di Elena G. Polidori

Adesso l'Unione ha un nuovo programma: sopravvivere quel tanto che basta a riscrivere le regole del gioco. I numeri che ieri al Senato (162 i favorevoli, grazie a Follini e Pallaro) hanno ridato la fiducia al governo Prodi dimostrano ancora una volta che ormai la legislatura si avvia sulla strada di una lenta agonia e che l'unico, importante, sforzo politico sarà profuso nella riforma della legge elettorale, quell'emergenza condivisa anche da un centrodestra allo sfascio e spaventato dall'idea di ripresentarsi con grande anticipo alle urne sotto l'egida della “porcata” firmata da Calderoli. Lo stesso Prodi è stato chiaro: "Il compito del governo su alcuni punti può dirsi concluso, adesso si tratta di ridare potere di scelta ai cittadini". Forse non si parlerà di nient'altro da qui ai prossimi mesi. Ed ogni questione urgente sarà derubricata alla ricerca spasmodica di un consenso ampio su un progetto di riforma (probabilmente su modello tedesco) che tenga conto di tutte le esigenze in campo, soprattutto quelle dei piccoli partiti che temono l'introduzione di sbarramenti che li cancellerebbero per sempre dal quadro politico italiano. Del dodecalogo di Prodi, quindi, resterà ben poco da poter portare avanti senza scosse.

di Daniele John Angrisani

E' così finalmente il presidente Napolitano ha sciolto la riserva ed inviato di nuovo il governo Prodi alle Camere per la fiducia e la verifica dell'esistenza della maggioranza di centrosinistra, soprattutto al Senato. Dopo l'approvazione dei 12 punti programmatici da parte dell'intera Unione e dopo le dichiarazioni di Follini, che si è detto pronto a votare per il governo Prodi, Napolitano non aveva altra scelta che rinviare questo governo alle Camere. Che fosse questo alla fine il risultato della crisi di governo, lo si poteva comunque desumere sin dall'inizio, quando il presidente della Repubblica ha deciso di mantenere la riserva sulle dimissioni di Prodi, invece di accettarle tout court come ci si sarebbe potuto attendere in casi del genere. Ma, sebbene la crisi sia stata formalmente risolta con questa decisione, i nodi rimangono sempre aperti ed è molto difficile essere ottimisti sulla durata futura di questo governo, in special modo ragionando su un'ottica di medio-lungo periodo. Vediamo ora perchè.

di Elena G. Polidori

Gli è sempre piaciuto a Marco Follini parlare attraverso le massime, sfoderare proverbi, risolvere astutamente situazioni difficili e domande scomode con le battute e i giochi di parole. Stavolta, la frase con cui verrà incorniciato il suo “trasformismo” in nome dello spostamento al centro della barra di comando del governo (con conseguente sepoltura eterna per i “Dico”) riassume tutta la volontà dell’Harry Potter della politica italiana di essere protagonista, e non solo comprimario, della costruzione di un nuovo centrosinistra che dia al paese una stabilità e un respiro che guardi oltre la contingenza del momento. Così voterà la fiducia a Prodi, “perché votare con Diliberto – ecco la frase che suggella l’idea - non è meno imbarazzante che votare con Calderoli”. Democristiani si nasce. Lo si diventa pure, ma ci vuole un robusto dna moderato per svelare, in un momento come questo, di avere in tasca un progetto politico che vuole smarcarsi dalla gogna del “votare senza essere aggrappato ai Diliberto e ai Calderoli” e trasformarsi, in prospettiva, un grande partito di centrosinistra da ancorare, nella sua ottica, più vicino possibile al centro.

di Giovanni Gnazzi

Questo non è un Paese normale. Se nel terzo millennio, Andreotti e un trotkista riescono a mettere in crisi il governo di un membro del G8, è chiaro che non siamo di fronte ad un paese normale. La sconfitta del Governo e della maggioranza sulla mozione sulla politica estera, se da un lato, costituzionalmente, non obbliga a nessuna dimissione dell’Esecutivo, dall’altro è ovvio che apre una crisi politica serissima: non si tratta di un voto negativo su un singolo provvedimento, bensì di un voto straordinariamente importante, dal momento che si trattava di valutare la politica estera, non una bubbola qualunque. E’ una sconfitta che ha molti padri ed una sola madre. Questa è una legge elettorale pazzesca, una “porcata”, com’è stata definita dal suo stesso autore in un raro momento di sobrietà di giudizio, concepita dal Polo con il preciso obiettivo di rendere instabile la maggioranza che l’avrebbe cacciato, così da ridurre la sconfitta ad ingovernabilità di tipo libanese. I padri, invece, sono variamente allocati nella sinistra cosiddetta “radicale” che, euforica per uno sbarramento elettorale ridicolo, ha candidato tutti e tutto, scegliendo in coerenza con la legge elettorale la via della competizione intestina voto per voto. Oliviero Diliberto ha scelto di candidare Fernando Rossi e Fausto Bertinotti ha scelto di candidare la pattuglia dei Turigliatto and &. I motivi sono da ricercarsi negli assetti interni di Pdci e Prc, destinati solo a rafforzare i centri di comando dei rispettivi segretari.

di mazzetta

Nella ridente cittadina di Vicenza, che pure da qualche tempo ride poco, è andato tutto bene. Chi avesse creduto alle dichiarazioni dei politici, dei funzionari e delle stampa ieri era in attesa di notizie che non potevano pervenire, perché tutta la costruzione messa in piedi in questi giorni era semplicemente falsa. Ancora ieri uno dei principali quotidiani dava conto della preparazione di una unità di soccorso batteriologico, adatta anche a fronteggiare la minaccia di un attacco all’antrace. Sfortunatamente per chi ha steso l’articolo, la realtà ci dice che non c’è cura per la contaminazione da antrace, ma ci dice anche che “l’allarme antrace” era una bufala, un falso. Così come è stata un considerazione falsa quella che ha giustificato la costituzione dell’unità di soccorso, visto che a memoria d’uomo non si sono verificati attacchi chimici nel nostro paese.


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