquisti che certifica come si rinvii di un anno la ricostruzione e un tecnico che deve ancora capire che non è possibile prendere campioni che hanno vinto tutto giocando in un modo e pensare di fargli cambiare tutto. E’ una squadra dove i migliori sono in debito di condizione e con un’età non più verde e i rinforzi arrivati non sono nemmeno lontanamente paragonabili alla vecchia compagine. Per giunta, Milito conferma il trand dell’anno scorso, mangiandosi gol fatti. Poi, Gasperini, ci mette del suo. Quando Pazzini resta in panchina per vedere Muntari in campo, lo stadio giustamente fischia, perché l’Inter rimane senza prime punte.

Gasp sostiene che aveva bisogno di rinforzare la mediana perché Snejider era stanco, e che proprio dopo il suo ultimo cambio l’Inter ha avuto le occasioni migliori. Ma la partita ha detto esattamente il contrario: Snejider non era poi così stanco, visto che è stato il più attivo e semmai è stato il cedimento fisico della Roma che ha spostato il baricentro dei nerazzurri più avanti consentendo le occasioni  da rete. Proprio per questo se invece che Muntari ci fosse stato Pazzini, i nerazzurri avrebbero concluso ben diversamente la partita.

Gasperini ha fatto la scelta di chi aveva paura di perdere partita e impiego. Dimenticandosi che l’Inter in casa non può rinunciare a vincere per timore di perdere; questo è un ragionamento che può andar bene a Genova o a Crotone, non a Milano. Mourinho, per intenderci, avrebbe inserito quattro punte e vinto, come spesso ha fatto. La differenza abissale con il passato e il presente sta anche qui.

Entrambe le squadre hanno poi dimostrato la crescente insufficienza delle loro bandiere: Totti da un lato e Zanetti dall’altro, sono ormai alle prese con evidenti limiti fisici e, nel contempo, vittime di meccanismi di gioco che gli sono estranei. Restano la classe e l’abnegazione di entrambi, ma la sensazione è che giochino per i nomi e la storia che portano e non per l’effettiva necessità di schierarli. Il che non fa bene né alle loro squadre, né alla loro storia.

La Lazio è decisamente bifronte: un conto è quella del primo tempo, un’altra quella del secondo. Il modulo che impiega Reja non è certo utile ad esaltare le individualità di cui dispone, ma è proprio la tenuta fisica che si rivela precaria. Dopo il pareggio a Milano e quello di coppa, una sconfitta come quella patita ad opera del Genoa comincia a insinuare dubbi circa le ottimistiche previsoni d’inizio campionato.

Prosegue la corsa dell’Udinese, che batte anche la Fiorentina, mentre il Bologna rimedia la seconda sconfitta. Parma e Catania muovono le rispettive classifiche, mentre il Siena, come ci si attendeva, cede di fronte alla Juve del suo ex-allenatore. Il Palermo, subito celebrato per aver battuto l’Inter, è andato a sbattere contro nerazzurri d’inferiore caratura. Sul campo dell’Atalanta, infatti, prima Denis e poi un nubifragio hanno cancellato le velleità rosanero.

Per quello che può valere con due sole gare giocate, la classifica indica la Juventus al comando insieme al Napoli, al Cagliari e all’Udinese e solo due squadre a zero punti, il Cesena e il Bologna, seguite dall’Atalanta penalizzata che si trova a meno due. Ma, sorprese a parte, che comunque in ogni campionato ci sono, statisticamente, per almeno le prime cinque giornate, una classifica siffatta era in parte ipotizzabile sin dall’inizio, quando si è letto il calendario del campionato.

La Juventus degli Agnelli ha le prime quattro gare con squadre di medio-bassa classifica, mentre per Roma, Inter, Napoli e Milan gli impegni sono decisamente di diverso spessore, e tre delle quattro hanno anche il girone delle coppe. Prima o poi s’incontrano tutte le squadre, così che un vantaggio iniziale non ha significato, dicono alcuni. Ma, dicono altri, arrivare a fine ottobre con una sei o sette di punti di vantaggio sui competitor non è poco e favorisce ulteriormente il fatto d’incontrare poi le grandi con il rodaggio d’inizio campionato già effettuato. Del resto, sia sui media che nel Palazzo c’è molta voglia di Juve. Vuoi vedere che anche il campionato ha i suoi incentivi?

 

 

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