di Elena G. Polidori


Il film di Enrico Deaglio, Uccidete la democrazia, sui presunti brogli elettorali alle elezioni politiche 2006, oltre al clamoroso successo di pubblico, ha avuto senz’altro il merito di aver aperto il vaso di Pandora dei dubbi e delle incertezze seguite alla proclamazione della vittoria dell’Unione. Dopo giorni di polemiche seguite alla proiezione del film nelle sale di Montecitorio e all’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Roma, sembra che ormai si sia fatta strada la convinzione che qualcosa di illecito sia davvero avvenuto nelle stanze del Viminale al momento del conteggio dei voti, ma che sia praticamente impossibile arrivare a scoprire gli artefici del brogli e i loro mandanti. La difficoltà risiede principalmente nel fatto che riuscire a dimostrare l’esistenza di un disegno golpista del centrodestra dietro i dati “anomali” delle schede bianche è, giuridicamente, un’impresa senza sbocco.
Ecco perché anche i magistrati della Procura di Roma non riconteranno le schede bianche, come era stato ipotizzato, ma si limiteranno ad ascoltare gli autori dell’inchiesta circa le informazioni in loro possesso sul procedimento di afflusso dei risultati dai seggi alle prefetture, fino al Viminale. Come vuole la tradizione, la verità su cosa accadde nella notte tra il 10 e l’11 aprile 2006 non la sapremo mai.

di Lidia Campagnano

E’ del 1999 la decisione dell’Onu di celebrare, ogni 25 novembre, la Giornata Internazionale contro le violenze alle donne. La data ricorda l’assassinio, dopo torture indicibili, di due sorelle dominicane, Minerva e Maria Teresa Mirabal, fermate dai militari del dittatore Trujillo mentre si recavano a visitare in carcere i loro cari. Probabilmente qualcuno ha scritto il numero di donne che hanno pagato lo stesso prezzo di Minerva e Maria Teresa alle tirannie del mondo, ma il problema è che quel numero finisce col confondersi con altri numeri di donne vittime di violenze diversissime per il soggetto che le compie: un militare o un marito, il vicino di casa di diversa religione o il padre di uguale religione, il dannato della Terra o il benestante europeo, il vecchio e il ragazzotto, il progressista e il fascista.

di Domenico Melidoro

Dopo una lunga e complicata fase di discussione che ha più volte provocato tensioni e spaccature nella maggioranza, la Camera dei Deputati ha finalmente approvato la Finanziaria ottenendo 311 voti a favore, 251 contrari e un solo astenuto. Prodi e i suoi Ministri (in particolare Tommaso Padoa Schioppa, che di questa manovra è considerato il principale ispiratore) si godono la temporanea compattezza della maggioranza e si preparano a una prova ben più complessa: il voto al Senato. La maggioranza dell’Unione a Palazzo Madama è molto più ridotta di quella di cui essa gode a Montecitorio. Tuttavia, nonostante l’esiguità dei numeri, la frequenza dei contrasti tra le varie anime presenti nella maggioranza e le sempre più insistenti voci sulla compravendita dei Senatori da parte di Silvio Berlusconi, al momento non è prevedibile alcun clamoroso colpo di scena. Dunque, anche al Senato la Finanziaria dovrebbe essere approvata senza particolari difficoltà.

di Elena G. Polidori

La ricorderemo, senza dubbio, come la notte in cui l’Italia intera visse uno psicodramma politico e sociale squassante e che fece emergere dubbi, ancora tutt’altro che sopiti, sulla solidità della nostra democrazia e delle nostre istituzioni. E la fotografia che è rimasta, indelebile, di quella notte lunghissima tra il 10 e l’11 aprile 2006 è senz’altro quella di un Berlusconi furibondo che varca le porte del Quirinale urlando ai brogli e all’inganno dei dati elettorali. La macchina elettorale del Viminale, in quelle ore, si era clamorosamente inceppata. I dati affluivano dai comuni ai terminali del ministero dell’Interno con inusitata lentezza, nonostante le operazioni di voto si fossero concluse ormai da sette ore e in quasi nessun seggio d’Italia ci fossero ancora presenti gli scrutatori e i rappresentanti di lista. Era successo, dunque, qualcosa di inquietante, che la Cdl sconfitta solo di una manciata di voti cavalcò subito sull’onda delle parole del proprio leader costringendo le Corti d’Appello a rifare i conti. Si ricorderà che il risultato finale sulle elezioni politiche 2006 fu proclamato solo con due giorni di ritardo rispetto alla chiusura dei seggi. Non era mai successo prima. I brogli, forse, ci sono stati davvero. Solo che a commetterli è forse stata quella stessa parte politica che, a caldo, ne ha denunciato l’esistenza.

di Sara Nicoli

Chi nasce Epurator muore epurato, si potrebbe dire parafrasando il vecchio adagio della nemesi popolare secondo cui, prima o poi, chi di spada ferisce, con lo stesso mezzo viene fatto fuori non appena il caso ne concede l’opportunità. Gianfranco Fini, presidente di An, non ha invece atteso che si verificasse un particolare casus belli per decidere, in magnifica solitudine, di cacciare Francesco Storace dall’esecutivo di An. Come da prassi recentemente consolidata nei partiti dove la democrazia latita e il dissenso non viene in alcun modo tollerato, Fini ha “informato” Storace della sua decisione semplicemente facendo sparire il suo nome dal sito del partito. Quindi ha dato alle stampe, attraverso il portavoce Andrea Ronchi, un comunicato in cui si spiegavano succintamente le ragioni dell’ignominiosa cacciata: eccesso di dissenso dalla linea politica del capo. Quando si dice la classe.


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