La decisione di ripresentare Joe Biden come candidato alle presidenziali del prossimo anno potrebbe costare molto cara al Partito Democratico americano. Anche se il probabile sfidante per la Casa Bianca sarà un Donald Trump che, denunce di brogli a parte, era risultato uno dei più impopolari presidenti uscenti alla fine del suo mandato, le prospettive per l’ultra-ottuagenario Biden e il suo partito tra dodici mesi appaiono decisamente cupe. I segnali d’allarme tra i vertici democratici si stanno moltiplicando, soprattutto alla luce della disastrosa gestione delle crisi in Ucraina e in Medio Oriente. Due recentissimi autorevoli sondaggi di opinione hanno poi aggravato la situazione per il presidente, dato in affanno in quasi tutti gli stati americani tradizionalmente decisivi per gli equilibri elettorali.

 

La prima indagine è stata commissionata dal New York Times al Siena College e fa emergere impietosamente tutte le vulnerabilità di Biden in vista del voto del novembre 2024. Età, condizioni mentali e andamento dell’economia giocano a sfavore dell’attuale inquilino della Casa Bianca e se i primi due fattori sono irreversibili per ovvie ragioni, nemmeno le previsioni per il terzo appaiono incoraggianti.

In cinque dei sei cosiddetti “swing states” o stati in bilico tra democratici e repubblicani, Biden è oggi in svantaggio in un ipotetico faccia a faccia con Trump. In Nevada, per New York Times e Siena College, Trump è avanti di ben 11 punti percentuali, in Georgia di 6, in Arizona e Michigan di 5, in Pennsylvania di 4. Solo in Wisconsin Biden è davanti a Trump, ma del 2%, cioè un vantaggio compreso nel margine di errore del sondaggio. Tutti e sei gli stati se li era aggiudicati Biden nel 2020 ed erano stati evidentemente decisivi per la vittoria.

Un sondaggio simile lo ha pubblicato domenica anche CBS News sui dati dell’istituto YouGov. Su base nazionale, Trump conduce nelle preferenze per 51% a 48%. Nel voto popolare, peraltro non determinante per il sistema elettorale USA, tre anni fa Biden aveva ottenuto il 51% contro il 47% dell’allora presidente uscente.

L’età di Biden, come già anticipato, rimane la preoccupazione principale per gli elettori. Complessivamente, nei sei stati chiave il 71% degli interpellati dal sondaggio del Times la pensa in questo modo, ma anche per oltre la metà dei potenziali elettori del Partito Democratico Biden è troppo vecchio per un secondo mandato alla Casa Bianca. Già oggi, a 80 anni Biden è il più anziano presidente della storia americana e, nel gennaio 2029, alla fine di un ipotetico secondo mandato, ne avrebbe 86.


Al di là dell’età anagrafica, serissimi dubbi continuano a suscitare i ripetuti episodi di confusione mentale evidenziati pubblicamente da Biden. A questo proposito, solo il 36% degli intervistati ritiene il presidente democratico mentalmente idoneo per ricoprire il suo incarico. Questo giudizio su Trump è condiviso invece dal 54% del campione, anche se il favorito del Partito Repubblicano ha solo tre anni in meno di Biden. Il 39% crede invece che Trump sia troppo vecchio per diventare presidente.

Un altro problema per i democratici è che gli elettori individuano l’economia come la questione più importante per la campagna elettorale del 2024 e la situazione su questo fronte è preoccupante. Infatti, nel sondaggio CBS/YouGov solo il 18% prevede un miglioramento economico in caso di un secondo mandato di Biden e il 48% un peggioramento, contro, rispettivamente, il 45% e il 32% se il prossimo presidente dovesse essere Trump. Significativamente, tuttavia, la maggioranza (51%) ha affermato di credere che entrambi i candidati attueranno politiche che favoriranno comunque gli americani più ricchi rispetto a lavoratori e classe media.

Le previsioni per il futuro dei potenziali elettori sono coerenti con i giudizi sui primi tre anni della presidenza Biden. Sempre nei sei stati più equilibrati presi in considerazioni da New York Times e Siena College, appena il 23% degli interpellati crede che gli Stati Uniti siano incamminati “nella giusta direzione”. Anche tra i sostenitori del presidente in carica, ha risposto positivamente solo il 43% a questa domanda, mentre negativamente il 42%.

