Il Bitcoin diventa grande e fa ancora più paura. Da Lunedi scorso è possibile scambiare contratti future legati alla regina delle criptovalute sul più importante mercato al mondo per i derivati, il Chicago Board Option Exchange. La stessa cosa si può fare anche sul Chicago Mercantile Exchange e a breve dovrebbe aggiungersi alla lista il giapponese Tokyo Financial Exchange.

 

 

In questo modo il Bitcoin esordisce sul palcoscenico della finanza ufficiale e diventa possibile speculare al rialzo o al ribasso sulle quotazioni della criptovaluta anche senza possederne. Esattamente come avviene ogni giorno con i derivati su oro, petrolio, valute tradizionali o altri beni.

 

La novità potrebbe contribuire a stabilizzare l’andamento del Bitcoin, che finora è stato dominato dalla volatilità più sfrenata. A inizio anno il cambio era a 966 dollari, mentre la settimana scorsa è arrivato a toccare quota 19mila, per un incremento superiore al 1.800%. Come rileva il professor Giovanni Ferri su Firstonline, in precedenza “il rendimento rispetto al 31 dicembre dell’anno precedente era stato del 189,1% nel 2012, del 5.428,7% nel 2013, del -56,1% nel 2014, del 34,2% nel 2015 e del 124,3% nel 2016 e del 1.033,1%”. Calcolatrice alla mano, un dollaro investito in Bitcoin il 31 dicembre 2011 varrebbe oggi 2.391 dollari.

 

D’altra parte, il via libera alla speculazione finanziaria tradizionale comporta anche che gli operatori potranno vendere allo scoperto il Bitcoin, cioè scommettere che in futuro il suo valore scenderà. E visti gli andamenti degli ultimi anni sarebbe perfino una scelta comprensibile, dal momento che non esiste un bene il cui valore possa crescere in modo indefinito e ogni bolla è destinata prima o poi a scoppiare.

 

Ma è proprio questo il punto: che tipo di bene è il Bitcoin? Come ogni criptovaluta, esiste solo sul computer ed è indipendente da Banche centrali e Stati. Per questa caratteristica la moneta virtuale viene spesso celebrata come uno strumento finanziario svincolato dai grandi poteri, ma si tratta di una lettura parziale e per certi versi ingenua.

 

I Bitcoin in circolazione valgono due volte Goldman Sachs e per acquistarne bisogna iscriversi alle piattaforme o alle Borse dedicate. Si conservano in wallet digitali e per spenderli occorre convertirli in valute tradizionali o rivolgersi ai negozi che li accettano.

 

La maggior parte delle persone li acquista come beni d’investimento, ma non sono solo i rendimenti a far gola. In generale, le criptovalute hanno successo perché permettono di rimanere anonimi: le transazioni non sono tracciate, per questo il Bitcoin è stato spesso usato nel deep web come di forma di pagamento in operazioni segrete o criminali.

 

Malgrado la crescita tumultuosa, questo settore è ancora molto rischioso ed espone anche gli investitori più qualificati a truffe e a furti informatici. Non ci sono controlli, né tutele, né garanzie. Anche i più entusiasti sostenitori del Bitcoin ammettono che non bisognerebbe mai investirci più di quanto si sia disposti a perdere.

 

Non a caso, attraverso la Fia (Futures Industry Association), le banche più importanti di Wall Street hanno pubblicato una nota per mettere in guardia contro i rischi presentati dall’avvio degli scambi sui future: “Non siamo in grado di gestire in materia trasparente l’ingresso del Bitcoin in un listino regolato”, scrivono.

 

La commissaria alla Concorrenza dell’Unione europea, Margrethe Vestager, non ha nascosto la sua preoccupazione: “Vogliamo essere pronti ad eventuali criticità e problematiche che potrebbero insorgere” . Il timore principale è che il mercato diventi illiquido, ossia che i Bitcoin in circolazione non bastino a garantire gli scambi, soprattutto nel caso i prezzi crollino.

 

La verità è che avere certezze in questo settore è praticamente impossibile. Anche se ormai i Bitcoin sono entrati nel club della finanza ufficiale, la loro vera natura è ancora avvolta dall’oscurità.

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