Quando lo scorso mese di settembre due installazioni petrolifere saudite vennero distrutte da un attacco missilistico, condotto molto probabilmente da una flotta di droni dei “ribelli” sciiti houthi yemeniti, il presidente russo Putin propose alla monarchia assoluta del Golfo Persico, in tono semi-serio, di acquistare da Mosca il sofisticato sistema difensivo anti-aereo S-400. L’offerta era stata giudicata come un affronto agli Stati Uniti e alla partnership strategica ultra-consolidata tra Washington e Riyadh. Più di un commentatore ne aveva però evidenziato la fattibilità e, infatti, l’ipotesi è riemersa in maniera più o meno esplicita questa settimana nel corso della visita del numero uno del Cremlino in Arabia Saudita in un clima decisamente positivo e promettente per il futuro dei rapporti tra i due paesi.

Mentre la Casa Bianca si appresta ad applicare sanzioni sostanzialmente inutili contro la Turchia, i piani di guerra di Erdogan continuano per il momento a essere attuati nel nord-est della Siria in uno scenario però in piena evoluzione. Il nuovo conflitto sul fronte siriano sta in particolare spingendo sempre più ai margini delle vicende mediorientali gli Stati Uniti e rafforzando in maniera considerevole la posizione di Mosca. Se e quando il cerchio dovesse chiudersi, Ankara e Damasco finiranno in larga misura per vedere soddisfatti i propri interessi, lasciando Washington in una situazione nuovamente precaria e i curdi siriani a raccogliere i cocci di una strategia andata in frantumi a causa delle scelte dei propri leader ancor prima del più che prevedibile tradimento americano.

Quito. Per alcuni giorni l'Ecuador ha vissuto una delle peggiori crisi politiche e istituzionali della sua storia. Diversi analisti concordano sul fatto che ciò era dovuto all'imposizione di un pacchetto dopo l'accordo con il FMI, ma che il fattore scatenante sia stato un aumento del 123% dei tassi di carburanti. Le proteste hanno significato dolore per 7 famiglie che hanno perso i loro cari, per oltre 1.000 detenuti (molti di loro saranno perseguiti penalmente), oltre 800 feriti e un centinaio di persone scomparse. Inoltre, ci sono diversi leader della rivoluzione dei cittadini (RC) incarcerati, perseguitati, in esilio e altri con sentenze dall'ufficio del Controllore o del Procuratore.

Quito. Dopo otto giorni di sciopero nazionale, causati da decisioni economiche sbagliate e dallo stato d’assedio, decretato dal governo, l’Ecuador continua a sperimentare uno stato di shock interno e una mobilitazione sociale diffusa, purtroppo repressa con violenza selvaggia da polizia e militari. Per circa otto mesi di propaganda mediatica settimanale, il vicepresidente dell'Ecuador, Otto Sonnenholzner, ha ingannato il paese parlando del "grande accordo nazionale", che in realtà non era altro che un accordo con il FMI, con uomini d'affari e con grandi social media.

Un accordo totalmente incostituzionale poiché ciò che si cercava davvero era di liberare i prezzi del carburante; non a beneficio dello Stato ecuadoriano, ma per consentire alle grandi multinazionali estrattive di rilevare la nuova raffineria da 200.000 barili di petrolio giornalieri e la concessione della raffineria di Esmeraldas, da 110.000 barili al giorno, che sarebbero state assegnate alle multinazionali a prezzi liberati a loro esclusivo vantaggio. Va notato che il FMI è un facilitatore per gli affari delle grandi società transnazionali, creando le condizioni appropriate affinché i paesi consegnino le attività statali. L'obiettivo di questo pacchetto altro non era che l'appropriazione da parte delle multinazionali delle raffinerie del Paese.

