di Saverio Monno

Con lo spettro dell’inflazione alle porte e la recessione statunitense dietro l’angolo, il responso della Camera alta del Parlamento italiano brucia in modo lacerante. Gli occhi del mondo ci guardano, fino ad ora non abbiamo fornito che uno spettacolo impietoso. Sputi, urla, insulti, spintoni. Il Presidente Marini che brandendo la “martinella” ammonisce “…via quelle bottiglie, non siamo all’osteria…” mentre in aula si mangia mortadella e si stappano bottiglie di spumante. Il naufragio del governo, i rifiuti della Campania, questo lo spaccato di un’Italia che il New York Times aveva definito “triste”. Un paese dove solo un terzo delle famiglie riesce ad arrivare alla fine del mese, diceva invece l’Eurispes. Una nazione che sempre più ricorda un “mercado callejero arabe” (un mercato di strada arabo) dove il cd. “Diesel” (così come è stato definito Prodi in Germania ndr.) immola la sua maggioranza tra gli scranni del Senato, ostinandosi in una conta che lo avrebbe visto sconfitto 161 contro 156. Le cause del tracollo sono state molteplici ed il “porcellum” è stato “solo” un grave vizio d’origine. L’Unione è andata logorandosi progressivamente, ha intrapreso da sola, ed in via del tutto autonoma, la scelta del suicidio politico. E’ implosa.

di Fabrizio Casari

Il Governo Prodi ha concluso nel peggiore dei modi i suoi diciotto mesi di vita. Un malinteso senso della sfida ha portato ieri sera l'ormai ex-premier a contare, voto dopo voto, la sconfitta, così impedendo ogni ipotesi di Prodi-bis o di governo tecnico e in questo modo determinando l'apertura della prossima campagna elettorale. La crisi è opera del ventre molle della coalizione, gli avanzi democristiani a cui troppo spazio è stato dato. Le fibrillazioni della sinistra, nate dal mancato rispetto del programma sottoscritto da tutta l’Unione, sono state, anche nei momenti più aspri, in grado di separare il merito delle singole questioni dalla salvaguardia della maggioranza: atteggiamento che ha determinato, spesso, la tenuta del governo. E’ invece l’accozzaglia dei democristiani di complemento, buoni per tutti i governi e per tutte le coalizioni, ma solo per la politica dettata da Oltretevere, che ha reso impossibile la già difficile navigazione di un governo che, forse, non sarebbe mai dovuto nascere. Perché nessuna coalizione, in nessun Paese, può governare con due voti di scarto. Questa oggettiva difficoltà è stata l’acqua stagnante dove hanno nuotato gli squali affamati del centro, tutti dotati di minuscole rendite elettorali incompatibili con i maiuscoli appetiti.

di Carlo Benedetti

Nel 1944 aveva 29 anni quando i suoi partigiani, quelli della brigata “Garibaldi” di Ravenna, cominciarono a chiamarlo “Bulow”. E quel nome strano entrò subito nella leggenda riportando alla luce un momento della storia, lontanissimo dalle vicende della guerra di resistenza. I partigiani ravennati, infatti, si ricordarono che c’era stato un generale prussiano, un Conte, di nome Friedrich Wilheilm Bulow, che si era distinto nelle campagne contro Napoleone, sbarrando nel 1813 la via di Berlino al maresciallo Ney e contribuendo alle vittorie di Lipsia e di Waterloo… Sin qui le cronache. E così quel giorno del 1944, quando nelle pianure del ravennate il giovane ventinovenne che guidava i suoi uomini in battaglia contro tedeschi e fascisti, spuntò la leggenda. Perché sentendo il comandante che esponeva, con tono da vero stratega, i piani d’attacco, uno dei partigiani (Michele Pascoli, barbiere comunista che sarà poi fucilato dai nazisti) esclamò: “Mo' chi sit, Bulow?”. Cioè “Ma chi sei, Bulow?', alludendo al generale tedesco. E fu da quel momento che Arrigo Boldrini divenne per tutti “Bulow”.

di Giovanna Pavani

C’è stata una singolare coincidenza che ha accompagnato, appena poche ore fa, l’apertura della seconda crisi (stavolta, probabilmente, definitiva) del governo Prodi. In mattinata il Cardinale Bagnasco aveva offerto nuovi motivi per alimentare lo scontro tra laici e cattolici già fomentato dalla mancata visita di Ratzinger alla Sapienza di Roma. Con sospetto tempismo, il cardinale ha alzato ancora una volta il tiro contro la politica italiana e il suo governo: “L’italia è allo sfascio – ha esordito il presidente dei vescovi italiani - senza speranza, sfilacciato, a coriandoli secondo la definizione degli esperti, nel quale è diffusa una sfiducia diffusa e pericolosa. Un quadro impietoso dal quale emergeva un Paese confuso, dall'economia bloccata, privo di spinte verso il futuro”. Poche ore più tardi il cattolico Mastella staccava la spina al governo annunciando l’uscita dell’Udeur dalla maggioranza.''Basta. E' finita'', ha detto Mastella, aprendo la crisi di governo: un redde rationem anticipato solo di due giorni che ha di fatto vanificato il gran lavorio delle diplomazie, fin dal mattino all'opera per scongiurare il peggio.

di Fabrizio Casari

Rutelli e Binetti, Alemanno e Cesa, Franceschini e Cicchitto. I caporali di complemento dei partiti si sono apparecchiati il loro passaggio nei tg di pranzo e cena. Tutti nello stesso posto. Che non è l’emiciclo di Montecitorio, dove dovrebbero confrontarsi e scontrarsi idee e programmi - se solo ce ne fossero - ma Piazza San Pietro, dove di bipartisan c’è solo l’inginocchiamento. Sono corsi tutti lì, prostrati, non tanto ad ascoltare la “Verità” del pastore tedesco, quanto piuttosto a reiterare, con la loro presenza e le dichiarazioni di banalità, la loro vocazione a stare genuflessi. L’ennesimo scatto di reni per intercettare voti e favori della curia, l’ennesima dimostrazione di quanto l’idea della laicità della politica, dell’autonomia dei valori che dovrebbe far da sfondo a ruoli diversi ed obiettivi diversi, sia superata dalla naturale inclinazione alla servitù. La religione, infatti, ha smesso da tempo di essere un’intima convinzione, un rapporto con la propria coscienza che deve fermarsi davanti all’interesse pubblico che si è chiamati a rappresentare. Non c’è nessuna contraddizione tra invocare libertà per sé e ordinare precetti per gli altri, soprattutto se questo rende, politicamente e non solo. Non è nemmeno necessario agire in coerenza; si vive benissimo inchinandosi al Papa con la propria vita indifferente ai dettami di Santa Romana Chiesa. C’erano infatti più divorziati al Family day che a un congresso radicale, ma si sa: consensus no olet.


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