di Giuseppe Zaccagni

Le istituzioni ufficiali dell’Europa democratica e antifascista per ora mantengono il silenzio. E così l’Estonia si spinge sempre più a destra, verso lidi che ricordano gli anni del fascismo e del nazismo. Con il vertice del paese che rispolvera le peggiori tradizioni reazionarie e mette in atto una politica di totale revisione della storia. A Tallin, infatti, il parlamento vara una legge che permette alle amministrazioni locali di smantellare quei monumenti eretti in memoria dei militari sovietici che morirono sul territorio estone durante la Seconda guerra mondiale. E quella battaglia per la libertà del Baltico e per cacciare da quelle terre le SS naziste viene non solo contestata, ma si parla addirittura di aggressione sovietica e di una conseguente “occupazione”. La nuova legge, comunque, viene presentata come espressione di una nuova forma di civiltà democratica. Si sostiene che una certa “arte monumentale” (e questo eufemismo sta per “tombe” nei cimiteri di guerra) può contribuire ad alimentare l’ “odio razziale”. E di conseguenza si considerano i soldati sovietici sepolti in Estonia come i rappresentanti di un’altra razza... Non solo, ma nella legge si sostiene che i fatti dell’ultima guerra vanno considerati come una “occupazione dello stato estone”.

di Giuseppe Zaccagni

La piccola e disastrata Repubblica Popolare di Corea (Nord) - dominata da Kim Jong Il - continua a far paura per il suo (controverso) programma nucleare. Ed ora – precisamente l’8 febbraio, a Pechino – andrà a sistemarsi nella gabbia degli imputati. Avrà di fronte i giudici di cinque paesi: i nemici tradizionali che sono gli Usa, la Corea del Sud, la Gran Bretagna e gli amici critici come la Russia e la Cina. E sarà, appunto, in questo singolare tribunale internazionale che la Corea del Nord dovrà rispondere sul contenuto reale di quei segnali bellicosi rivolti al mondo nei mesi scorsi: un eventuale lancio di missili – i “Taepodong 2 - con testate nucleari capaci di raggiungere l’Alaska.

di Bianca Cerri

Mentre i “Chicago Bears” si allenano sul campus dell’Università di Miami, migliaia di volontari, inservienti e addetti alla sicurezza lavorano instancabilmente in modo che il Super-Bowl di domenica quattro febbraio si svolga in modo impeccabile. Le tribune VIP sono state tirate a lucido e la polizia pattuglia le strade centimetro per centimetro perché l’affare è titanico e tutto deve andare per il verso giusto. Lo spazio aereo nella zona dello stadio è stato dichiarato “no-fly zone” e l’FBI controllerà che la disposizione non venga violata. Tutti i grandi viali della città rimarranno chiusi per l’intera giornata. L’ordine è che nulla intervenga a rovinare la festa nella notte più attesa dagli americani. L’unico inconveniente potrebbe essere la morte improvvisa di Castro prima dell’inizio del match perché gli esiliati cubani ormai perfettamente integrati nella malavita della Florida causerebbero pericolosi ingorghi con i festeggiamenti programmati per l’occasione.

di Carlo Benedetti

Per l’Europa è braccio di ferro tra gli Usa e la Russia. E il tavolo che deve reggere questo confronto militarpolitico è quello che si riferisce al nostro scacchiere continentale. E’ qui, infatti, che l’America dell’arroganza punta sempre più a sistemare le sue basi e i suoi missili. Mosca non ci sta. Ha sciolto a suo tempo il “Patto di Varsavia” che era il braccio armato del Cremlino ed ora non accetta che nel cuore dell’Europa, ai confini della Russia, il Pentagono (forte di alcuni governi Quisling) si accinga a costruire e a rafforzare le sue postazioni. La prima “critica” del Cremlino tocca all’Italia. I russi non entrano nel merito delle discussioni che sconvolgono il nostro parlamento e la stessa maggioranza di governo. Puntano alla sostanza guardando alla geopolitica globale e traggono alcune conclusioni di ordine strategico.

di Mazzetta

Orhan Pamuk ha lasciato la Turchia per rifugiarsi negli Stati Uniti. La decisione del premio Nobel per la letteratura 2006 è più che comprensibile alla luce degli ultimi avvenimenti. Dopo l’assassinio di Hrant Dink, scrittore e giornalista che come Pamuk era già stato denunciato per l’articolo 301 del codice penale turco (offese alla “turchità”), a manifestarsi nel paese non sono state solo la solidarietà e la reazione democratica. Lo stesso mandante dell’omicidio di Dink ha minacciato sfrontatamente Pamuk dal tribunale. A Pamuk era stata assegnata una robusta scorta, ma quanto emerso negli ultimi giorni dalle cronache turche, segnala una situazione molto al di la del tollerabile, per un paese che voglia dirsi democratico. Le immagini che sono state diffuse in televisione e che ritraggono i primi momenti della cattura dell'assassino di Hrant Dink, il giornalista ucciso pochi giorni fa, parlano da sole.


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