di Elena Ferrara

Il Sindaco di Roma Walter Veltroni ha oltrepassato la Grande muraglia cinese – raggiungendo Pechino, Tianjin e Xian – ed ha già avviato una missione per stabilire accordi nei settori dell'urbanistica, del turismo, della mobilità, della tutela dell'ambiente, del patrimonio artistico, della cultura e dell'istruzione superiore. Un piano estremamente ambizioso in una terra che è pur sempre lontana. L’obiettivo, comunque, non è tanto quello relativo alla promozione culturale (al Capital Museum della capitale cinese c’è già in bella mostra il busto della Medusa di Gian Lorenzo Bernini) quanto quello di dimostrare che una città come Roma ha un potenziale “culturale e tecnologico” capace di aiutare una Cina che punta al recupero e alla ristrutturazione di interi quartieri cittadini. E così se Veltroni riuscirà a convincere gli amministratori di Pechino, Tianjin e Xian si potrebbe anche prevedere una sorta di joint-venture dedicata ai restauri e alla salvaguardia dei maggiori monumenti della storia e dell’architettura. L’esperienza romana potrebbe poi investire un campo che per i cinesi è divenuto più che drammatico. Quello dell’inquinamento atmosferico.

di Elena G. Polidori

Nel giorno in cui un ordigno è esploso al passaggio di un convoglio di mezzi militari italiani nella provincia di Farah, nell'Afghanistan occidentale (segnale inequivocabile che il clima, nella regione, sta cambiando in peggio), al Senato il dibattito politico alla vigilia del voto sul rifinanziamento di tutte le missioni militari all’estero, prima tra tutte proprio quella in Afghanistan, sta facendo emergere divisioni e contrapposizioni che non promettono nulla di buono a prescindere dall’esito finale del voto. Il quadro è infatti frammentato, fatto salvo che a nessuno, in questo momento, preme davvero una bocciatura del governo sul fronte caldo della politica estera. E la sopravvivenza di Prodi, in questo caso, è solo un problema secondario.Un “no” al rifinanziamento delle missioni provocherebbe infatti un immediato ritiro di tutte le truppe italiane sui fronti caldi, con conseguenze pesanti a livello di alleanze ed equilibri internazionali.

di Fabrizio Casari

Daniele Mastrogiacomo è libero. E’ stato rilasciato oggi pomeriggio sano e salvo e dire che ne siamo felici è usare un eufemismo. La sua liberazione, una delle poche buone notizie che provengono dallo scenario di guerra afgano, si deve alla capacità del governo italiano di negoziare con i Talebani e all’indiscutibile, decisivo aiuto, fornito da “Emergency”, l’unica struttura occidentale che può legittimamente parlare di pace e di gesti umanitari a Kabul e dintorni. Proprio insieme a Gino Strada, fondatore dell’associazione umanitaria, il giornalista de La Repubblica si è fatto ritrarre nella sua prima foto da libero. La liberazione di Daniele avrebbe dovuto aver luogo già nella giornata di ieri, ma alcuni intoppi relativamente alla conclusione della trattativa avevano complicato la chiusura definitiva della stessa ed il conseguente rilascio degli ostaggi.

di Maurizio Coletti

Il Tar del Lazio ha sospeso il Decreto della Ministro Turco che innalzava da 500 a 1000 milligrammi la quantità di cannabis detenibile prima di incorrere nel reato di spaccio. Il provvedimento del Ministro alla Salute era stato impugnato da una Comunità Terapeutica di Taranto e, addirittura, dal Codacons. Le motivazioni della sentenza sono che la politica ed il Governo non possono stabilire dette misure senza appoggiarsi si basi scientifiche. Bene, si direbbe: basta con i proclami politici ed avanti con le evidenze scientifiche. Se non fosse per il fatto che anche il limite precedente (ora di nuovo in vigore) non sembra avere queste evidenze. Una commissione di esperti in materia poco più di un anno fa rispose al Ministro Storace che questa soglia (quella sotto la quale si può ragionevolmente affermare che è per i bisogni o per i desideri di un individuo) è non tracciabile una volta per tutte e che la decisione in materia dipende dall’approccio politico che si vuole dare alla questione. Infatti, Ciccio Storace prese per sante queste parole e stabilì lui questo limite.

di Sara Nicoli

L’aveva pensato da tempo, il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, di portare allo scoperto lo scandalo del blocco politico che gli impedisce di far funzionare l’azienda anche nelle piccole cose. Erano mesi, se la si vuole dire proprio tutta, che i consiglieri d’amministrazione di area centrosinistra (Curzi, Rognoni e Rizzo Nervo) gli chiedevano un’azione coraggiosa, un richiamo forte al Palazzo a risolvere, una volta per tutte, la questione legata ad una maggioranza del cda che è ancora quella voluta da Berlusconi e che non ha alcuna intenzione di permettere cambiamenti che non siano confacenti al bene della concorrenza: se la Rai non si muove, il Biscione ne guadagna. Alla fine, Cappon non ce l’ha fatta più. E nonostante a palazzo Chigi gli avessero chiesto di resistere, non volendo proprio adesso la grana Rai sul tavolo, lui è entrato in cda e si è fatto bocciare, una per una, tutte le nomine proposte. Un messaggio forte e chiaro: o il ministro Padoa Schioppa si mette in testa di sostituire il consigliere espresso dal Tesoro, quell’Angelo Maria Petroni nominato da Tremonti e ancora ben saldo sulla poltrona, oppure io me ne vado.


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