Per l’assalto alla sede del Congresso americano del 6 gennaio 2021 sono già state avviate più di 1.100 incriminazioni formali negli Stati Uniti ai danni di sostenitori di Donald Trump. Oltre 300 sono invece le sentenze di condanna emesse, ma la più pesante e significativa è stata quella di martedì contro l’ex leader della formazione paramilitare di estrema destra, Proud Boys, Henry “Enrique” Tarrio. Informatore dell’FBI e tra i registi – o presunto tale – del tentato golpe seguito alle presidenziali del 2020, Tarrio dovrà scontare 22 anni di carcere per il reato di “sedizione” nonostante non si trovasse fisicamente a Washington nel giorno dell’attacco a “Capitol Hill”.

 

Il giudice distrettuale Timothy Kelly, nominato da Trump, ha respinto la tesi della difesa che chiedeva di escludere l’aggravante terroristica in quanto Tarrio il 6 gennaio 2021 si trovava in una stanza d’albergo di Baltimora. Dopo essere stato arrestato due giorni prima dei fatti, quest’ultimo era sottoposto all’ordinanza di un tribunale che gli vietava di recarsi a Washington. Durante il processo sono stati però presentati numerosi messaggi e telefonate che Tarrio aveva scambiato immediatamente prima e durante l’assalto con svariati membri dei Proud Boys per preparare e dirigere il fallito golpe a favore di Trump.

Il procuratore Conor Mulroe ha spiegato che la milizia neo-fascista aveva l’incarico di sfondare i blocchi della polizia del Campidoglio e facilitare ai rivoltosi l’ingresso nell’edificio. Tarrio si era occupato anche di distribuire tra i partecipanti all’operazione copie del piano studiato per occupare il Congresso e fermare la cerimonia per la certificazione di Joe Biden a nuovo presidente degli Stati Uniti.

Sempre nel corso del dibattimento sono emersi altri particolari sui contatti di Enrique Tarrio con elementi delle forze di sicurezza USA. Di particolare rilievo fu il rapporto con l’ufficiale della Polizia di Washington, Shane Lamond. Lo scambio di messaggi tra i due risaliva almeno al 2019. Lamond si preoccupava tra l’altro di fornire a Tarrio informazioni sulle dimostrazioni del gruppo di protesta “Antifa”, contro cui i Proud Boys organizzavano regolarmente attacchi e imboscate.

In maniera cruciale, il processo ha rivelato come, nel dicembre del 2020, dopo una manifestazione contro il “furto” delle elezioni presidenziali del mese precedente, Tarrio avesse inviato un messaggio a Lamond di fatto per chiedere il suo stesso arresto, ammettendo di avere bruciato una bandiera del movimento “Black Lives Matter”. I legali di Tarrio e Lamond avrebbero poi manovrato per ottenere un mandato d’arresto esattamente due giorni prima dell’attacco a “Capitol Hill”, così da fornire al numero uno dei Proud Boys un alibi di ferro per quanto sarebbe accaduto il 6 gennaio.

Tarrio era stato alla fine arrestato per i fatti di Washington nel febbraio del 2022 e la sentenza di condanna è arrivata nel maggio scorso. Martedì il giudice Kelly ha deliberato la pena di 22 anni, mentre i procuratori federali ne avevano chiesti 33. La gravità della punizione inflitta a Enrique Tarrio fa passare in secondo piano un clamoroso aspetto della sua vicenda giudiziaria. Ovvero, come già ricordato all’inizio, la sua collaborazione molto stretta con organi del governo americano.

A fine gennaio 2021, la Reuters aveva rivelato che Tarrio era diventato un informatore “prolifico” dell’FBI e degli organi di polizia locale dopo un arresto avvenuto nel 2012. Un altro esponente di vertice dei Proud Boys, Joe Biggs, aveva a sua volta lavorato sotto copertura per l’FBI, addirittura pochi mesi prima dell’assalto al Congresso. Biggs è stato condannato proprio settimana scorsa a 17 anni di carcere ed era stato avvicinato nell’estate del 2020 da un agente federale che chiedeva informazioni sulle attività dei gruppi “Antifa” nello stato della Florida.

