di Sara Nicoli

Il colpo d’occhio era senza dubbio imponente. Ancora piazza San Giovanni stracolma di gente, dodici giorni dopo il “concertone” del primo maggio e quelle parole dal palco di Andrea Rivera a cui è seguita la risposta alzo zero dell’Osservatore Romano: “Terroristi”. Si suonava anche ieri, ma tutt’altra musica. Le truppe anti Dico, organizzate sapientemente dalle parrocchie, sono scese massicciamente in piazza, meno di un milione, di certo. Al massimno saranno stati trecentomila, bombe mediatiche sui numeri a parte. E quando li ha visti comunque in parecchi, Silvio Berlusconi non ha trattenuto la voglia di fare sua quella piazza e di sparare contro il resto dell’Italia che la pensa in modo diverso. “No ai matrimoni di serie B, no a chi vuole ridurre la Chiesa a una Chiesa del silenzio com'era nell'Unione Sovietica, no ai cattolici che stanno a sinistra: si contraddicono”. Una manifestazione politica in piena regola, dunque, che peserà come un macigno sul percorso parlamentare della legge sui Dico, ma anche su tutti gli altri tentativi legislativi di modernizzare il Paese e venire incontro alle esigenze reali delle persone, nel segno dell’uguaglianza costituzionale. Ieri in Piazza San Giovanni non c’erano famigliole in festa. C’erano i soldati del “partito di Dio” decisi ad imporre un credo come legge seppellendo la minaccia della laicità dello Stato.

di Fabrizio Casari

Prima Fassino, poi Bersani, quindi Rutelli. Dopo l’assemblea di Roma della nuova sinistra, che se non altro per quantità di partecipanti ha stupito tutti, organizzatori in primo luogo, le “bocche di fuoco” del Partito democratico sono entrate in azione. Obiettivo, attaccare la nascente Sinistra Democratica di Mussi e Angius per ridurne l’impatto sull’elettorato progressista. Non tanto e non solo per polemica con chi ha deciso di non seguirli nella nuova avventura, quanto per contrastare da subito la possibile evoluzione politica di quel che già dimostra di poter diventare, potenzialmente, ben più che un nuovo partitino alla sinistra del Pd. Dal punto di vista dei Ds la situazione, infatti, non è semplice: in primo luogo le uscite sono tutte dalla parte loro, visto che dalla Margherita non vengono sussulti operativamente significativi. Il che significa che, per iniziare, il rapporto di forza tra le due componenti unite in una sorta di DICO della politica costruita in laboratorio, in qualche modo viene modificato a svantaggio dei Ds. In secondo luogo, la nascita di una nuova aggregazione a sinistra del PD costringe i DS a non scoprire eccessivamente il fianco sinistro del nuovo partito nato a Firenze, per evitare che si aggiungano numerosi gli ex-Ds che non hanno scelto, o perlomeno non ancora. Come evitare dunque che il percorso della Sinistra Democratica colga consensi ben più ampi di quelli in qualche modo preventivati?

di Elena G. Polidori

Gli applausi sono forti per tutti, da Boselli a Giordano, ma le ovazioni sono per Cossutta e Occhetto, simboli viventi di una divisione politica ed ideologica avvenuta quando ancora non vigevano trionfanti le regole del marketing elettorale. Le migliaia e migliaia di persone che hanno affollato il Palazzo dei Congressi a Roma sono arrivate da ogni parte d’Italia e da ogni luogo della sinistra, con o senza partito. La scommessa è quella di riuscire a prendere il treno, forse l’ultimo che passa per questa generazione di colonnelli e luogotenenti, dell’unità a sinistra. Una di quelle ipotesi che fanno sognare il popolo della sinistra e agitano i sogni degli apparati dei partiti di sinistra. Certo, sentir le note di “Bella Ciao” o dell’”Internazionale” fa scorrere un brivido lungo la schiena, di quelli buoni, che ti emozionano e ti commuovono anche un po’; dà la sensazione di trovarsi in un luogo dove non mancano riferimenti ed attese. Quelle, per precisare, di una Sinistra “nuova, plurale, autonoma, critica, larga, di governo”. E’ nata la Sinistra Democratica. L’atto di nascita reca 5 maggio, come per Marx, ma questa forse è stata solo una coincidenza.

di Elena G. Polidori

E’ la risposta che si attendeva, quel grido che mancava e che il popolo della sinistra, disorientato dalla nascita di un Partito Democratico con forti ascendenze neocentriste, agognava di ascoltare per non costringersi a credere di essere condannato al vuoto politico e all’assenza di una rappresentanza. L’ha lanciato Fabio Mussi dal palco della quarta assemblea nazionale di “Uniti a sinistra”. Ed è stato un grido netto, senza tentennamenti, senza mezze parole e sbavature che potessero dare l’idea dell’esistenza di qualsivoglia incertezza. “Adesso tutti fuori dalle trincee – ha dichiarato – perché bisogna mettersi in marcia sapendo che il tempo non è infinito e ora mi piacerebbe che ci fosse una fase di big ben”. La fase uno per la nascita di un nuovo partito politico, al quale “ci si può avvicinare – ha spiegato ancora Mussi – con passi diversi, ma se camminiamo con in testa un’idea di sinistra, di una sinistra larga e di governo e se si ha in testa questa idea ci sono le condizioni per fare quello che finora è stato difficile perfino immaginare. Dobbiamo provarci e se ci proviamo seriamente chissà che questa volta non ce la facciamo”. La riunificazione della sinistra, oggi, è dunque meno lontana. Anzi, più vicina.

di Sara Nicoli

La fotografia è quella dei due ex segretari che alzano insieme il braccio in segno di vittoria; quello più energico di Rutelli che si incrocia con quello, più stanco, di Piero Fassino. Oppure quella con Rutelli dal palco che guarda Fassino seduto in prima fila e gli dice: "Già adesso siamo lo stesso partito, parliamo lo stesso linguaggio, siamo accomunati dalle stesse priorità". O anche, perché no, sempre Rutelli che dice: "Da adesso dobbiamo dire noi". Già. Ma “noi” chi? Quando qualcuno vorrà datare la nascita del partito democratico sulle ceneri di un’entità politica che ieri erano i Ds (ma un tempo si facevano chiamare Pci e senza provare vergogna) e su quelle di un’altra entità che, invece, non è mai stata né carne né pesce e aveva un simbolo buono per un ipermercato di provincia, probabilmente ci si rifarà a domenica 22 aprile, in un orario che si colloca tra le 13 e 25 e le 13 e 55 e che corrisponde al discorso di chiusura del segretario di un partito senza identità, la Margherita appunto, che da questa fusione fredda avrà tutto da guadagnare, non avendo, di fatto, perso nulla.


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