di Sara Nicoli

Si è rimasti non poco sorpresi nell’assistere all’enfasi con cui il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, ha dato l'affondo ex catedra al ddl Gentiloni, quel progetto di legge ancora in fase embrionale che si pone come principale tra gli obiettivi di mettere un tetto solido alla possibilità di accaparramento pubblicitario da parte di una sola azienda televisiva (Mediaset) a discapito delle altre (Rai compresa, ovviamente). Facendo leva sull'autorevolezza del ruolo, Catricalà ha fatto eco a Berlusconi (che già aveva definito “criminoso” il ddl ) andando dritto al cuore di un problema non suo ma che da tempo il Paese si aspetta che venga risolto. Ma non certo nel modo da lui suggerito: “Non si possono porre tetti al fatturato di un'azienda – ha spiegato - perchè se ne deprime la crescita e per Mediaset la raccolta pubblicitaria è gran parte del fatturato”. Una stupefacente difesa dell’azienda berlusconiana che è piombata nel dibattito politico in modo dirompente. E che ha palesato, prima che la semplice critica al ddl, una nuova, incresciosa anomalia del sistema delle regole italiano, quella di un presidente dell'Antitrust che difende trust e concentrazioni anziché il suo contrario. Quando si dice l’uomo giusto al posto giusto…

di Elena G. Polidori

Se c’è un banco di prova su cui il governo sarà chiamato, proprio in questa settimana, a dare la misura della propria convinzione sulla natura profondamente laica dello Stato, questo sarà rappresentato dai Pacs e dalla forza con cui la maggioranza difenderà l’idea di “non arretrare” - dice Fassino – per dare all’Italia una legge al passo con i tempi e con il resto dell’Europa. Quello delle persone che vivono in unioni di fatto dovrebbe ormai essere considerato un riconoscimento doveroso, per nulla “eversivo” e niente affatto tendente ad “importare dall’Europa – parole di D’Alema - un diabolico scardinamento della famiglia”. In ballo ci sono i diritti, quelli più innocui ed elementari di milioni di persone, necessità primarie sotto gli occhi di tutti che solo l’ipocrisia cattolica continua a voler negare in nome di una difesa della famiglia tradizionale che, per molti di loro, è diventata un po’come la linea del Piave, oltre il quale c’è solo un lento dissolvimento del potere temporale fino ad oggi fieramente esercitato ben oltre le mura di San Pietro.

di Giovanna Pavani

Sono capitoli di storia che si sarebbero dovuti chiudere, a livello giudiziario, molti anni fa e invece sono rimasti appesi. E, come tutte le cose che non si sono volute superare, ad un certo punto riemergono e si intrecciano con altre vicende, lontane anni luce nel tempo e nello scenario sociale che le vide maturare, rendendo tutta la storia recente di questo Paese una melassa in cui è difficile districarsi per chi quelle storie le ha vissute, figurarsi per le giovani generazioni. La recente, nuova richiesta di sospensione della pena per Adriano Sofri e le conseguenti voci sulla possibilità che finalmente gli venga concessa la grazia, ha riaperto anche un altro capitolo, quello di quei giovanotti aitanti della Valle Aurina che quarant’anni fa terrorizzarono l'Alto Adige: gli Schutzen. Condannati il 9 luglio 1971 dalla Corte d’Assise d’Appello di Bologna all’ergastolo, non hanno mai scontato un solo minuto di carcere: tutti riparati all’estero, senza nemmeno aspettare il verdetto di primo grado. Tecnicamente sempre latitanti, attendono la grazia gli austriaci Siegfried Steger, classe 1939, e Sepp Forer, più giovane di un anno, con l’italiano Heinrich Oberleiter, 65enne. Gente “seria”, che non si è mai imbrattata le mani con le invenzioni farsesche della Padania, ma che da sempre chiama orgogliosamente Patria quel fazzoletto di terra che è il solo Tirolo e le sue folkloristiche tradizioni.

di Mazzetta

L’addio ai DS di un parlamentare poco conosciuto al grande pubblico ha provocato, negli ultimi giorni, un mezzo terremoto. L’ormai famoso Nicola Rossi ha mollato Fassino, D’Alema e Veltroni perché secondo lui il partito non è più riformista. La parola, di per sé, non significa molto. O meglio: è sempre stato chiarissimo che ciascuno di quelli che si riconoscono nel movimento che si identifica con il riformismo, ha una sua personale idea sulla questione. Tutti questi , tuttavia, fino a venti anni fa sarebbero stati considerati di destra. Rossi era un componente della squadra di D’Alema, epicentro creatore del mantra riformista, che ha significativamente influenzato, insieme ad altri, le decisioni dal dopo-PCI, cominciando da appena oltre Occhetto. Quest'ultimo incarnava ancora la vecchia scuola politica italiana e fu fatto passare per un mezzo estremista non appena pronunciava certe verità, spesso date fino al giorno prima per sacre, ma ormai destinate ad essere travolte del riformismo rampante. Fu questo pool di intelligenze che accettò il simpatico scambio tra la Bicamerale (oggetto non meno oscuro del riformismo ed esperienza fallimentare che si sapeva tale fin da prima) e la libera strapotenza televisiva di Berlusconi.

di Lorenzo Zamponi

Sul fronte universitario l’autunno appena concluso è stato il più tranquillo degli ultimi anni. Praticamente nessuna delle mobilitazioni verificatesi lo scorso anno, quando decine di atenei italiani furono occupate in protesta contro il ddl Moratti, si è ripetuta. Ma sottotraccia c’è chi prepara una primavera di conflitto aperto e, a scatenarlo, potrebbe essere proprio il governo. Del resto le questioni aperte sono le stesse ormai da almeno una decina d’anni, e niente fa pensare che il cambio di esecutivo abbia sconvolto il terreno dello scontro. Da una parte ci sono le grandi tendenze di ristrutturazione dell’istruzione e della formazione, figlie e figliastre del processo di Bologna aperto nel 1999 dall’Ue: il cosidetto nuovo ordinamento, o 3+2, le sue degenerazioni più o meno volute, la riforma a “Y” predisposta dalla Moratti, i diversi documenti dell’associazione Treelle, di Confindustria e di altre lobby più o meno trasparenti.


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