Ancora, il 53% ha affermato di essere stato “penalizzato personalmente” dalle politiche economiche di Biden, mentre il 36% ne ha tratto benefici. Praticamente opposti sono i numeri relativi a Trump. Il 51% ha detto di avere avuto giovamento dalle iniziative attuate durante la presidenza Trump e il 36% di essere stato danneggiato economicamente.

Visto il quadro internazionale, la politica estera giocherà un ruolo importante nelle elezioni del prossimo anno e, come per gli argomenti già citati, anche questo non sembra poter aiutare Biden. Il 47% del campione pensa che Trump porterebbe maggiore stabilità nel pianeta, contro il 31% per Biden. Al contrario, il 49% si aspetta un aumento delle probabilità che gli Stati Uniti partecipino a una nuova guerra con Biden alla presidenza rispetto al 39% se Trump tornasse alla Casa Bianca.

La debolezza della candidatura di Joe Biden è evidente infine se si analizzano le intenzioni di voto di due gruppi elettorali solitamente orientati verso il Partito Democratico: giovani e ispanici. Gli americani sotto i 30 anni preferiscono Biden a Trump, ma il margine – 50% a 44% – è inferiore rispetto ai risultati del 2020 e, soprattutto, non sarà sufficiente a compensare i dati negativi negli altri gruppi anagrafici. Il sondaggio di New York Times e Siena College evidenzia come sia lo stesso Biden a rappresentare un problema, poiché il 58% degli elettori più giovani si è dichiarato disposto a votare per il Partito Democratico se ci sarà un candidato diverso da Biden, anche senza indicarne il nome, contro il 34% se il presidente in carica si ripresenterà.

I rischi nel ricandidare Biden sono con ogni probabilità oggetto di discussione e divisioni all’interno del Partito Democratico. Voci che chiedono un passo indietro del presidente circolano da tempo e finiranno per moltiplicarsi in seguito ai recenti sondaggi, nonché alle ripercussioni negative della gestione delle guerre in Ucraina e a Gaza. Uno degli esempi più recenti del dissenso tra i democratici è quello dell’ex consigliere di Obama e uno degli architetti della vittoria del 2008, David Axelrod. Quest’ultimo, in un post su X (ex Twitter), ha citato i sondaggi di New York Times e CBS per esprimere tutte le proprie perplessità circa la candidatura di Biden, sia pure in maniera relativamente cauta.

Il problema per il Partito Democratico è che, a meno di tre mesi dall’inizio delle primarie, non sembrano esserci personalità alternative di spicco con le caratteristiche gradite all’establishment. In parallelo al tentativo di tenere in piedi la candidatura di Biden, salvo sorprese, i leader democratici punteranno a screditare Trump sia attraverso campagne mediatiche sia favorendo le varie cause legali che vedono coinvolto l’ex presidente.

Proprio lunedì, Trump ha testimoniato per la prima volta nel processo a New York per frode fiscale, nel quale è alla sbarra con l’accusa di avere gonfiato il valore delle sue proprietà al fine di ottenere finanziamenti bancari più vantaggiosi. Altre cause procederanno assieme allo svolgersi del calendario delle primarie e durante la campagna elettorale per la Casa Bianca, tra cui quelle che riguardano l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, il tentativo di ribaltare l’esito delle elezioni del 2020 nello stato della Georgia e il pagamento di 130 mila dollari alla pornostar Stromy Daniels per ottenere il suo silenzio su una relazione extraconiugale che avrebbe intrattenuto con l’ex presidente.

Non c’è dubbio che alcuni di questi procedimenti abbiano implicazioni di natura politica, nonostante i precedenti non esattamente immacolati di Trump. La linea d’attacco sul fronte giudiziario rischia però di trasformarsi in un boomerang per i democratici, visto che Trump continua a sfruttare – con un certo successo – i suoi guai legali per promuovere la propria immagine di candidato anti-sistema perseguitato dal “deep state” americano.

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