di Alessandro Iacuelli

Sono 20 gli accordi, su nucleare, ferrovie, difesa e immigrazione, quelli siglati il nove aprile al vertice bilaterale tra Italia e Francia tenutosi a Parigi. E' "il segno chiaro della collaborazione concreta tra i due Paesi", come ha dichiarato Silvio Berlusconi nella conferenza stampa tenuta alla fine del vertice assieme al presidente francese Nicolas Sarkozy. Nel campo nucleare, in particolare, sono 11 gli accordi firmati per il rientro dell'Italia nel nucleare, ma non in un nucleare qualsiasi, ma in quello francese. Infatti gli accordi sono a livello di industria, formazione e sicurezza, con l'uniformazione del sistema industriale italiano a quello transalpino.

Infatti, durante il vertice, il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo e il suo collega francese, Jean-Louis Borloo, hanno firmato un protocollo d'intesa che istituisce fra i due Paesi un "regolare sistema di scambio di informazioni e di esperti in materia di sicurezza nucleare, facilitando la collaborazione fra le due agenzie nazionali competenti in materia", l'Ispra e l'Asn. Le due agenzie hanno sottoscritto un accordo di collaborazione finalizzato allo scambio d’informazioni nelle questioni relative alla scelta dei siti, alla costruzione, la messa in opera e la dismissione di impianti nucleari, il ciclo del combustibile, la gestione dei rifiuti radioattivi,

Si tratta di quattro sezioni articolate in 15 articoli, per quanto riguarda il protocollo. Infatti è questo il punto principale dell’accordo tra i due organismi tecnici; si parte dalla premessa del "reciproco interesse allo scambio d'informazioni relative alle materie normative e agli standard richiesti o raccomandati dalle rispettive organizzazioni per la regolamentazione della sicurezza nucleare e dell’impatto ambientale delle installazioni e delle attività nucleari, inclusi gli impianti futuri, della gestione e il deposito finale del combustibile irraggiato e dei rifiuti nucleari nonché per la regolamentazione della radioprotezione".

L’articolo 6 dell'accordo tra Autorità di sicurezza francese e Ispra prevede inoltre una cooperazione più ampia nel campo della sicurezza nucleare, con lo scambio di informazioni sulla "legislazione, regolamentazione, guide di sicurezza e criteri tecnici in materia di normativa sulla sicurezza nucleare riguardante la localizzazione, il progetto, la costruzione, l’esercizio, la disattivazione degli impianti nucleari, la gestione dei rifiuti radioattivi e l’impatto ambientale". Previsto dall’accordo, anche lo scambio d’informazioni sulle procedure di autorizzazione, ispezione e di garanzia dell’esecuzione, di regolamentazione e metodologie di valutazione relative alla sicurezza nucleare, alla radioprotezione, alla garanzia di qualità, alla gestione dei rifiuti radioattivi, al trasporto, alla pianificazione dell’emergenza, alla valutazione d’impatto ambientale degli impianti nucleari.

L'accordo è valido per cinque anni. Ma l'Italia è fuori dal nucleare, a livello statale, dal 1987, per cui questo scambio d’informazioni appare essere a senso unico: non solo gli italiani hanno da imparare dai francesi, ma devono anche adeguare i loro impianti per diventare lo sbocco commerciale e industriale del nucleare francese, con buona pace per tutti bei discorsi circa l'indipendenza energetica dall'estero.

Sempre in conferenza stampa, il ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, ha dato un po' di spettacolo, con dichiarazioni entusiaste e trionfalistiche: "Da oggi parte il sistema industriale nucleare italo-francese". Soprattutto, con dieci accordi che rappresentano in tutto e per tutto l'invasione francese nel mercato energetico italiano, l'esportazione di tecnologie, di capacità, e anche di comproprietà delle nostre future bollette elettriche, Scajola è stato tanto coraggioso da dichiarare che non si tratta di "un'operazione di colonizzazione da parte delle imprese transalpine, ma impegno per valorizzare le eccellenze industriali nostrane nella nascente filiera dell'atomo, impegnandosi nella realizzazione delle prime centrali Epr in terra italiana". Eccellenze industriali che, rispetto ai colossi francesi EDF e Areva, non ci sono. Pertanto saranno i francesi a ricostruire ex novo la filiera nucleare italiana.

In materia di sicurezza, Scajola ha generato anche un buona dose di sana ilarità presso la stampa presente in conferenza, con la sua dichiarazione: "Io, se potessi scegliere dove mettere una centrale, me la metterei nel giardino di casa, per un semplice motivo: che in tutto il mondo, dove è stata costruita una centrale nucleare, è cresciuta l’economia del territorio e c’è stata una grande salvaguardia dell’ambiente, perché non ci sono emissioni."

