di Cristina Cosentino

Collegialità e unità. Sono queste le parole d'ordine risuonate a più riprese durante l'incontro tra i leader della sinistra dell'Unione. In 14, tra segretari, capigruppo e ministri, intorno ad un tavolo per cercare quella collegialità tanto auspicata da Prodi e poco praticata durante le scelte di governo. Una denuncia su tutte: i provvedimenti economici che sono stati portati, sino ad oggi, all'esame del Consiglio dei Ministri non sono mai stati discussi nelle sedi preconsiliari, in pratica hanno rappresentato il "pacco a sorpresa" consegnato ai ministri della sinistra. Così, il cambio di passo, necessario a questa maggioranza per andare avanti dopo il disastroso risultato elettorale, deve avvenire a partire dalla condivisione delle scelte di politica economica. Su questi temi non ci sono divisioni a sinistra, contrariamente a quanto si è assistito all'interno del Partito Democratico, ed i leader presenti sono pragmatici: per ottenere l'esito sperato i segretari dei partiti dovranno incontrare subito Prodi per discutere dell'utilizzo del "tesoretto" e dei contenuti del DPEF, il Documento di programmazione economica e finanziaria che sarà varato prima della pausa estiva. Le parole di Pecoraro Scanio sintetizzano il pensiero di tutti: "l'extragettito dovrà essere utilizzato per sostenere i ceti sociali più deboli e per la politica ambientale".

di Giovanni Gnazzi

Oltre dieci milioni di italiani si sono recati alle urne per eleggere sette presidenti di province, circa 800 sindaci (tra i quali quelli di 26 capoluoghi di provincia) ed uno sconfinato numero di consiglieri. Un’affluenza ridotta rispetto alle consultazioni precedenti, che nel caso dell’elezione per i sette presidenti provinciali si è ulteriormente abbassata. Forse un segnale diretto di quanto questa sorta di limbo istituzionale tra regioni e comuni vada perdendo ogni giorno di più significato politico e, dunque, interesse elettorale. Nonostante la “spallata” auspicata da Berlusconi non ci sia stata, le trombe della Casa delle Libertà-Mediaset hanno cominciato a squillare. All’ormai consueto “avviso di sfratto per Prodi”, si sono aggiunti i non meno ripetitivi “governo delegittimato” che, senza ombra di vergogna in chi li pronuncia denotano ampiamente il sapere costituzionale della destra italiana. Il loro capo, che ha visto lo scandire dei suoi cinque anni perdendo ogni tipo di consultazione elettorale, locale, provinciale, regionale, europea e politica che fosse, per poi proseguire con quella referendaria (mai pago il cavaliere di essere disarcionato..) non pensò mai di dimettersi, né si dimise. Abbarbicato alla poltrona di Premier dalla quale dirigeva i suoi affari, non poteva permettersi di rimandare a lavorare quell’esercito di avvocati, tributaristi, giornalisti e tuttofare che aveva generosamente proposto come deputati in barba alla decenza del Paese.

di Lidia Campagnano

C’è qualcosa di perverso nella discussione che si è scatenata a proposito degli spiriti antipolitici che circolano per l’Italia: si ha l’impressione che gli stessi opinionisti, apparentemente a caccia di quegli spiriti, puntino dritto alla distruzione del ceto politico attuale, che dell’antipolitica, giurano, è l’unico responsabile in quanto guadagna troppo, spreca, lavora poco e distribuisce favori ai propri clientes. E’ una campagna vera e propria. Ed è indubbio che questa campagna, pur con tutte le buone ragioni che le si possono riconoscere, alimenta l’antipolitica. Il cane si morde la coda, ma non per innocente stupidità: l’attacco mediatico ai privilegi dei politici oscura tutte le analisi dell’ultimo decennio sulla distruzione dello spazio e del contenuto della politica ad opera del mercato globalizzato. Si parla e si scrive in pieno delirio di onnipotenza, insofferenti a qualunque vincolo di civiltà, sulla capacità-volontà del meccanismo neoliberista e dei suoi fautori di sciogliere i legami sociali sui quali la politica si fonda, precarizzando la vita intera e le vite tutte.

di Sara Nicoli

La classe politica italiana come una casta, distratta dai propri privilegi e a tal punto scollata dal sentire del Paese da correre il rischio di essere “travolta”, come nel ’92, da un qualcosa di simile a Tangentopoli, tuttavia ben più difficile da governare e dalle conseguenze incerte. E’ Massimo D’Alema, in una lunga intervista al Corriere della Sera a lanciare un “allarme” direttamente dal Palazzo, che si sente “assediato” dal costante venir meno del consenso, ma non sa come uscirne. O, forse, non lo vuole affatto. Perché ormai non sfugge più a nessuno dei suoi più acuti inquilini, che la “sfiducia” dei cittadini nei confronti della politica ha raggiunto livelli sconcertanti, che rendono sempre più debole in governo perché è “debole – sostiene D’Alema _ il messaggio al Paese”. “L’esecutivo ha il problema drammatico – svela il ministro degli Esteri e vicepremier - che i suoi risultati sono oscurati dalla crisi del sistema politico, dal prevalere del chiacchiericcio e delle litigiosità autoreferenziali. Tra l’altro, tutto perde di significato quando uno protesta non per quello che dice di contestare, ma perché è preoccupato per la legge elettorale”.

di Alessandro Iacuelli


Un giorno viene scoperto un luogo dove vengono depositati, senza nessuna garanzia di sicurezza, dei rifiuti industriali classificati come tossico-nocivi. Si trovano, per giunta, su un terreno agricolo, e dalle indagini scaturiscono una serie di arresti di elementi appartenenti ad un clan criminale organizzato. E’gravissimo per la nostra salute, ma è un qualcosa che, in un'Italia travolta dalle ecomafie, ci aspettiamo, che sappiamo essere possibile. Quando invece dalle indagini scaturiscono una serie di arresti che colpiscono non un clan mafioso, ma una giunta comunale, allora sta succedendo qualcosa che fa venire i brividi, qualcosa che è gravissimo non solo per la nostra salute, ma anche per quella delle nostre istituzioni locali. E' successo a Montefiascone, in provincia di Viterbo, non in una delle regioni a tradizionale presenza mafiosa, ma nel Lazio settentrionale.


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