di Eugenio Roscini Vitali

Al contrario di quanto ci si poteva aspettare, la prima grande crisi del XXI secolo non è arrivata dallo stretto di Hormuz, dall’Iran espansionista e fondamentalista che Washington ha messo al primo posto nella lista degli Stati canaglia, ma dal Caucaso, regione ricca di giacimenti non ancora sfruttati e crocevia di una rete di oleodotti e gasdotti d’importanza strategica, dove Usa e Russia sono tornate a confrontarsi su questioni di enorme rilevanza economica e militare. Ma il teatro ad est del Mar Caspio non è l’unico: lo scontro, che si preannuncia ancor più duro di quanto lo fu ai tempi della guerra fredda, abbraccia l’Europa Orientale, dove le due superpotenze si stanno affrontando sulla questione dello scudo missilistico che gli americani istalleranno in Polonia e Repubblica Ceca, e il Medio Oriente, dove la Siria si è resa disponibile ad ospitare i sistemi missilistici russi, uno scudo simmetrico a quello americano in Europa centrale, e dove il nucleare iraniano resta il problema centrale per il futuro controllo strategico della regione. Per la Casa Bianca è quindi importante rivedere la sua idea di politica estera, d’impegno militare e di alleanze, assegnare nuove priorità e riconsiderare il ruolo di alcuni attori in questo scellerato palcoscenico fatto di petroldollari e di smania di potere.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Per i georgiani è una “annessione” inaccettabile; per gli americani “uno strappo che avrà gravi conseguenze favorendo anche una serie di analoghe rivendicazioni in Europa e nel mondo”; per il governo di Ksinkvali “è la giusta conclusione di una battaglia per l’autonomia e l’indipendenza”; per la dirigenza di Suchumi “è la fine più ovvia di un conflitto che si è protratto per troppo tempo”; per la Russia di Medvedev e di Putin “è un importante passo in avanti per la pace e l’equilibrio della regione caucasica”. E’ questo il primo ventaglio delle reazioni alla decisione del Cremlino che sancisce il riconoscimento della Ossezia del Sud e dell’Abchasia che, da oggi, sono per Mosca due “ex autonomie georgiane”. Non più sotto la giurisdizione di Tbilisi e libere di gestire il loro territorio sotto tutti i punti di vista. Ottenendo, di conseguenza, pieno appoggio e aiuto da parte della Russia.

di Carlo Benedetti

MOSCA. E’ il momento dei bilanci e il Cremlino chiama a raccolta diplomatici, politologi, politici e, soprattutto, esponenti dello Stato maggiore dell’armata. L’esame è a tutto campo e riguarda - con una concatenazione di eventi - il conflitto con Tbilisi (sin dal primo momento dell’aggressione all’Ossezia del Sud), il velleitarismo occidentale e la reazione militare, diplomatica e politica russa. I primi risultati di queste analisi a caldo trovano spazio nella stampa centrale, nei dibattiti radiotelevisivi e nelle interviste che gli esponenti dell’aministrazione del Cremlino cominciano a rilasciare ai media locali. Così dietro le quinte dell’ufficialità e dell’orgoglio nazionale vengono avanti posizioni diverse nel quadro di una pur sempre complessa dinamica sociale. Si parla ampiamente delle “battaglie” e dei movimenti delle truppe e della reazione all’invasione georgiana. I militari forniscono le cifre - il numero dei carri armati impegnati, le ore di volo dei bombardieri e degli elicotteri, la quantità di bombe scaricate, i chilometri percorsi dai mezzi corazzati - ed è tutto un trionfo della macchina da guerra.

di Michele Paris

Al termine di un processo di selezione condotto per due mesi in gran segreto, a ridosso dell’apertura della convention del proprio partito il candidato democratico alla presidenza degli USA Barack Obama ha finalmente annunciato l’attesissima scelta del suo “running mate”. A correre con il senatore dell’Illinois nel ruolo di candidato alla vice-presidenza sarà il quasi 66enne senatore del Delaware Joseph R. Biden jr. Mettendo da parte qualsiasi ipotesi capace di rafforzare quel messaggio di cambiamento che aveva caratterizzato la sua irruzione sulla scena politica americana, Obama ha optato per una decisione fortemente condizionata dalle difficoltà incontrate durante le primarie nei confronti degli elettori appartenenti alla working-class e, soprattutto, da quelle legate alla sua inesperienza in politica estera ed emerse nelle ultime settimane in seguito alla crisi russo-georgiana. Biden infatti, da oltre trent’anni membro del Senato americano, grazie alla sua biografia e all’esperienza politica accumulata, dovrebbe teoricamente colmare i vuoti che gli elettori sembrano temere nel curriculum del primo politico afroamericano seriamente candidato alla Casa Bianca nella storia di questo paese.

di Carlo Benedetti

MOSCA.Nelle stesse ore in cui il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice firma l’intesa per lo scudo antimissile in Polonia (l'installazione di dieci missili intercettori), il presidente siriano, Bashar Assad, è a Mosca per una serie di accordi di compravendita di armi che potrebbero rappresentare uno “scudo” simmetrico a quello americano in Europa centrale. Assad, in particolare fa riferimento ai sistemi missilistici "Iskander". Sono quelli progettati dall’industria militare di Mosca e considerati come una risposta al pianificato sistema anti-missile USA. In pratica si tratta di un sistema avanzato terra-aria SA-10 - paragonabile per prestazioni addirittura al “Patriot” e al cosiddetto “sistema portatile SA-18”. Ora, se andrà in porto questa “trattativa” sulla via di Damasco, vorrà dire che si è in presenza di una chiara risposta - come dicono gli analisti russi - ai piani statunitensi nell'Europa dell'est. Mosca sembra poter trovare così nel Medio Oriente ciò che Polonia e Repubblica Ceca sono diventate per Washington: ovvero la base per l’installazione di una batteria di missili russi. Assad, ovviamente, ha precisato che sulla questione non c’è stata ancora una proposta ufficiale da parte della Russia ma che la disponibilità siriana c’è.


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