di Cinzia Frassi


Kabul, ancora Kabul. Erano le 5.30 ieri ora italiana quando nel distretto di Chahar Asyab, nei pressi di Kabul, una esplosione ha provocato la morte del militare italiano Giorgio Langella, giovanissimo, di Imperia, e causato cinque feriti, di cui due gravi, ma fuori pericolo di vita. Tra i feriti una donna soldato, Pamela Rendina. E' rimasto ucciso anche un bambino afgano. E' atteso per oggi il rientro in Italia della salma del soldato italiano, nella sola giornata di ieri sono rimasti feriti anche tre alpini.
Il portavoce della Difesa ha comunicato che "i soldati viaggiavano in un convoglio a circa 10 chilometri a sud della capitale afghana quando è esploso un ordigno improvvisato, probabilmente azionato da un comando a distanza".
Quanto accaduto fa salire a 7 il bilancio degli italiani uccisi in Afghanistan, tre per attentati e i rimanenti a causa di incidenti. Dall'inizio dell'anno i militari stranieri caduti, per attentati o incidenti, salgono a 140.

di mazzetta

Musharraf e Bush all'assemblea delle Nazioni Unite Il generale Pervez Musharraf approfitta del palcoscenico offerto dall'Assemblea delle Nazioni Unite e, in una intervista a una rete televisiva americana, ha detto, come niente fosse, di essersi alleato con gli USA, all'indomani dell'undici settembre, dopo che il Segretario di Stato americano lo aveva pesantemente minacciato.
Richard Armitage avrebbe fatto pervenire al dittatore pachistano una messaggio nel quale minacciava semplicemente di "bombardare il Pakistan e di riportarlo all'Età della Pietra". Alcuni commentatori ritengono che questa dichiarazione, in teoria esplosiva, sia stata rilasciata con un occhio alla contestazione interna; Musharraf ha infatti detto che in quell'occasione prese le sue decisioni "nell'interesse della nazione", che evidente non aspirava ad essere riportata all'età della pietra. Altri commentatori hanno avanzato invece l'ipotesi che la dichiarazione serva a pubblicizzare la sua autobiografia, prossimamente in uscita nelle librerie americane.

di Bianca Cerri

Gli agenti CIA in forza all'antiterrorismo ormai non ne possono più della tortura: non tanto per la sofferenza che comporta, bensì per le eventuali denunce che possono derivare dall'aver violato le leggi internazionali sui diritti umani. Sottoporre prigionieri ed individui sospetti a maltrattamenti e coercizioni fisiche indegne di un paese civile, può significare dover sborsare miliardi di risarcimento. Da quando è stato approvato il Federal Tort Claim Acts, il Dipartimento di Giustizia USA non è più tenuto a rispondere del comportamento dei singoli agenti. Come dipendenti statali, la legge americana riconosce loro il diritto di usare i metodi che ritengono più opportuni nell'esercizio delle funzioni lavorative, purché questi siano "in sintonia con gli obiettivi del governo"; ma se un petulante di avvocato tira fuori le solite storie delle false confessioni estorte con la tortura, devono risponderne di persona.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Questa è una cronaca che getta luce fredda su una serie di "fatti" che si registrano nella capitale russa. E' una sorta di copione che va letto così come è: il cronista che lo descrive si attiene alle regole più elementari prendendo spunto dalla famosa regola del "Who? What? Where? When? How?". Parte dal "dove" e dal "quando", passa al "chi" e al "come" per arrivare al "perchè".
E così l'incipit è necessariamente diretto, asciutto. Con i fatti prima dei commenti. Il teatro della vicenda è Mosca con circa 10milioni di abitanti. Nodo di comunicazioni aeree e ferroviarie vitali per l'intera Russia; un porto fluviale che la collega a cinque mari; una metropolitana con oltre cento stazioni; un centro storico ricco di monumenti e di musei. L'intera realtà sociale ed urbanistica è, ovviamente, complicata e difficile da amministrare. Perchè anche qui sono esplosi, nel giro di alcuni decenni, i problemi tipici delle metropoli. Ma è a partire dal 1992 che la città si trova a vivere una nuova e sconvolgente rivoluzione.

di Luca Mazzucato

Sono tempi duri per il bilancio del Ministero della Difesa israeliano, a poche settimane dalla fine della guerra in Libano. Negli ultimi tre giorni prima del cessate il fuoco, Israele ha sganciato sul Libano del sud una quantità impressionante di bombe a grappolo. Ufficiali dell'Onu hanno denunciato la presenza di circa 350.000 bombe a grappolo inesplose, che giorno dopo giorno continuano a mietere vittime tra i profughi, che fanno ritorno tra le macerie dei villaggi a sud del fiume Litani. Il risultato di questo massiccio bombardamento è stato la trasformazione di tutta questa zona in un immenso campo minato, per la cui bonifica le truppe UNIFIL stimano un lavoro di almeno trenta mesi. Finita la guerra, il governo israeliano deve metter mano al bilancio per ripristinare l'arsenale bellico che ormai langue e, forse per un fortuita coincidenza, mercoledì le truppe di occupazione in West Bank hanno messo a segno una serie di operazioni che sarebbe difficile definire diversamente da "rapine a mano armata".


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