Questi e altri casi emersi negli ultimi due anni e mezzo testimoniano di come la galassia dell’estrema destra americana, schierata in buona parte a fianco di Donald Trump nel tentativo di impedire l’insediamento di Biden alla Casa Bianca, fosse pesantemente infiltrata dall’FBI e da altri organi della sicurezza dello stato. Alla luce di ciò, risulta molto difficile credere che i controllori di questo esercito di informatori fossero all’oscuro di quanto si stava preparando alla vigilia del 6 gennaio 2021.

Oltretutto, l’intelligence USA era in possesso di intercettazioni di comunicazioni tra gli organizzatori dell’assalto e post sui social network che lasciavano pochi dubbi circa le loro intenzioni. Nonostante ciò, né l’FBI né altri organi di polizia avevano ritenuto di emettere comunicati di emergenza per mobilitare maggiori forze a difesa del Congresso. I vertici stessi dell’FBI avrebbero anzi negato le notizie relative agli informatori nei gruppi di estrema destra, come fece il direttore dell’FBI, Christopher Wray, in un’udienza al Congresso. L’ex vice-direttore dell’anti-terrorismo all’FBI, Jill Sanborn, aveva invece assurdamente affermato che agli agenti del “Bureau” era vietato monitorare i messaggi sui social network di membri di organizzazioni come i Proud Boys.

Mentre Enrique Tarrio soggiornerà a lungo in un carcere federale, salvo possibile provvedimento di grazia di un Trump nuovamente alla Casa Bianca di qui a sedici mesi, il silenzio continua a regnare per quanto riguarda i complici del tentato golpe nella cerchia dell’ex presidente, nel Partito Repubblicano e nelle stesse strutture del governo USA. Se Trump è invischiato nella rete della giustizia per i fatti del 6 gennaio 2021, lo è solo perché deve essere eliminato politicamente in vista di elezioni che lo vedono favorito tra i repubblicani e, probabilmente, contro lo stesso Biden.

Altri che lo avevano assistito nel tentativo di ribaltare il risultato del voto e nella pianificazione del golpe al Congresso restano invece indisturbati, come il braccio destro di Trump, Roger Stone, e il primo consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’ex presidente, colonnello Michael Flynn, entrambi con legami molto stretti ai Proud Boys. Nel Partito Repubblicano, inoltre, furono in molti ad appoggiare apertamente i piani di Trump e ancora di più quelli che al Congresso votarono contro la ratifica della vittoria di Joe Biden.

Ancora più eclatante è il disinteresse della politica, della giustizia e dei media ufficiali per le complicità nell’apparato militare e dell’intelligence, dimostrate da registrazioni, testimonianze e altre informazioni di pubblico dominio, in primo luogo riguardo il rifiuto del dipartimento della Difesa di sbloccare nel primo pomeriggio del 6 gennaio 2021 i rinforzi della Guardia Nazionale pronti a rispondere alle richieste di aiuto provenienti dal Campidoglio sotto assedio.

Questa mancanza di interesse non è da attribuire a negligenza o mancanza di prove, ma a una scelta ben precisa soprattutto da parte del Partito Democratico e dell’amministrazione Biden. La strategia è stata fin da subito quella di circoscrivere le responsabilità praticamente al solo ex presidente Trump, mentre le connivenze dentro l’FBI, l’apparato della sicurezza, la politica, la magistratura e i militari sono state insabbiate. Queste forze dovevano infatti uscire intatte dalla vicenda, sia perché fondamentali nella salvaguardia di un sistema di potere in fin dei conti debole e ultra-screditato sia per garantire un consenso bipartisan attorno alle vere priorità della classe dirigente americana, vale a dire l’offensiva contro la Russia tramite il conflitto ucraino e il tentativo di contenere militarmente ed economicamente la “minaccia” cinese.

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