Gli Stati Uniti e il governo della Papua Nuova Guinea (PNG) hanno sottoscritto lunedì un accordo di cooperazione militare diretto contro la Cina. L’isola dell’Oceano Pacifico sud-occidentale aprirà in sostanza i propri porti e aeroporti ai militari americani, mentre in un prossimo futuro non è da escludere la creazione di una o più basi militari USA in pianta stabile. L’intesa sostituisce un vecchio “memorandum d’intesa” bilaterale e arriva in risposta a un’iniziativa molto simile che lo scorso anno aveva visto come protagonisti proprio la Cina e le vicine Isole Salomone.

L’approvazione della Inflation Reduction Act, un mega provvedimento da 400 miliardi di dollari da finanziare con debito pubblico, indica l’intenzione degli Stati Uniti di tornare agli aiuti di stato per le sue imprese e, in prospettiva, di riconvertire al protezionismo l’isteria mercatista vigente dal 1989.

La competizione con Cina, Europa e India, la riduzione della sua influenza sui mercati asiatici e africani, è ulteriormente aggravata dalla sempre maggiore influenza dei paesi BRICS, che insieme producono il 42% del PIL mondiale. Insieme a ciò, il ruolo delle diverse organizzazioni regionali come lo SCO, mettono gli USA di fronte all’evidenza di un declino prospettico difficile da fermare, a meno di non voler scatenare eventi planetari di spaventosa portata per favorire un generale reset del dominio statunitense sull’intero pianeta.

Dopo quasi un anno dall’inizio delle operazioni militari in Ucraina si è quasi perso il conto delle sanzioni imposte alla Russia da Stati Uniti e UE. Com’è ormai chiaro a chiunque, gli effetti dei provvedimenti stanno però pesando in grandissima parte su quegli stessi paesi che li hanno decisi. Le conseguenze negative continueranno poi a farsi sentire in futuro, soprattutto nell’ambito energetico, dove le politiche suicide di Bruxelles mettono a rischio la tenuta stessa del tessuto industriale europeo. L’economia russa ha invece mostrato una solidità per molti inaspettata, con gli scambi commerciali in larga misura tornati al periodo pre-bellico e gli introiti dell’export di gas e petrolio virtualmente immutati.

A meno di uno scostamento di bilancio consistente, che non sembra voler fare per non indispettire Bruxelles e i mercati, Giorgia Meloni non ha soldi per fare praticamente nulla nella prossima legge di bilancio. I dieci miliardi di tesoretto ereditati dal governo Draghi sono già impegnati per prorogare le misure contro il caro bollette e i rincari dei carburanti, per cui non ci sarà alcuno spazio per le misure spot della campagna elettorale, come una vera riforma delle pensioni o una vera flat tax. Sgombrato il campo dalla possibilità di interventi di ampio respiro, che del resto nessuno nella maggioranza avrebbe mai saputo come realizzare, quello che rimane è ciò che più caratterizza da sempre la politica economica della destra italiana: favori e mance agli evasori e alla criminalità più o meno organizzata.

La decisione della Russia di interrompere per tre giorni, dal 31 agosto al 2 settembre, le forniture di gas dal Nord Stream per esigenze di manutenzione, ha scoperchiato un vespaio. Dopo l’annuncio di Mosca, il prezzo del gas sul mercato europeo di riferimento all’ingrosso, il TTF di Amsterdam, è schizzato a oltre 262 euro al megawattora. Un prezzo che si abbatterà come un tornado sull’economia europea: visto che l’energia serve a produrre e trasportare qualsiasi cosa. L’Europa sa che non è in grado di riconvertire a breve-medio termine il suo sistema di fornitura energetica, a meno di non voler veder crescere la sua spesa ad un livello insostenibile e il gas USA e di altre fonti non riuscirà a soddisfare le richieste.


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