"Quella della Palazzina Laf è la storia di uno dei più famigerati 'reparti lager' del sistema industriale italiano. È la storia di un caso giudiziario che ha fatto scuola nella giurisprudenza del lavoro". Così Michele Riondino introduce il suo esordio alla regia con Palazzina Laf. Siamo nel 1997 e Caterino, uomo semplice e rude è uno dei tanti operai che lavorano nel complesso industriale dell’Ilva di Taranto. Vive in una masseria caduta in disgrazia per la troppa vicinanza al siderurgico e nella sua indolenza condivide con la sua giovanissima fidanzata il sogno di trasferirsi in città. Quando i vertici aziendali decidono di utilizzarlo come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi, Caterino comincia a pedinare i colleghi e a partecipare agli scioperi solo ed esclusivamente alla ricerca di motivazioni per denunciarli.

 

Ben presto, non comprendendone il degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina Laf, dove alcuni dipendenti, per punizione, sono obbligati a restarvi privati delle loro consuete mansioni. Questi lavoratori non hanno altra attività se non quella di passare il tempo ingannandolo giocando a carte, pregando o allenarsi come fossero in palestra. Caterino scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un paradiso, in realtà non è che una perversa strategia per piegare psicologicamente i lavoratori più scomodi, spingendoli alle dimissioni o al demansionamento. E che da quell’inferno per lui non c’è via di uscita. Sullo schermo, insieme a Riondino, un incisivo Elio Germano, nei panni di Giancarlo Basile, spietato dirigente Ilva.

Riondino, attivista da anni sulla questione legata alla più grande acciaieria europea, non nasconde la volontà di aver voluto realizzare un film politico: "Questo film vuole essere una sorta di affresco sociale, non vuole raccontare quello che succede oggi a Taranto, ma quello che oggi viviamo è sicuramente frutto del disinteresse di chi nel 1995 ha sacrificato un’intera città sull’altare del proprio capitale", afferma.

Tutti i fatti narrati nel film sono, infatti, frutto di interviste fatte a ex lavoratori Ilva ed ex confinati, e i passaggi finali sono dettagliatamente presi dalle carte processuali che hanno determinato la condanna degli imputati e il risarcimento delle vittime.

"Per la prima volta - prosegue il regista - il confino in fabbrica fu associato a una forma sottile di violenza privata e per merito di questa sentenza un termine ancora non riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico fu finalmente introdotto. Quello della palazzina Laf fu il primo caso di mobbing in Italia".

Il giornalista e scrittore Alessandro Leogrande, che avrebbe dovuto co-firmare la sceneggiatura assieme a Riondino e a Maurizio Braucci e che è venuto a mancare durante la lavorazione, aveva indagato sui reparti lager, affermando: "Ai lavoratori 'confinati' non è chiesto di produrre, ma di trascorrere le giornate senza fare niente, guardando il soffitto o girandosi i pollici, fino a quando quel lento, prolungato stato di inazione non diventa una forma estrema di violenza contro la propria mente e il proprio corpo. In breve, il confinato diventa monito per tutti gli altri, per tutti quelli, cioè, che continuano a lavorare alla catena. Se non ti comporti bene, ecco cosa ti aspetta... Allo stesso tempo, chi è spedito in un reparto confino è costantemente esposto al ricatto di passare dal confinamento al licenziamento, di cadere dalla padella nella brace".

A firmare la colonna sonora è Antonio Diodato, con La mia terra, canzone che ha un legame profondo con il senso politico del film. Una dedica amara e dolorosa alla città di Taranto.

Palazzina Laf (Italia, 2023)

Regia: Michele Riondino

Cast: Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D'Addario

Distribuzione: Bim Distribuzione

Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Michele Riondino

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