di Mariavittoria Orsolato

Si è presentato in studio con la riproduzione della sua testa mozzata, ma è difficile che il suo ego espanso volesse suggerire quello che nemmeno 12 ore dopo si è verificato. “Ci tocca anche Vittorio Sgarbi”, la trasmissione dell’incontenibile critico d’arte ferrarese, concessa per non meglio specificate questioni di equilibrio politico, chiude infatti i battenti già dopo l’esordio.

Più che un debutto una débâcle dunque: appena due milioni di telespettatori per un misero 8,27% di share, la metà di quello che solitamente Rai1 riesce a guadagnare in quella fascia oraria, hanno portato i vertici di viale Mazzini a decidere per la sospensione del programma che avrebbe dovuto replicare per altre cinque serate, una la prossima settimana e altre quattro a settembre.

L’approdo di Sgarbi sulla rete ammiraglia della Rai era partito con le inevitabili polemiche del caso. Si parlava del lauto compenso destinato al critico d’arte e dei costi spropositati di realizzazione, segnalando nel primo caso il milione di euro destinato contrattualmente a Sgarbi e nel secondo i faraonici 1,4 milioni di soldi pubblici previsti per l’allestimento di ogni singola puntata. Si diceva poi che la vedova di Lucio Battisti avesse espressamente richiesto alla Rai di cambiare il titolo della trasmissione che, come ha poi affermato lo stesso Sgarbi, doveva intitolarsi “Il mio canto libero”.

Quello che è anche sindaco di Salemi è però riuscito a spostare immediatamente il baricentro della querelle, facendo del suo programma una sorta di agiografia di sé stesso. Introdotto dalle note dell’Inno alla Gioia, Sgarbi ha esordito ripetendo come un mantra quel “capra, capra, capra!” che l’ha reso noto anche ai giovanissimi - un tormentone degno del peggior Zelig - per poi passare ad un infinito soliloquio sulle sue migliori intenzioni televisive e non. Gli ospiti, prima il vescovo di Noto poi il vituperato Morgan fino a Fausto Leali, ridotti a fare da spalle mute ad uno Sgarbi incontenibile che manda letteralmente “al cesso” il pubblico che lo disturba con il suo vociare e che monopolizza quella che sulla carta doveva essere una scaletta, ma che si è inevitabilmente trasformata in un’improvvisazione di due ore.

Il tema della prima puntata avrebbe dovuto essere Dio, ma dopo le insistenze della nuova dg Rai Lorenza Lei, il critico d’arte ha virato verso i verso i propri padri - da papa Luciani a Walter Chiari, da Cossiga a Pasolini - col risultato che Sgarbi ha finito per tromboneggiare sui suoi modelli, sulla sua non certo auspicabile storia in tv e addirittura sulla sua paternità negligente, con la carrambata del figlio non voluto ma poi accettato (che, da sottolineare, ci tiene a farsi presentare come Carlo Brenner e non Carlo Sgarbi). Come biasimarlo?

Nelle due ore di sgarbiloquio c’è stato anche il posto per l’immancabile invettiva contro “la macchina del fango” rappresentata da certa stampa, nello specifico Il Fatto Quotidiano, rea di aver riesumato il giorno della messa in onda le accuse di Oliviero Toscani - il fotografo ed ex assessore del comune guidato da Sgarbi - secondo cui il maggior sponsor nella corsa a sindaco di Salemi sarebbe stato Giuseppe Giammarinaro, un ex esponente della Dc con forti interessi nella sanità locali e con amicizie poco raccomandabili.

In quello che altro non si potrebbe definire se non uso privato della televisione pubblica, il critico d’arte ha raccontato in lungo e in largo le sue vicissitudini siciliane, giustificando l’interesse della stampa con l’ovvia intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote e rovinargli il debutto in prima serata. Al traditore Toscani ha invece dedicato dei versi di Dylan Thomas, spiegando che le sue ultime rivelazioni nascono dal rifiuto a un compenso da lui richiesto per partecipare al progetto tv di Sgarbi.

Tra gli autori del monstrum sgarbiano fortunatamente già estinto c’è, quasi a sorpresa, anche il giornalista Carlo Vulpio, che a metà puntata si lancia in editoriale in cui mette sotto accusa la gestione degli impianti eolici e fotovoltaici a sud. Una giusta sottolineatura dei rischi connessi alle probabili infiltrazioni mafiose e allo scialacquamento di fondi pubblici nonché dell’impatto sulla fauna e sulla flora locali, un tantino forzata e certo fuori luogo se si pensa che tra meno di un mese c’è in ballo il referendum sul nucleare.

Questi i contenuti di un programma che in ogni caso non rivedremo più. La televisione fatta da Sgarbi, seppur innegabilmente creativa, manca dello scheletro necessario a sostenerne il personaggio, o meglio l’istrione: una trasmissione che pare rimanere sempre in sospeso, con i tempi assolutamente stravolti e con un’improvvisazione troppo sconnessa per risultare godibile dal grande pubblico. Inevitabile dunque che la creatura venisse abortita, non tanto perché la cultura alla televisione non paga ma perché dell’egotismo di Sgarbi, nella nuova Rai di Lorenza Lei, proprio non se ne sente il bisogno.

 

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