di mazzetta

Un funzionario egiziano ha dichiarato che l'esercito egiziano e quello sudanese, nel corso di un'operazione congiunta, hanno liberato in Ciad i turisti rapiti il 19 settembre nell'alto Egitto. Cinque tedeschi, cinque italiani, un rumeno e otto egiziani tra guide ed autisti del gruppo sono ora in viaggio verso casa. La metà dei rapitori avrebbe trovato la morte nel corso dell'operazione, a questi vanno aggiunti altri sei appartenenti al gruppo uccisi un paio di giorni prima dalle forze sudanesi. All'operazione avrebbero contribuito anche i servizi segreti italiano e tedesco. Grande disagio è trapelato dal governo del Ciad, che ha negato decisamente che i rapitori siano stati intercettati in territorio ciadiano. La circostanza è significativa, poiché molte fonti avevano indicato i rapitori in uno dei numerosi gruppi operanti in Sudan (il JEM) e supportati dal dittatore del Ciad Idriss Deby Itno. Non è chiaro se siano gli stessi autori del rapimento o se quelli li abbiano poi ceduti a questi, ma la traiettoria dei loro spostamenti è significativa. Ben difficilmente dei criminali egiziani sarebbero scappati verso il Ciad.

di Giuseppe Zaccagni

Le opposizioni sino ad ora parlano di “iniqua campagna elettorale” e molti media occidentali di ispirazione americana sostengono che il paese è nelle mani dell’ultimo dittatore d’Europa. Si riferiscono all’“autocrate” che occupa la poltrona presidenziale di Minsk e tutto questo va nel conto del personaggio – il presidente Lukascenko - che l’ovest contesta e attacca in modo particolare mentre la Bielorussia va al voto per il rinnovo del Parlamento: 282 i candidati per 110 seggi. La contestazione locale, comunque, non è nuova, perchè la dissidenza continua a farsi forte dell’appoggio degli Usa, del miliardario Soros e di tutte quelle organizzazioni cosiddette umanitarie spesso collegate direttamente ed indirettamente alla CIA, tramite il National Endowment for Democracy, che è una potente organizzazione statunitense creata nel 1983, con lo scopo di “rafforzare le istituzioni democratiche nel mondo mediante azioni non governative”.

di mazzetta

All'annuale assemblea generale dell'ONU è successo qualcosa di mai visto prima e forse proprio per questo tutto il mainstream informativo occidentale ha preferito sorvolare. Per la prima volta dalla costituzione della Società delle Nazioni, gli Stati Uniti d'America sono stati messi sotto accusa da quasi tutti i capi di stato intervenuti in assemblea. George W. Bush non ha fatto nulla per provare ad impedirlo, il suo discorso è risuonato come un disco rotto. Trentadue volte ha pronunciato la parola “terrorismo”, zero volte ha pronunciato la parola “ambiente”, zero anche per “clima” e “inquinamento”, poche righe per dire che gli Stati Uniti salveranno l'economia mondiale, senza peraltro accennare a chi l'abbia messa in pericolo.

di Saverio Monno

Latte alla melammina. L’allarme risale allo scorso 2 agosto, quando sul tavolo del primo cittadino di Shijiazhuang, capoluogo della provincia dell’Hebei, nel nord-est della Cina, compare un rapporto “poco rassicurante” su presunte alterazioni riscontrate in diversi prodotti destinati ai più piccoli. Gli esami tossicologici accertano, nei diversi campioni di latte analizzati, la presenza di melamina, sostanza altamente nociva, comunemente utilizzata per la produzione di plastiche, adesivi e vernici. A sei giorni dalla partenza delle olimpiadi di Pechino però, le autorità locali non se la sentono di guastare il crescente clima di festa che circonda la manifestazione. La macchina organizzativa deve andare avanti, la vetrina olimpica è sufficientemente compromessa. Il terremoto nel Sichuan, le proteste in Tibet e gli attentati nello Xinjiang sono delle belle gatte da pelare. Le massime autorità dello stato premono perché tutto lo “straordinario” sia rimandato all’indomani del grande evento sportivo. L’obiettivo è rilanciare l’immagine della Cina nel mondo, qualche strappo alle regole è d’obbligo.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Ora la politica estera del Cremlino - dopo i tragici “fatti del Caucaso” - parla citando Von Clausewitz e Tacito. Rileva che la guerra altro non è che una “reciproca distruzione”, poi ricorre a quella affermazione emblematica che condanna quanti “hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace”. Tutto questo vuol dire che si apre una nuova pagina nei rapporti di Mosca con Tbilisi? No, perchè la posizione di Medvedev e di Putin non è cambiata. Restano in vigore le condanne nei confronti del duce Saakasvili, ma nello stesso tempo gli analisti russi cercano vie d’uscita anche sulla base delle riunioni e dei vertici dei giorni scorsi: dagli incontri con i politologi di varie parti del mondo al convegno di Soci sugli investimenti. Si cerca ora di programmare il futuro tenendo conto che l’area caucasica comprende due nuove realtà che hanno un ottimo rapporto con la Russia e che sono, di conseguenza, una appendice del Cremlino in quell’area mai vaccinata contro la peste dei nazionalismi.


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