Certamente il ministro ha voluto fare una battuta, per carità, ma una battuta che segue di poche ore un'altra dichiarazione, fatta stavolta da qualcuno che di fisica dell'atomo ne capisce certamente di più di Scajola. E’ il premio Nobel Carlo Rubbia, che riguardo il ritorno delle centrali nucleari in Italia ha dichiarato: "Si sa dove costruire gli impianti? Come smaltire le scorie? Si è consapevoli del fatto che per realizzare una centrale occorrono almeno dieci anni? Ci si rende conto che quattro o otto centrali sono come una rondine in primavera e non risolvono il problema, perché la Francia per esempio va avanti con più di cinquanta impianti? E che gli stessi francesi stanno rivedendo i loro programmi sulla tecnologia delle centrali Epr, tanto che si preferisce ristrutturare i reattori vecchi piuttosto che costruirne di nuovi? Se non c’è risposta a queste domande, diventa difficile anche solo discutere del nucleare italiano."

Già, i francesi rivedono i loro programmi sull'Epr, ma l'Epr muove l'industria, e si tratta di industria pesante con migliaia di lavoratori impiegati. Pertanto, ridurre i programmi per l'Epr significherebbe mandare in crisi l'industria nucleare d'oltralpe. Quale migliore soluzione, allora, del mantenimento dello stesso livello economico ed occupazionale, semplicemente esportando la tecnologia Epr in Italia?

Dal canto suo, Sarkozy non ha mancato di elogiare apertamente l'Italia, che gli toglie la spina nel fianco di una possibile crisi industriale. "Rendo omaggio alla decisione storica del governo italiano e di Berlusconi sul nucleare", ha dichiarato il presidente francese alla fine del vertice, aggiungendo che "la scelta avvicina Francia e Italia". D'altronde, dopo aver perso un preziosissimo contratto da ben 20 miliardi di dollari ad Abu Dhabi, la Francia vede nel nostro paese uno sbocco importante per la sua industria nucleare, per cui non destano meraviglia dichiarazioni del tipo: "La nostra volontà è di lavorare mano nella mano con le aziende italiane. La Francia e le sue imprese sono veramente decise a investire nel lavoro con gli italiani". Nessun dubbio: la costruzione di quattro centrali entro il 2030 certamente arricchirà le commesse dell'industria transalpina.

Certo, in Italia ci sono due problemi da risolvere ancora: un'opinione pubblica non del tutto favorevole ed i veti avanzati da molte regioni circa la possibilità di ospitare impianti nucleari. Sul primo problema, Berlusconi, da esperto pubblicitario e capace anchor man, ha già la soluzione: "Abbiamo la necessità di convincere i cittadini delle zone dove verranno costruite le centrali che sono sicure. Pensiamo di fare una preparazione attraverso una collaborazione con la tv francese per intervistare i cittadini che vivono vicino alle centrali nucleari". Ed ha concluso: "Per convincere gli italiani che il nucleare è sicuro useremo la televisione".

Quindi, nei prossimi mesi, dovremo aspettarci un massiccio bombardamento mediatico fatto di spot e "pubblicità progresso", volto a fare un nuovo lavaggio del cervello agli italiani, fino a plagiarne il pensiero e renderli pro-nucleare. L'idea di mandare in onda degli spot televisivi di "informazione" è stata raccontata da Berlusconi stesso, al termine dell’incontro bilaterale di Parigi. Ancora una volta, sarà di sicuro una sola campana quella a invadere gli spazi dei teleschermi. Certo, non si chiamano operazioni di lavaggio del cervello; infatti, secondo il presidente del Consiglio, "abbiamo di fronte, in attesa che si aprano effettivamente i cantieri, un periodo di maturazione dell'opinione pubblica italiana".

Per quanto riguarda il veto delle Regioni, Berlusconi si dice pronto a "convincere tutti", anche se finora non è riuscito a convincere proprio i governatori delle regioni; la maggior parte si è opposta, e ben undici su venti si sono rivolti alla Corte Costituzionale. Sul fronte del “No” sono schierati diversi governatori di centrosinistra: Vendola in Puglia, Errani in Emilia Romagna, Rossi in Toscana, De Filippo in Basilicata. Ma anche dal centrodestra, Cappellacci in Sardegna, Iorio in Molise, Lombardo in Sicilia, Tondo in Friuli Venezia Giulia, non hanno mai mostrato disponibilità. Per quanto riguarda quei governatori più vicini al governo centrale, anche il neoeletto Zaia non ha mostrato grandi aperture, liquidando la possibilità di una centrale nucleare in Veneto con un "la vedo dura". Non aiuta neanche Formigoni, che non esita a raccontare che "in Lombardia il nucleare non serve perché la regione è autosufficiente sul piano energetico". Una posizione analoga a quella espressa in Lazio dalla Polverini. Per ora l'unico possibilista è stato il governatore del Piemonte, Cota.

 

 

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