di Giuseppe Zaccagni

L'attenzione delle cancellerie di tutto il mondo si concentrerà su Biskek, la capitale della Kirghisia (repubblica ex sovietica dell'Asia centrale) dove dal 15 al 16 agosto si svolgerà il vertice della Shangai Cooperation Organization (Sco), l'organizzazione intergovernativa formata nel 2001 da Russia, Cina, Kasachstan, Kirghisia, Tagikistan e Usbechistan. Sarà appunto in quest'occasione solenne che Putin scoprirà le sue carte sulla politica estera e al conseguente rapporto con gli Usa. Sarà, per il leader del Cremlino, l’ultima occasione per mettere le cose in chiaro prima d’incontrare Bush in Australia, a settembre. Il suo discorso potrebbe essere centrato sulla valorizzazione delle nazioni eurasiatiche, presentate come "un arco di stabilità nel mondo" e, di conseguenza, come contrappeso all'egemonismo statunitense, in quanto destinate a gettare le basi di un mondo multipolare. Biskek, quindi, come piattaforma di lancio di un nuovo equilibrio mondiale che dovrebbe vedere i paesi asiatici uniti, non solo per rafforzare la loro Alleanza, ma soprattutto per dare il via a una fase più avanzata di rapporti internazionali, politici ed economici. Rapporti che dovrebbero includere anche paesi come Iran, India e Afghanistan, che sino ad oggi si sono tenuti lontani dall'Organizzazione di Shangai. Il momento dell'unità eurasiatica arriva proprio in concomitanza con il processo di destabilizzazione che si sta registrando nel Pakistan di Musharraf che, da mesi, vive sul filo del rasoio, in un permanente stato di emergenza. E non è un caso se la diplomazia del Cremlino, proprio alla vigilia del vertice di Biskek, lancia pesanti accuse al regime di Islamabad, mettendo in rilievo che la stragrande maggioranza della popolazione musulmana dimostra sempre più di essere contraria alle sue posizioni filoamericane, facendo anche palesare che si sia prossimi alla cacciata del presidente.

Di conseguenza è chiaro che al vertice di Shangai la questione pakistana sarà uno dei temi di maggiore attenzione. Non si tratterà solo di esaminare gli scenari interni al paese, ma si cercherà anche e soprattutto di capire cosa potrà avvenire nell’intero scacchiere in caso d’intervento americano. Secondo i russi, infatti, gli americani starebbero preparando una aggressione nelle regioni pakistane del nord, giustificando l'intera operazione con la solita formula della lotta al terrorismo e della cattura di Bin Laden. In realtà Bush punta a controllare il Pakistan con le sue truppe per impedire che cadendo il potere di Musharraf i talebani riescano a impadronirsi del paese e delle sue armi atomiche.

Ovvia, di conseguenza, la preoccupazione politica e militare dei paesi della Shangai Cooperation Organization. Si discute già di una fase più avanzata che dovrebbe caratterizzare - con realistico senso politico - la vita futura dell’organizzazione. Si delinea già la costituzione di uno schieramento basato sulla "sicurezza collettiva". Una sorta di nuova alleanza che avrebbe come punto di forza un suo braccio militare che tra i vari obiettivi avrebbe anche quello di condurre una lotta senza quartiere contro i narcotrafficanti. Un problema, questo, che preoccupa in particolare paesi-chiave come Russia e Cina, che assistono impotenti all’escalation in Afghanistan e a una presenza di truppe americane che, in pratica, favorisce sviluppo del commercio di eroina. Russi e cinesi, inoltre, sono allarmati dal fatto che quella famosa "strada della Seta" (quella legata ai nomi di Marco Polo e Gengiz Khan) è divenuta un’autostrada della droga, che attraversa proprio i paesi che fanno parte dell’Alleanza di Shangai.

Altro punto di crisi riguarda il Giappone. Il governo giapponese sta modificando la Costituzione e, contemporaneamente, sta portando avanti un'escalation militare. Di conseguenza - dice a Mosca il presidente del Consiglio della Federazione russa, Serghiei Mironov - "è necessario che l’Organizzazione del trattato di Shangai estenda sempre più il suo ruolo di forza di pace nell’arena politica asiatica". L'obiettivo generale è quello di rafforzare la collaborazione anche economica. In tal senso si è già mossa la Cina che ha stanziato per le infrastrutture dell'Organizzazione oltre un miliardo di dollari.

Tutto questo non può che preoccupare gli Stati Uniti, che rischiano di perdere anche gli ultimi bastioni di "resistenza filoamericana" che hanno in Asia. Paesi come l'Iran e l'Afghanistan, infatti, mostrano sempre più interesse nei confronti dell'area politico-diplomatica che si riunisce ora a Biskek. C’è quindi da attendersi dal vertice dei prossimi giorni un risveglio di "antiamericanismo", sollecitato anche da una Cina profondamente offesa dalle idee americane di boicottaggio delle sue Olimpiadi.
Si annunciano, quindi, nuovi e interessanti sbocchi e nuove strategie d’attacco a livello asiatico per dimostrare agli americani che ulteriori tentativi d'includere i paesi dell'Asia Centrale nella loro orbita di influenza incontreranno una decisa ostilità. Allo stesso tempo, a Biskek dovrebbe essere ribadito che il concetto portante dell’Organizzazione è quello basato sulle linee della sicurezza comune, globale. Una sorta, quindi, di motore collettivo. Senza aderire a organizzazioni internazionali che manifestino ostilità nei confronti della sovranità, della sicurezza e dell’integrità territoriale dei paesi dell’Organizzazione.

Quanto ai risvolti economici, Biskek fornirà molte risposte a quei progetti che sono in programma in vari paesi dell'area. In particolare, nella sfera delle comunicazioni e dei trasporti si potrebbe avviare una collaborazione reciprocamente vantaggiosa, sviluppando quel corridoio settentrionale della ferrovia transasiatica, oppure cooperando nella distribuzione del petrolio e del gas naturale. Ecco perché sin da questo momento si può dire che i paesi asiatici - pur nelle differenze di sistemi politici ed economici - stanno alzando la testa mostrando agli americani che l'Asia non è un territorio a stelle e strisce.

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