Il primo appuntamento in calendario per le primarie del Partito Repubblicano americano si è tenuto lunedì sera in Iowa e ha registrato come previsto la nettissima vittoria di Donald Trump. L’ex presidente si prende quindi subito il ruolo di favorito nella corsa alla nomination, mentre i suoi più immediati rivali sembrano ritrovarsi precocemente con pochissime prospettive di successo. Dopo i tradizionali “caucus” che aprono la competizione interna a entrambi i principali partiti negli Stati Uniti, la sfida si sposterà tra una settimana nel New Hampshire, dove i sondaggi danno ancora Trump in vantaggio. Un eventuale bis nello stato nord-orientale darebbe già una direzione molto netta alle primarie repubblicane, lasciando probabilmente come unico ostacolo verso la nomination le svariate cause legali che vedono coinvolto l’ex presidente repubblicano.

 

L’importanza dell’Iowa appariva anche maggiore in questa tornata. Trump intendeva vendicare la sconfitta incassata qui da Ted Cruz nel 2016 e dimostrare il proprio dominio dentro al partito nonostante quasi tutti i leader repubblicani dello stato avessero dato il loro appoggio ufficiale ad altri candidati. Il governatore della Florida, Ron DeSantis, aveva ad esempio il sostegno della governatrice, Kim Reynolds, e di oltre un terzo dei deputati repubblicani dell’assemblea legislativa statale.

Trump ha alla fine ottenuto circa il 51% dei consensi, lasciando a DeSantis il 21% e il 19% all’ex governatrice della South Carolina ed ex ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Nikki Haley. Se per DeSantis la sconfitta rischia di essere fatale, la Haley ha visto nel terzo posto qualche spiraglio di speranza. Il governatore della Florida aveva infatti investito parecchio in Iowa, ma si è scontrato contro un muro e la situazione appare ora senza prospettive incoraggianti, visto che la sua base elettorale teorica è la stessa che forma la parte più consistente di quella di Trump.

Nikki Haley è invece la personificazione del politico repubblicano “neo-con” con inclinazioni da “falco” sui temi della politica estera. La sua campagna punta perciò a raccogliere i consensi dei repubblicani sospettosi di Trump e lontani per orientamento ideologico e posizione sociale dalla galassia “MAGA” che caratterizza la destra populista americana. L’ex governatrice, proprio per queste ragioni, partiva inoltre in netto svantaggio in Iowa, dove tra l’elettorato repubblicano prevale appunto l’elemento populista, ultra-nazionalista ed evangelico.

È chiaro in ogni caso che, per restare in corsa, la Haley confida in un’affermazione nel New Hampshire, anche se, salvo sorprese nelle primarie e “caucus” successivi, l’obiettivo massimo dovrebbe essere per lei il consolidamento del secondo posto, utile a promuovere una candidatura alla vice-presidenza. Tutti gli altri aspiranti alla nomination repubblicana hanno invece fatto segnare numeri trascurabili in Iowa, dove le loro già esigue speranze si sono di fatto azzerate.

Uno di loro, il 38enne imprenditore di origine indiana, Vivek Ramaswamy, già lunedì ha deciso di interrompere la sua campagna e di appoggiare quella di Trump. Ramaswamy ha chiuso al quarto posto in Iowa ed era stato tra i pochissimi candidati repubblicani a dichiararsi contrario alla fornitura di armi e denaro al regime ucraino, mentre su altri temi si era mostrato invece coerente con la deriva verso l’estrema destra di tutto il Partito Repubblicano.

La rilevanza democratica della consultazione di lunedì è stata prevedibilmente modesta. La formula dei “caucus” esclude di per sé un’ampia partecipazione popolare e, infatti, complici anche le temperature rigide, ai seggi si sono presentati solo 110 mila elettori, su una popolazione dello stato superiore ai tre milioni di abitanti. Nel 2016 l’affluenza aveva toccato quota 180 mila.

I grandi network e le principali testate americane hanno inoltre contribuito a rendere poco più di una farsa l’appuntamento elettorale. La Associated Press ha dichiarato Trump vincitore dei “caucus” appena 33 minuti dopo l’orario di chiusura dei seggi. Poco dopo hanno fatto la stessa cosa CNN, ABC, CNN e altre, anche se in quel momento molti elettori si trovavano ancora ai seggi per esprimere la loro preferenza. Lo staff di DeSantis, così come svariati giornalisti americani, ha criticato duramente questa pratica, peraltro diventata da tempo una consuetudine al termine delle principali elezioni negli Stati Uniti.

Alcuni commenti sui giornali americani hanno espresso stupore per il fatto che tre anni dopo il fallito assalto al Congresso per fermare la certificazione della vittoria di Joe Biden, Trump sia ancora la figura più influente nel Partito Repubblicano e abbia iniziato la stagione delle primarie da super-favorito. A ciò andrebbe aggiunto che nel frattempo le inclinazioni autoritarie di Trump non si sono attenuate. Le maggiori responsabilità del ritorno da protagonista dell’ex presidente sono tuttavia proprio dell’attuale amministrazione e del Partito Democratico, che hanno puntualmente disatteso la richiesta di cambiamento uscita dalle urne nel voto del 2020, mentre non si sono mai adoperati in maniera seria per individuare e spiegare le responsabilità nei fatti del 6 gennaio 2021.

L’appoggio all’Ucraina nella guerra contro la Russia e a Israele nel genocidio in corso a Gaza ha a sua volta fatto schizzare l’impopolarità di Biden e permesso a Trump di proporsi ancora una volta come il candidato anti-sistema in grado di rilanciare l’America della classe media, mettendo fine ai conflitti in cui gli Stati Uniti sono coinvolti. Al di là della retorica, Trump incarna e accelera la trasformazione del “GOP” in un soggetto politico dai connotati sempre più chiaramente fascistoidi, rilevabili in primo luogo nel tema della lotta radicale all’immigrazione che vede più o meno d’accordo tutte le anime del partito.

I pericoli di un secondo mandato di Trump sono facilmente immaginabili e visibili già in questa fase della campagna elettorale, con l’ex presidente che ha più volte fatto ricorso apertamente alla retorica hitleriana durante i suoi comizi. Tanto per ribadire le aspirazioni autoritarie di Trump, il figlio Donald jr. al termine dei “caucus” in Iowa ha invitato il partito a mettere fine alle primarie e a proclamare il padre vincitore, definendo ormai “privo di senso” un processo elettorale praticamente ancora tutto da svolgere.

Resta alla fine da verificare quali saranno gli sviluppi dei processi e delle cause legali che vedono coinvolto Trump. Finora la strategia di dichiararsi vittima di una persecuzione giudiziaria sta dando frutti con l’elettorato repubblicano e, comunque, i vari procedimenti non arriveranno al loro epilogo prima del voto di novembre. L’unica vicenda che potrebbe influire sulla campagna elettorale è il ricorso contro l’esclusione dalle schede elettorali per le primarie in Colorado e Maine a causa del ruolo svolto nella tentata rivolta di tre anni fa.

La Corte Suprema USA ha accettato di esaminare il caso e, se dovesse pronunciarsi contro l’ex presidente, altri stati potrebbero escluderlo dalla corsa alla nomination. La solida maggioranza conservatrice del più alto tribunale americano, dove ben tre giudici sono stati nominati dallo stesso Trump, rende però improbabile un esito simile e, in ogni caso, il vantaggio che potrebbe accumulare negli altri stati finirebbe probabilmente per neutralizzare qualsiasi conseguenza di un eventuale verdetto sfavorevole.

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