L'Ecuador è stato vittima di un'aggressione permanente da parte di un governo traditore, resa ancor più evidente con la fuga del presidente Moreno, che ha lasciato il palazzo del governo a Quito per rifugiarsi a Guayas, dai suoi complici social-cristiani. Nelle misure economiche decretate il primo ottobre, che vìolano gravemente la maggioranza delle persone e danneggiano l'economia delle classi più svantaggiate del Paese, c’è anche l'annuncio della riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici, attraverso misure come rinnovo di contratti occasionali con una retribuzione inferiore del 20%, il contributo di un giorno di stipendio al mese e la diminuzione di 15 giorni di ferie all'anno.

Questo colpo di stato selvaggio del governo contro l'economia del paese, è però riuscito a risvegliare il popolo ecuadoriano, che ha finalmente reagito, nonostante le notizie distorte dei social media, la loro palese difesa degli indifendibili, il loro impegno della politica del governo neoliberista.

Oggi, Quito si è svegliata con la notizia di una massiccia concentrazione del movimento indigeno, operaio e sindacale nella Casa della cultura ecuadoriana, dove i manifestanti hanno tenuto un'assemblea popolare per chiedere al governo di abrogare le misure economiche antipopolari o le sue dimissioni ed hanno, inoltre, deciso di sorvegliare i loro compagni uccisi mercoledì dalla brutale repressione della polizia.

Mentre migliaia di persone stavano manifestando nell'Agorà della Casa della Cultura, il Segretariato della Comunicazione - SECOM proibiva categoricamente a tutti i social media, la diffusione di questa notizia ai cittadini; e i media, se per alcuni istanti lo hanno fatto, lo hanno completamente distorto.

Oggi si è appreso che anche i cittadini ecuadoriani residenti a New York si sono uniti alle marce per chiedere la sospensione dello stato di emergenza dichiarato dal presidente Lenin Moreno. Gli attivisti hanno preso d'assalto l'ufficio del rappresentante speciale del Fondo monetario internazionale presso le Nazioni Unite e poi hanno marciato verso il consolato ecuadoriano.

La Confederazione delle nazionalità indigene dell'Ecuador (CONAIE), rileva che coloro che attualmente sostengono il governo sono "la classe economica vende patria e pro imperialista, che vuole ottenere prestiti dal Fondo monetario internazionale (FMI) in modo che i suoi debiti e le sue crisi, li paghino la classe operaia, gli indigeni e i settori popolari. La CONAIE, dopo aver denunciato la forte repressione alle proteste contro il "pacchetto", che ha lasciato diversi morti, feriti, prigionieri e scomparsi, ha invitato le forze armate e la polizia a ritirare il loro sostegno al presidente Lenin Moreno, sottolineando anche che non ci saranno negoziati con il governo fino a quando non saranno abrogate le misure che hanno scatenato le proteste. La lotta coraggiosa, perseverante e dignitosa del popolo ecuadoriano, e delle comunità indigene in particolare, merita profondo rispetto e ammirazione, costituendo un esempio inestimabile per le generazioni future che vogliano realizzare i loro sogni di libertà e sovranità.

Il fiume di indigeni che invade Quito, proietta sulla scena internazionale un film da non perdere. Protagonisti, coloro i quali vengono immaginati sempre e solo come braccia povere destinate a produrre altrui ricchezze. Stavolta però il film si fa documentario e racconta una storia diversa, quella di chi non accetta di vedersi ridurre lo spazio di sopravvivenza per favorire un ulteriore salto dei profitti privati. E non pensa nemmeno di dover ridurre le sue possibilità per aumentare le royalties delle imprese estrattive statunitensi che, dall’arrivo a Quito di Lenin Moreno, hanno ricominciato a considerare l’Ecuador come un protettorato energetico di Washington.

Il traditore Moreno è accucciato sugli stivali dei militari. Coraggioso nel tradire il mandato ottenuto e i voti ricevuti, ardito nel piegare ai suoi interessi la magistratura e le forze armate, spregiudicato nel proporre una serie di misure con lo scopo di riaprire ed estendere la breccia tra le classi, si dimostra piuttosto codardo nell’affrontare le vittime delle sue prepotenze politiche.


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