di Rosa Ana De Santis

Il santo padre tuona contro la contraccezione. E le fiamme dell’inferno divampano già per chi fa uso della pillola come di ogni altro contraccettivo per commettere l’abuso di decidere consapevolmente della nascita dei propri figli. Quale orrore direbbe lui. Non lasciare al vento della provvidenza manzoniana, della buona sorte, del caso - diremmo noi - la vita umana. E’ lì che sta il segno della grandezza del creatore e del miracolo divino. Un invito che dietro la trionfante retorica che ricorda i versetti di Matteo 6 sugli uccelli che non mietono né raccolgono, ma vengono nutriti dal padre celeste, tradisce una verità crudissima e lampante. La morale laica direbbe che quello che loro predicano è giocare con la vita umana alla roulette, tentare l’azzardo: l’operazione più pazza, immorale e pericolosa che si possa fare con la vita di un figlio. Poveri, malati, magari non desiderati. Vita punto. Embrione punto. Persone da subito. E questo vale persino prima, quando ancora niente di tutto questo esiste nemmeno.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Dalla Casa Bianca arrivano segnali d'inquietudine, che indicano una ripresa del riarmo russo accompagnata da iniziative all'estero. Al Cremlino continuano invece a sostenere che non è vero, che non c’è nessuna escalation militare da parte della Russia. E’ in atto – dicono - solo una profonda ristrutturazione delle concezioni di politica estera che vede la diplomazia russa uscire dalla logica del braccio di ferro tradizionale e del gioco a somma zero. La linea attuale consiste, infatti, nell’entrare nella più raffinata e positiva logica della reciproca convenienza. Ma tutti sanno che alle spalle di questa “nuova” strategia, c’è l’intera vicenda caucasica che pesa come un macigno e che, di conseguenza, spinge il Cremlino a mostrare i muscoli. L’obiettivo consiste nell’uscire da un certo isolamento dovuto ad una fase che è stata definita come “transitoria”. Ed ora il periodo della transizione sembra proprio finito, dal momento che nel Paese tornano alla ribalta quattro “categorie” che segnano la politica interna, internazionale e, soprattutto, militare.

di Eugenio Roscini Vitali

In un articolo pubblicato recentemente sul quotidiano Haaretz, il giornalista e scrittore israeliano Akiva Eldar parla del suo incontro con il docente di filosofia e rettore dell’Università Al-Quds di Gerusalemme, Sari Nusseibeh. Nell’intervista il professore palestinese commenta l’attuale situazione politica e spiega che gli Accordi sottoscritti ad Oslo non hanno più alcun significato. Nusseibeh imputa il fallimento ai fatti accaduti in questi quindici anni, alla profonda frattura ideologica che ha travolto il popolo palestinese e alla spinta del fronte sionista che di fatto ha bloccato l’applicazione della Dichiarazione di Principi firmata il 20 agosto 1993 da Yasser Arafat e Shimon Peres. Quindici anni di trattative che si possono riassume con alcune semplici richieste israeliane: annessione del sette percento della Cisgiordania in cambio di un’area del Negev che corrisponde a poco più del cinque percento del territorio acquisito; rifiuto di trattare sulla questione dei rifugiati e del loro diritto al ritorno; rinvio di qualsiasi accordo sullo status di Gerusalemme; implementazione del processo di pace a condizione che Hamas, il movimento islamico che ha vinto le elezioni politiche del 25 gennaio 2006 ed ha ottenendo la maggioranza del Consiglio Legislativo Palestinese con 76 seggi su un totale di 132, perda il controllo della Striscia di Gaza.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Mentre l’attenzione è rivolta ad un’altra regione del Caucaso, quella georgiana dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, la Cecenia si ripresenta alla ribalta della Russia. Si torna a parlare – in questa polveriera millenaria - delle lotte dei clan, del conflitto con il Cremlino e della resa dei conti che agita sempre le questioni locali. E si “scopre” che la guerra tra Mosca e Tbilisi sull’Ossezia del Sud e l’Abkhazia ripropone con forza la questione delle frontiere e, ancor più, il problema della coabitazione di una grande varietà di popoli e di minoranze etniche, linguistiche e religiose. Ma c’è soprattutto – in questa conflagrazione generale - un fatto che è ancor più pericoloso e tragico. Ed è che il Cremlino - ieri di Putin, oggi di Medvedev – mostra di non aver capito che nel Caucaso c’è una eterogeneità e complessità di popolazioni. Perchè accanto ai tre popoli dominanti - georgiani, armeni e azeri - coesistono nazionalità e minoranze che superano il centinaio come adighei, abkhazi, cabardini, circassi, caratini, ceceni, ingusci, psciavi, nogai, talisci, curdi yazidi, assiri, osseti, calmucchi, tatari, agiari, baschiri, lazi, svani, khevsuri, tati ecc. Una vera “polveriera” dove, tra l’altro, convivono scosse e convulsioni politiche, ripicche familiari, rese dei conti, lotte per l’egemonia.

di Luca Mazzucato

Era l'epoca degli accordi di Oslo firmati da Rabin e Arafat, un'onda di speranza si allargava nel Medioriente: ma tutto finì nel sangue una sera di novembre del 1995, quando un estremista di destra ultra-ortodosso sparò a distanza ravvicinata e uccise il premier israeliano, ad una manifestazione pacifista nella piazza centrale di Tel Aviv, uccidendo insieme a Rabin le prospettive di convivenza tra israeliani e palestinesi. Quattordici anni dopo, torna lo spettro del terrorismo di destra: una bomba piazzata davanti alla sua porta di casa ha colpito Ze'ev Sternhell, professore, giornalista di Ha'aretz e membro di Shalom Ahshav (Peace Now). Il professore se l'è cavata con qualche ferita alle gambe e molto spavento: ma la polizia e il governo dichiarano che la bomba mirava ad un nuovo assassinio politico. In un paese stanco e assuefatto alla guerra, l'assassino di Rabin è ancora in carcere, pericoloso nemico dello stato per i più. Ma per l'estrema destra israeliana e i coloni (con malcelate simpatie nella destra istituzionale), è un eroe che ha salvato Israele dalla svendita al nemico arabo.


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