di mazzetta

Con le dimissioni di Pervez Musharraf da presidente, si apre una nuova era per il Pakistan, non necessariamente migliore di quella conclusa con l'abbandono del potere conquistato nel 1999 con un colpo di stato. Musharraf non è stato il populista che ha incantato le folle e nemmeno è stato latore di particolari innovazioni ideologiche, ma piuttosto il rappresentante di una casta militare che si ritiene custode della repubblica pachistana, non diversamente che in Turchia. Buon amico degli USA, Musharraf emerge come capo dei temibili servizi pachistani (ISI) e prima ancora come loro comandante sul terreno afgano, durante la guerra per procura all'occupante sovietico. Sono gli anni nei quali al suo comando c'è un saudita destinato a diventare famoso: Osama Bin Laden. L'esercito pachistano è uno Stato nello Stato. Fin dalla fondazione del paese, allora diviso in East e West Pakistan dopo lo smembramento dell'impero coloniale britannico in Asia, ha assunto la tutela del paese contando su due fondamentali sostegni esterni, quello militare fornito dagli Stati Uniti e in misura minore dalla Cina, e quello economico assicurato dall'Arabia Saudita.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Anche il fronte del Caucaso (che registra il più grande contrasto tra Russia e Stati Uniti dalla fine della guerra fredda e dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica) ha ora il suo chek point Charlie dove si scambiano i prigionieri delle due armate e dove va in scena una sorta di “tutti i casa”: 15 tra militari e civili georgiani contro cinque soldati russi. Ma il problema di queste ore non consiste nel vedere chi sta vincendo o chi sta perdendo in questa contesa. Nulla si può dividere, perchè tutti stanno vincendo. I georgiani di Saakasvili che hanno mostrato il loro volto aggressivo uccidendo popolazioni inermi e portando acqua al mulino dell’allargamento ad Est della Nato. Hanno favorito (sino a questo momento) l’espansionismo statunitense assicurando a Bush e alla Rice il pieno controllo di Tbilisi. Hanno vinto anche gli ossetini del Sud di Kokoity perché grazie al blitz delle armate di Saakasvili (appoggiate dagli Usa di Bush e della Rice) hanno ottenuto - pagando con il sangue e le distruzioni - un palese riconoscimento internazionale. Perchè ora l’Ossezia del Sud è veramente autonoma, indipendente, anche se ancora nel mirino dei nemici georgiani.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Da oggi quando parleremo di Russia, di Medvedev e di Putin, saremo tutti costretti a fare riferimento anche ad un altro “leader”. Il quale, segnando in negativo la vita e le vicende del Caucaso, crea, nello stesso tempo, non pochi problemi alla Georgia e ai protettori americani. Il personaggio è il presidente attuale della repubblica georgiana: Michail Nikolaevic Saakasvili. Il suo nome tornerà a risuonare ancora per molto in vista che si riunisca un Tribunale internazionale che giudichi le sue azioni criminali che hanno provocato il genocidio del popolo ossetino e le distruzioni dell’Ossezia del Sud. Ma mettiamo da parte le giuste emozioni del momento e cerchiamo di ricostruire la carriera di questo duce del Caucaso. Michail nasce a Tbilisi il 21 dicembre 1967 nella famiglia di un medico. La madre si chiama Ghiuli Alasanija, professoressa di storia specializzata nella cultura medioevale della Georgia. Il padre, Nikolos, è un medico abbastanza noto in tutto il paese; il nonno è un funzionario del Kgb.

di Ilvio Pannullo

Il dibattito su quanto petrolio si possa ancora sfruttare sul nostro pianeta appare confuso: si va da chi sostiene che il picco massimo di estrazione (il c.d. “Peak Oil”) è stato già superato a coloro che sostengono che il problema non si porrà per molti anni a venire. In ogni caso, indipendentemente dalla tesi che si voglia sposare, esiste al mondo una netta sperequazione circa lo sfruttamento di quella che rappresenta, a tutti gli effetti, la linfa dell’economia internazionale. Gli Stati Uniti producono, infatti, solo il 4% del petrolio mondiale, mentre ne consumano circa il 26%. È dunque evidente il gap energetico strutturale dell’economia americana, che ha portato lo stesso Presidente Bush ad affermare che “l’America è malata di petrolio”. Nel corso degli ultimi 30 anni gli USA hanno infatti visto salire vertiginosamente la loro dipendenza dal petrolio estero. Infatti, mentre nel 1973 era solo del 28%, in questi anni sta superando il 60%, con stime per il 2025 che vedono l’economia americana dipendente per il 70% (!) dall’importazione del greggio straniero.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Soffiano venti di guerra anche nelle gole abchase del Kodorskje (quelle che portano ancora i segni dell’antico regno della Colchide) perchè la dirigenza russa - Putin in testa - si dichiara sempre più pronta a sostenere le rivendicazioni separatiste dell’Abkhazia del presidente Sergej Bagapsh. E così anche questa fetta di territorio compreso nella Georgia (8.600 km² nell'estrema parte occidentale, sulla costa del Mar Nero, con 600mila abitanti) torna al centro del conflitto caucasico: cede alla logica delle circostanze e riapre il “contenzioso” con il potere del georgiano Saakasvili ormai bollato dal Cremlino come il responsabile del genocidio degli ossetini. Tutto era in qualche modo annunciato, ma ora si scopre che sta avvenendo secondo piani già ben prestabiliti, perchè il potere locale - quello che opera nella capitale Sukumi, città segnata da una presenza genovese nel XII secolo - alza il tiro contro Tbilissi dopo che, nel 1992, forte dell'appoggio di Mosca, aveva unilateralmente proclamato la propria indipendenza.


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