di Roberta Folatti

Strumenti diversi per lo stesso spartito

Per uno come Walter Vale, con scarsa propensione ai rapporti sociali, ritrovarsi l’appartamento invaso da estranei avrebbe potuto apparire come un vero affronto. Ma la sua apatia emotiva, che lo spinge a ripetere da vent’anni lo stesso corso universitario, senza cambiare di una virgola il programma, e una dose di buona educazione unita a una mitezza di fondo, lo fanno reagire da gentiluomo, senza strepiti, con comprensiva disponibilità. In fondo L’ospite inatteso del titolo è proprio lui, che compare improvvisamente nelle vite di Tarek e Zainab, lui siriano, lei senegalese, entrambi clandestini, finiti nella sua seconda casa di New York per le manovre truffaldine di qualcuno che sui clandestini ci specula. La giovane coppia scopre che l’affitto che paga non va al vero proprietario e fa subito i bagagli, scusandosi con Walter e defilandosi nella metropoli. Ma in quel breve incontro qualcosa è scattato, forse una sotteranea empatia propagata dalla musica: Walter era sposato con una pianista e sta tentando da tempo di imparare a suonare quello strumento, Tarek è un virtuoso del tamburo. Linguaggi diversissimi accomunati però da una sensibilià particolare che scardina le difese di Walter e lo mette in sintonia col giovane siriano, aprendogli canali emotivi otturati da tempo. Forse da sempre.

Così la magia, sobillata da un incontro imprevisto e da poche note musicali lasciate aleggiare nell’aria di una stanza, spingono l’austero professore ad accogliere Tarek e Zainab nel suo appartamento in attesa che trovino un’altra sistemazione. Le vicende dei due giovani e i loro problemi divengono parte della vita di Walter che se ne farà coinvolgere con un’intensità inaspettata.

Il secondo lungometraggio di Tom McCarthy sorprende per maturità, delicatezza del tocco e per la capacità di emozionare con una storia apparentemente semplice, che esclude qualsiasi colpo di scena se non quelli interiori. Dentro i personaggi in effetti molto succede, sopratutto dentro Walter che pur mantenendo una certa glacialità di modi, ritrova la sua umanità, il gusto di sorridere e anche quello di soffrire. E la capacità di indignarsi di fronte alle palesi prevaricazioni a cui è sottoposto Tarek, dopo l’arresto e la reclusione in un centro di detenzione per clandestini. Senza aver fatto nulla. Ma dopo l’11 settembre questo non basta, i sospetti circondano chiunque provenga dal mondo arabo o abbia semplicemente lo status di immigrato clandestino.

Un paese accogliente come l’America si è trasformato, per colpa di leggi aggressive e ingiuste, in un luogo in cui è difficile vivere, in cui anche gli innocenti vengono triturati da un mostruoso ingranaggio. “L’ospite inatteso” riporta le cose nella loro giusta dimensione allontanando - con l’estrema civiltà dei suoi personaggi, di tutti, bianchi, neri, solo un po’ scuri – l’ossessione della vendetta tipica dei neocon. L’amministrazione Bush e i suoi sodali, instillando la paura del diverso e autonominandosi poliziotti del mondo, in otto anni hanno cambiato gli Stati Uniti in peggio, e questo il film di MacCarthy lo racconta bene. Ma racconta ancora meglio cosa succede quando un americano qualunque viene a contatto con una palese ingiustizia ed ogi altro aspetto viene surclassato dall’urgenza dei sentimenti.

Quando arrestano Tarek, Walter scopre cosa significa veder calpestati i più elementari diritti civili ma soprattutto si risveglia a sentimenti come l’affetto, l’apprensione, l’immedesimazione. E forse l’amore, dopo la comparsa di una figura dignitosissima, elegante nella sua estrema semplicità, come la madre di Tarek, una palestinese abituata alle persecuzioni.
Un film da non perdere, fatto di dettagli, sfumature, cambi d’espressione ed emozioni trattenute, con un cast che merita riconoscimenti e una regia perfetta.

L’ospite inatteso (Usa, 2008)
Regia: Tom McCarthy
Cast: Richard Jenkins, Hiam Abbas, Haaz Sleiman, Danai Gurira
Distribuzione: Bolero Film
Col patrocinio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati





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