di Betta Bertozzi

Mediaset ha comprato Endemol. È come se Fiat comprasse i motori da Volkswagen. Ma è più grave. Anche a rifletterci, creando strane metafore in cui Coca Cola è costretta a comprare l’acqua gasata per fare le sue bibite da Pepsi, anche a struggercisi sopra a lungo, trovare un paragone è faticoso. Allora, ecco i fatti. Rai, da qualche anno sempre più spesso, non ricorre più alle sue risorse interne per inventare i programmi. Per avere nuovi formati da mandare in onda, si rivolge a società esterne che, essendo multinazionali, hanno continue acquisizioni di idee che vengono adattate, di paese in paese, ai gusti dei telespettatori. Questo significa che esiste un mercato piuttosto variegato e popoloso dei formati televisivi, in cui dovrebbe essere vincente chi sforna le idee più originali che fanno raggiungere alle reti i risultati migliori. Già, i risultati. Dai risultati di share, dai dati di ascolto, dipende il valore degli spazi pubblicitari. Perché i cachet di chi presenta il Festival di San Remo sono ogni anno in prima pagina? Perché sono lauti, sono polposi perché sono il frutto della contrattazione pubblicitaria.

di Elena G. Polidori

Il governo si è finalmente accorto che la Rai naviga in guai seri. Se n’è accorto con un colpevole ritardo di un anno e mezzo, una misura di tempo enorme per un azionista di maggioranza della tv pubblica, qual è il Tesoro, e che ha fatto maturare bilanci da far tremare i polsi. E il prossimo esercizio sarà anche peggio. Ma se il governo, oggi e non ieri, ha deciso di intervenire facendo fuori quell’unico consigliere su cui aveva potere di revoca secondo la legge Gasparri (Angelo Maria Petroni) non è certo perché – come è stato fatto credere in prima battuta – si era raggiunto il cosiddetto “punto di non ritorno”, uno stallo di gestione mai conosciuto prima dalla tv di Stato. Ovviamente, come tutte le volte che si parla della Rai, laboratorio politico del Paese, le ragioni di questo intervento sono altre. Oscillano dal conflitto d’interessi fino alla nuova legge elettorale, passando anche per la legge sui Dico e le nuove aggregazioni politiche della sinistra, nonché per il riassetto del sistema tv, meglio noto come legge Gentiloni. E se si considera che, in virtù della legge Gasparri, 7 consiglieri Rai sono espressione del voto della Commissione di Vigilanza, uno è nominato dal Tesoro e il Presidente rappresenta la "summa" di un complicato intreccio di mediazioni e "scambi" politici, ci si può rendere facilmente conto di quali interessi diversi sia portatore ciascuno dei componenti del vertice aziendale Rai.

di Sara Nicoli

Il colpo d’occhio era senza dubbio imponente. Ancora piazza San Giovanni stracolma di gente, dodici giorni dopo il “concertone” del primo maggio e quelle parole dal palco di Andrea Rivera a cui è seguita la risposta alzo zero dell’Osservatore Romano: “Terroristi”. Si suonava anche ieri, ma tutt’altra musica. Le truppe anti Dico, organizzate sapientemente dalle parrocchie, sono scese massicciamente in piazza, meno di un milione, di certo. Al massimno saranno stati trecentomila, bombe mediatiche sui numeri a parte. E quando li ha visti comunque in parecchi, Silvio Berlusconi non ha trattenuto la voglia di fare sua quella piazza e di sparare contro il resto dell’Italia che la pensa in modo diverso. “No ai matrimoni di serie B, no a chi vuole ridurre la Chiesa a una Chiesa del silenzio com'era nell'Unione Sovietica, no ai cattolici che stanno a sinistra: si contraddicono”. Una manifestazione politica in piena regola, dunque, che peserà come un macigno sul percorso parlamentare della legge sui Dico, ma anche su tutti gli altri tentativi legislativi di modernizzare il Paese e venire incontro alle esigenze reali delle persone, nel segno dell’uguaglianza costituzionale. Ieri in Piazza San Giovanni non c’erano famigliole in festa. C’erano i soldati del “partito di Dio” decisi ad imporre un credo come legge seppellendo la minaccia della laicità dello Stato.

di Fabrizio Casari

Prima Fassino, poi Bersani, quindi Rutelli. Dopo l’assemblea di Roma della nuova sinistra, che se non altro per quantità di partecipanti ha stupito tutti, organizzatori in primo luogo, le “bocche di fuoco” del Partito democratico sono entrate in azione. Obiettivo, attaccare la nascente Sinistra Democratica di Mussi e Angius per ridurne l’impatto sull’elettorato progressista. Non tanto e non solo per polemica con chi ha deciso di non seguirli nella nuova avventura, quanto per contrastare da subito la possibile evoluzione politica di quel che già dimostra di poter diventare, potenzialmente, ben più che un nuovo partitino alla sinistra del Pd. Dal punto di vista dei Ds la situazione, infatti, non è semplice: in primo luogo le uscite sono tutte dalla parte loro, visto che dalla Margherita non vengono sussulti operativamente significativi. Il che significa che, per iniziare, il rapporto di forza tra le due componenti unite in una sorta di DICO della politica costruita in laboratorio, in qualche modo viene modificato a svantaggio dei Ds. In secondo luogo, la nascita di una nuova aggregazione a sinistra del PD costringe i DS a non scoprire eccessivamente il fianco sinistro del nuovo partito nato a Firenze, per evitare che si aggiungano numerosi gli ex-Ds che non hanno scelto, o perlomeno non ancora. Come evitare dunque che il percorso della Sinistra Democratica colga consensi ben più ampi di quelli in qualche modo preventivati?

di Elena G. Polidori

Gli applausi sono forti per tutti, da Boselli a Giordano, ma le ovazioni sono per Cossutta e Occhetto, simboli viventi di una divisione politica ed ideologica avvenuta quando ancora non vigevano trionfanti le regole del marketing elettorale. Le migliaia e migliaia di persone che hanno affollato il Palazzo dei Congressi a Roma sono arrivate da ogni parte d’Italia e da ogni luogo della sinistra, con o senza partito. La scommessa è quella di riuscire a prendere il treno, forse l’ultimo che passa per questa generazione di colonnelli e luogotenenti, dell’unità a sinistra. Una di quelle ipotesi che fanno sognare il popolo della sinistra e agitano i sogni degli apparati dei partiti di sinistra. Certo, sentir le note di “Bella Ciao” o dell’”Internazionale” fa scorrere un brivido lungo la schiena, di quelli buoni, che ti emozionano e ti commuovono anche un po’; dà la sensazione di trovarsi in un luogo dove non mancano riferimenti ed attese. Quelle, per precisare, di una Sinistra “nuova, plurale, autonoma, critica, larga, di governo”. E’ nata la Sinistra Democratica. L’atto di nascita reca 5 maggio, come per Marx, ma questa forse è stata solo una coincidenza.


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