di Sara Michelucci

Una Favola nera, una favola amara, una favola che di fiabesco ha ben poco e che riesce a catapultare lo spettatore in quell’America anni ’50 con le tendine rosa alle finestre, i giardini ben curati, ma tanti terribili segreti racchiusi tra le mura domestiche. Favola, c’era una volta una bambina, e dico c’era perché ora non c’è più è il lavoro teatrale che Filippo Timi sta portando in giro per l’Italia.

Vestito da donna incinta, picchiata dal marito, Timi interpreta in maniera meravigliosa Mrs. Fairytale, dando al personaggio uno spessore tale, dove l’umorismo e l’ironia fanno il paio con la drammaticità di una vita senza amore. Gonne ampie, capelli gonfi, tacchi altissimi, un barboncino imbalsamato, fanno di questa donna un’icona di conformismo e buonismo che ben presto lasceranno il posto ad altro.

Mrs. Fairytale e Mrs. Emerald (una brava Lucia Mascino) sono due vecchie amiche di infanzia, due impeccabili mogli, curate nell’aspetto come nell’arredo della casa. Ma entrambe hanno delle zone nere e un terribile segreto da nascondere. Le frasi, come i gesti, stabiliscono i pensieri, danno adito a ciò che le due donne vogliono dalle proprie vite.

“Ogni uomo è una trappola - dice Mrs. Fairytale - alcuni sono trappole taglienti, altri pozzi vuoti, altri meravigliosi come un veleno irresistibile, ma di base, l’uomo ha l’omicidio nel cuore…Vivo come in una farmacia, morirò pulita come una supposta scaduta. C’è qualcosa dentro di me che vive, s’inaugura e io mi sento come se non fossi stata invitata a questa festa”.

L’amica, Emerald, il cui marito ha una relazione omosessuale con il maestro di ballo, non è da meno e aggiunge: “Hai ragione, dobbiamo fare qualcosa, rischiamo di vivere una vita per la pietà di fare felice qualcuno che non siamo noi”. In questo dialogo è racchiusa gran parte dell’essenza dello spettacolo. Le vite vuote delle due donne, le loro frustrazioni affettive e sessuali si placheranno e troveranno finalmente soddisfazione nel rapporto che sapranno costruirsi, soprattutto dopo che a Mrs. Fairytale spunterà il pene. Dopo aver fatto fuori il marito manesco, scapperà con la sua amica, ma sarà rapita da un ufo e trasformata in una stella che chiede al pubblico di non dimenticarla mai.

Timi gioca con il sogno americano, in questo spettacolo di cui è autore, regista e interprete, svelando quelle storture che già tanti registri cinematografici avevano portato sugli schermi.
Viene in mente Velluto Blu di David Lynch, ma anche il più recente American Beauty di Sam Mendes, dove nell’apparenza di una casa perfetta e di una famiglia a modo, si cela la violenza e il tradimento.

Molto carina e azzeccata la scelta di inserire tra un cambio di scena e l’altro una pubblicità, proiettata sul sipario, degli anni Cinquanta, mettendo in essere un mix di citazioni e rimandi che danno il senso e l’idea di un’epoca che poi tanto lontana non è. I passettini, a cui Timi ci abitua durante lo spettacolo, ci conducono verso un vortice di follia e surrealismo che però ha i piedi ben piantati in quei cliché che hanno reso irrealizzabile il sogno americano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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