di Roberta Folatti

Donne che si perdono, donne che si ritrovano

Il mare di Tel Aviv fa da testimone a impercettibili cambiamenti, calmo e fluessuoso sembra suggerire la giusta direzione. E’ un film molto visivo Meduse, alcune inquadrature sono veri e propri quadri, fotografie piene di simboli. La regia è di due esordienti Etgar Keret e Shira Geffen, marito e moglie che solitamente gravitano attorno al mondo della letteratura. Lui ha pubblicato dei racconti brevi, malinconici e vagamente surreali, che hanno avuto molto successo in Israele e rispecchiano la struttura di questo film particolare. Lei è l’autrice della sceneggiatura. Il debutto nel cinema ha portato alla coppia israeliana la Camer d’Or all’ultimo Festival di Cannes. “Meduse” è fatto di piccole storie impalpabili, sussurrate, a tratti – e questa è la critica che si può fargli – quasi inconsistenti. Sono vite che si intrecciano, vite bloccate per un ingorgo di emozioni, vite che trovano nuova linfa in seguito a incontri casuali.

Batya è appena stata lasciata dal fidanzato al quale non ha saputo dire “resta” e sembra prigioniera di un eterno sbigottimento, che diventerà forse consapevolezza quando si prenderà cura per un po’ di una misteriosa bambina uscita dal mare. Così risponde Shira Geffen alla domanda sull’origine di “Meduse”: "Viene da un ricordo d’infanzia che mi ha profondamente segnata. Quand’ero piccola un giorno i miei mi hanno portata al mare, mi hanno messo un salvagente e poi, dopo avermi promesso un gelato, hanno cominciato a litigare con molta violenza... per questo tutti i personaggi del film si sentono dimenticati da qualcuno, soprattutto Batya che mi somiglia". La ragazza ha una famiglia divisa, i genitori pensano alle proprie vite e alle propprie carriere, dando per scontata quella figlia che non hanno mia provato a capire veramente. Ma l’arrivo di una bambina dai grandi occhi tristi, che rappresenta forse l’immagine di Batya stessa da piccola con le sue richieste inascoltate, smuove dal torpore la ragazza.
La storia più riuscita è quella della giovane coppia di sposi che per un banale incidente durante la festa di nozze è costretta a trascorrere la luna di miele in un hotel di Tel Aviv invece che ai Caraibi. Non c’è modo migliore per conoscersi e per sperimentare le rispettive idiosincrasie che rimanere rinchiusi in una stanza d’albergo dall’aspetto opprimente. E da dove non si vede il mare.
Ma ad un certo punto anche qui compare una figura misteriosa – una scrittrice che occupa la suite e che sembra cercare ispirazione per un nuovo romanzo. In realtà l’ispirazione che cerca riguarda la sua vita che ha preso una piega tragica, e il destino contribuirà a spingerla nella direzione tracciata. La terza storia ha per protagoniste un’anziana madre, la figlia attrice e una badante filippina, il cui unico pensiero è rivolto al figlioletto lontano. Il modo brusco in cui viene trattata non le impedirà di fare da ponte tra le due donne, che non comunicavano più da molto tempo, paralizzate da reciproche incomprensioni.
“Meduse” punta ad attivare i canali emotivi e sensoriali degli spettatori, si affida a trame esilissime per rappresentare le interiorità dei suoi personaggi. Non sempre il gioco riesce, la vicenda di Batya e della bimba col salvagente è forse la meno felice, coi suoi rimandi confusi all’inconscio e al doppio psicoanalitico. Il film di Keret e Geffen è un po’ spiazzante, molto letterario, a tratti confuso ma comunque degno di interesse.

Meduse (Israele, Francia, 2007)
Regia: Etgar Keret e Shira Geffen
Sceneggiatura: Shira Geffen
Cast: Sarah Adler, Nikol Leidman, Gera Sandler, Noa Knoller, Ma-nenita De Latorre
Distribuzione: Sacher Distribuzione



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