di Mariavittoria Orsolato

Due anni or sono Lorella Zanardo, docente universitaria specializzata nelle tematiche inerenti al femminile, produsse un documentario a costo zero intitolato “Il corpo delle donne” nel quale si analizzava l’insindacabile presenza all’interno dei nostri teleschermi di immagini che avevano in comune l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne. Un j’accuse assolutamente meritorio che mirava far guardare con occhi diversi le tonnellate di carne al vento che la televisione quotidianamente ci propina.

Uscito in concomitanza del primissimo scandalo D’Addario, il documentario prodotto dalla Zanardo finì per diventare il manifesto delle tante, tantissime donne che non si sentivano - e non si sentono tutt’ora - rappresentate all’interno di una società vetero-machista come quella italiana.

Per quanto sia sempre bene ricordare che nel nostro paese sono ancora disponibili documenti di tanta levatura, la notizia non si riferisce a questo ma alla “campagna di killeraggio” che Antonio Ricci e la sua redazione stanno portando avanti contro il lavoro della docente. Da mesi, infatti, quello che Gad Lerner ha definito con una felicissima iperbole il “Dante Alighieri del berlusconismo”, sta polemizzando apertamente con la Zanardo e con quelli che, di conseguenza, propongono un’idea del femminino diversa da quella imposta dal velinismo e, agli albori, dalle ragazze di "Drive In".

Un accanimento che ha preso avvio dal contro-documentario voluto dallo stesso Ricci, denominato impropriamente “Il corpo delle donne 2”, la cui tesi di fondo era che anche i giornali cosiddetti progressisti - come quelli del gruppo editoriale L’Espresso o l’Unità - pur lanciando strali contro lo svilimento della donna in tv e nella società, sfruttano l’avvenenza femminile pubblicando sulle loro pagine quintalate di pubblicità con ragazze nude o quasi.

Se da un lato l’accusa di Ricci trova fondamento nella realtà fattuale, dall’altro l’obiettivo del suo contro-documentario non è certo quello di rendere i telespettatori più consapevoli riguardo alle battaglie di genere.

L’intento malcelato di Ricci e i suoi è, infatti, quello di fare apologia del metodo Mediaset, utilizzando l’ormai celeberrimo espediente del “così fan tutti”; un argomento del tutto fallace che la politica ha eletto da un po’ di tempo a questa parte a base del dibattito e che, sul poco reattivo pubblico italiano, riesce sempre e comunque a far presa. Ma dietro a questa querelle ci sono anche moventi del tutto personali.

Se Ricci infatti si è così incaponito con “le veterofemministe” - così le ha definite - è anche perché, giunto al traguardo dei 40 anni di carriera, pretende un’assoluzione dall’accusa di essere l’effettivo padre putativo del trash televisivo. Foriere delle conclamate forme di populismo all’italiana - il sodalizio con Grillo è cosa nota a tutti - Ricci smania affinché il suo operato torni ad essere definito come ironico, come esempio di postmodernismo, come emblema della metacomunicazione.

Le sue veline, emblema di quello svilimento del femminino secondo solo alla Flavia Vento rinchiusa sotto la scrivania di vetro di Mammuccari, devono essere riabilitate e per portare avanti questa battaglia ne addirittura ingaggiata una (la bionda Elena Barolo, velina dal 2002 al 2004) come cronista.

A lei ieri è toccato il compito di affrontare una Lorella Zanardo a dir poco basita. Sorpresa all’uscita di una libreria in cui presentava il suo volume, la docente si è vista accusare di aver gettato fango sulle donne che lavorano in televisione nonostante il suo lavoro sia proprio in difesa di queste ultime.

Con tutta la protervia di cui è stata capace, la velina redenta ha investito la Zanardo di domande mendaci, senza darle minimamente lo spazio di replica (che un programma che si autodefinisce d’informazione dovrebbe riservare per ragioni di semplice completezza) né assecondando i tentativi di quest‘ultima per relazionarsi direttamente con l‘ex velina ora promossa a cronista d‘assalto. Come se le stesse veline dovessero giustificare la loro esistenza, donargli un senso cognitivo che vada oltre lo sguardo allupato.

E’ forse proprio questo che fa più male. Se infatti la condotta di Ricci è giustificabile alla luce del suo testosteronico approccio alla tv, quella delle donne di Striscia la notizia sottolinea inevitabilmente la vacuità delle loro argomentazioni.

Prime tra tutte quelle di Michelle Hunziker, che tanto si batte su cause nobilissime come la violenza di genere e lo stalking: l’aver fondato un’associazione con l’avvocatessa Giulia Bongiorno in difesa dei diritti di genere è, nel caso in cui non se ne fosse accorta, palesemente in contraddizione con il pubblico sbeffeggiamento che ha fatto del magistrale lavoro della Zanardo.

In conclusione, è bene che Ricci e i suoi si rassegnino al fatto che ormai il termine “velina” sia diventato sinonimo di una femminilità svilita, corrispondente idealtipico della bella ragazza che sculetta in televisione, equivalente dell’anti-meritocrazia per antonomasia. Facendosi bardo di quel berlusconismo che va oltre l’appartenenza politica per abbracciare una più ampia dimensione culturale, Ricci ha indubbiamente contribuito a dare quell’immagine di Italia godereccia e pappona che all’estero ci imputano in automatico. Come si suol dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso o perlomeno - aggiungiamo noi - abbia il buon senso di rispettare un’idea difforme dalla propria.

 

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