di Carlo Benedetti

Negli Usa i funerali di stato sono fissati per ottobre. Ma la morte della famosa emittente anticomunista ed antisovietica è già stata annunciata: la Voice of America, che trasmetteva 24-ore-su-24 - dal 1947 - nelle lingue dei popoli dell’Urss (Golos Ameriki, in russo), sarà chiusa dopo aver servito fedelmente i suoi proprietari, il governo americano, la Cia e il Pentagono. E per par condicio cesseranno anche le analoghe emissioni che erano rivolte all’Ucraina, alla Georgia e all’Usbekistan, sempre nelle lingue locali. La Voice scomparirà così nell’etere - dopo averlo dominato per oltre 60 anni – perché Bush, convinto (oggi) dell’inutilità di un tale servizio radiofonico, ha deciso di concentrare gli sforzi propagandistici sull’area musulmana. E subito la “Voce” parlerà arabo e concentrerà la sua attività per diffondere la politica degli Usa in zone che oggi sono particolarmente al centro dell’attenzione militare della Casa Bianca e del Pentagono. Le onde americane arriveranno ora (oltre che nell’Iraq occupato) anche nel Medio Oriente, nell’Iran, Afghanistan e Pakistan per raggiungere anche quei musulmani che vivono in Europa.

di Luca Mazzucato

L'accordo raggiunto alla Mecca tra i leader di Hamas e Fatah rappresenta un passo di fondamentale importanza per allontanare definitivamente lo spettro della guerra civile dai Territori Occupati. Il re saudita Abdullah ha messo sul tavolo il proprio prestigio - e soprattutto i propri petrodollari - per costringere Khaled Mash'al, leader di Hamas, e Mahmoud Abbas, il presidente palestinese e leader di Fatah, a deporre le armi e creare un governo palestinese di unità nazionale. Questo inaspettato accordo potrebbe essere il primo segnale di una svolta nel conflitto e segnala la definitiva sconfitta della politica israeliana di isolamento dell'ANP e una rivincita sunnita contro la crescente influenza iraniana nell'area. Nelle ultime settimane le tensioni nei Territori stavano culminando in una vera e propria guerra civile, quando le due università nella Striscia di Gaza venivano date al fuoco dalle fazioni rivali. Ad ogni angolo di strada militanti armati allestivano check-point improvvisati e le famiglie palestinesi non mandavano più i figli a scuola, per paura dei continui scontri a fuoco, che solo nell'ultima settimana hanno visto la morte di centotrenta palestinesi.

di Daniele John Angrisani

La sera del 9 febbraio, il titolo principale del sito dell'emittente americana filo-Bush, Fox News, era "Una nuova Guerra Fredda?" Tale è stata infatti la reazione alle aspre critiche del presidente russo Vladimir Putin sulla politica estera americana alla Conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco, che titoli di questo tenore si sono sprecati su tutta la stampa americana. Nella folta delegazione americana presente alla Conferenza vi sono stati alcuni, come il senatore John McCain - probabile candidato repubblicano alla presidenza - che non hanno lesinato attacchi diretti a Putin in risposta alle sue parole, affermando che "Mosca non può pensare di avere una partnership con l'Occidente, se non condivide in politica interna ed in politica estera i valori dell'Occidente". Il suo collega senatore, Joseph Lieberman, eletto come indipendente nel Connecticut, ha rincarato i toni affermando che quella di Putin era "retorica da Guerra Fredda" e che si è trattato di un discorso mirato al "confronto" e non al "dialogo". Ma allora siamo davvero tornati alla Guerra Fredda come si chiede Fox News?

di Carlo Benedetti

Putin questa volta parte all’attacco. Senza ambiguità e sottintesi. Annuncia che i “diritti” del nemico sono sospesi. E dice a Bush: “Non potete continuare a voler dominare il mondo imponendo sempre la vostra visione politica”. Questa sua affermazione segna un momento di svolta, perché evidenzia che è in atto una profonda trasformazione degli equilibri internazionali. Le parole del presidente russo cadono come pietre sulla platea della conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, in quella Germania che vide il giovane Putin in veste di super agente dei servizi di sicurezza dell’Urss. Ora è lui che sfodera le nuove armi del Cremlino. Che non sono quelle della contrapposizione ideologica, ma quelle dell’orgoglio nazionale. E così mette nel conto le contraddizioni vecchie e nuove accusando l’amministrazione Bush. "Il diritto internazionale - dice - viene da voi rispettato sempre meno, mentre troppo spesso vengono violati i sistemi legali o addirittura le costituzioni di interi paesi. Gli Stati Uniti – insiste – valicano i confini politici quasi ovunque”. E l’accusa va ancora più a fondo con una domanda che è al tempo stesso una risposta in favore di Mosca: “Chi sarebbe disposto ad accettare tutto questo?"

di Daniele John Angrisani

Solo pochi giorni fa, la Procura di Roma ha deciso di procedere con il rinvio a giudizio del militare americano, Mario Lozano, reo di aver sparato il colpo che ha ucciso Nicola Calipari sulla strada per l'aereoporto di Baghdad, mentre riportava a casa la giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena, da poco liberata. Come c'era da aspettarsi il Pentagono, per bocca di un suo portavoce, ha rifiutato sdegnosamente qualsiasi ipotesi di estradizione del militare, in quanto afferma che per quanto riguarda loro "l'indagine è chiusa". C’è da dire che, nonostante questo atteggiamento di chiusura totale nei confronti delle autorità italiane, ben altro è stato l'atteggiamento del nostro governo nei confronti degli americani per quanto riguarda la vicenda del Dal Molin. Eppure c'è chi, nell'opposizione, riesce ad affermare che questo governo è "antiamericano" e rovina "l'immagine del nostro Paese a livello internazionale". Bene ha fatto, a questo proposito, il ministro degli Esteri Massimo D'Alema a rispondere, su Repubblica, affermando che a volte capita di essere definiti antiamericani anche se si è d'accordo, su molte cose, con il 60% degli americani, che, come dimostrano tutti i sondaggi di opinione resi noti negli ultimi mesi, sono sempre più contrari a questa guerra.


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