di Matteo Cavallaro e Giorgio Ghiglione

Il 22 Aprile 2007, i cittadini francesi saranno chiamati alle urne: per la nona volta dalla nascita della Quinta Repubblica, dovranno eleggere un nuovo Presidente. Nel caso molto probabile in cui nessuno dei candidati raggiunga la maggioranza assoluta dei consensi, si terrà il 6 maggio un secondo turno tra i due più votati. Poco più di un mese dopo, il 10 e il 17 Giugno, i cittadini di Francia dovranno invece esprimersi sul rinnovo dell'organo legislativo, il Parlamento. Visti i particolare rapporti che esistono tra Presidente, Primo Ministro e Parlamento, entrambe le elezioni hanno un valore politico reale e non solo formale. Questi cinque anni del secondo mandato Chirac hanno visto eventi di particolare rilevanza nella storia francese e non. A partire dall'arrivo al ballottaggio di Jean-Marie Le Pen e la conseguente rottura del bipolarismo tipico della Quinta Repubblica, per arrivare all'incendio delle banlieu e alle contestazioni del CPE. Nell'ultimo scorcio del suo mandato si è visto lo scontro fra il suo delfino De Villepin e Nicholas Sarkozy che ha determinato la vittoria di quest'ultimo, attuale candidato gollista.

di mazzetta

La tradizionale campagna militare primaverile si è aperta in anticipo in Afghanistan. Ogni anno, ormai da secoli, chi invade l’Afghanistan sa che con il disgelo riprendono le attività dei guerrieri afgani. che sia stato per effetto del “global warming” o per impazienza, l’anticipo dell’apertura della stagione bellica è stato una sorpresa solo per le NATO e per il comando americano. Mentre il segretario dell’alleanza atlantica De Joop dice che “spezzeremo le reni” agli afgani cattivi, i comandi americani chiedono più uomini e mezzi. Non per resistere, dicono loro, ma per sferrare una “offensiva” decisiva. La situazione nel paese è chiaramente giunta allo stallo e nessuna grande battaglia potrà risolvere l realtà sul campo. Da una parte ci sono le forze alleate che non possono essere cacciate, dall’altra c’è un’alleanza afgana allargata che non può essere spazzata via in campo aperto. In mezzo una popolazione per la quale la vita è sempre difficile e il panorama è sempre più punteggiato dai burka.

di Elena Ferrara

Reduce dalla tournee indiana alla testa di 400 imprenditori Prodi lancia una campagna per una maggiore presenza italiana nel continente “Cindia”. Parla di interdipendenza economica segnata dall’epoca della globalizzazione e, poi, sostiene che la vera alternativa alla quale rifarsi è quella del “multilateralismo”. Intendendo con questo termine una connotazione legalitaria nell’ambito del riconoscimento di una legittimità italiana. Quindi nessuno spazio a scelte “unilaterali”, ma sempre un’azione tesa a ricercare soluzioni “condivise”. Multilateralismo attivo, in sintesi. E Prodi ha insistito proprio su questi aspetti nei colloqui avuti in India con la dirigenza di quel paese ricordando che dopo il crollo del mondo bipolare, c’è stato anche chi si è creato l'idea di un mondo unipolare, dove i problemi si possono risolvere in un solo centro. Non è così – ha detto il premier italiano - perché sappiamo che aumentano le crisi e diminuisce la capacità di risolverle.

di Giuseppe Zaccagni

E’ un compromesso storico quello raggiunto a Pechino dopo giorni di trattative. Perché il governo nordcoreano di Pyongyang ha deciso di sospendere il suo programma nucleare in cambio di un milione di tonnellate di greggio l'anno a partire dal momento del blocco del suo reattore di Yongbyon (attualmente utilizzabile anche per scopi militari dal momento che è in grado di produrre uranio indispensabile per la costruzione di armi atomiche) e di ottenere, poi, due milioni di kilowatt di elettricità al suo definitivo smantellamento. Crisi salvata, quindi. Almeno per il momento, conoscendo le passate impennate del leader coreano Kim Jiong-Il. Comunque i negoziatori – Corea del Sud, Russia, Cina, Stati Uniti – lasciano soddisfatti la capitale cinese che è stata l’arena di un tour de force diplomatico che tendeva, sin dai primi passi, a convincere i nordisti a sospendere il loro programma atomico di carattere militare.

di Fabrizio Casari

Sull’l’Iran tornano a soffiare i venti di guerra. Vuoi per l’inconciliabilità delle posizioni tra Washington e Teheran, vuoi per le prese di posizioni europee che nella ricerca di una mediazione possibile si scontrano con il “no” pregiudiziale di Stati Uniti e Gran Bretagna, il timore di un attacco militare statunitense all’Iran torna di preoccupante attualità. Le pretese occidentali di proibire la messa a punto dei reattori nucleari iraniani, che Teheran assicura destinati solo ad usi civili, si fondano, all’apparenza, sul rischio che il regime teocratico possa assumere un ruolo di primo piano nello scacchiere atomico. D’altra parte, le posizioni politiche del Presidente Ahmadinejad, certo non aiutano a fidarsi delle assicurazioni circa la destinazione d’uso del plutonio.


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