di Maura Cossutta

E’ stata presentata al Parlamento la relazione sull’applicazione della legge 194. Un atto dovuto da parte del Ministro della salute, secondo la legge che prevede che ogni anno si affidi al Parlamento l’analisi dell’evoluzione del fenomeno abortivo nel nostro paese, effettuata dal sistema di sorveglianza gestito dall’Istituto superiore di Sanità e dal Ministero della salute, in collaborazione con l’Istat e con le Regioni. Un atto dovuto, ma che quest’anno non poteva che essere anche un atto politico. Il Ministro Livia Turco non ha deluso, anzi ha esplicitamente scritto che non intendeva rimuovere i punti caldi del dibattito e che non intendeva presentare una introduzione formale. L’obiettivo è stato raggiunto. Le sue conclusioni sono chiare e ferme: la legge non necessita di alcuna modifica, la legge è stata ed è non solo efficace, ma anche saggia e lungimirante. E’ la prima volta in tutti questi anni che un Ministro conclude così e questo deve pur significare qualcosa. Non serviva una semplice relazione; serviva apertamente schierarsi. Infatti le pressioni contro la legge sono state pesanti e si sono accentuate nel tempo. Ogni settimana il solito Volontè preparava interrogazioni, che puntualmente il “Movimento per la vita” e il più moderno (!) “Comitato Scienza” e vita diffondevano attraverso la loro potente rete di comunicazione, ben organizzata e altrettanto ben finanziata. Persino il dramma di quelle donne che decidevano di abortire, quando una diagnosi di malformazione del feto aveva già minato la loro salute psico fisica, veniva puntualmente dato in pasto alla propaganda pro- life. Invadenze dirette giungevano dal Vaticano e dalla Cei, per condizionare il testo della relazione, per trasformarla in un atto d’accusa della legge. Ora il Ministro si è espresso e le reazioni sono state immediate, virulente, all’attacco. Ma su che cosa?

I dati parlano chiaro: le interruzioni volontarie di gravidanza diminuiscono (130.033 nel 2006, con un decremento del 2.1% rispetto al 2005); la diminuzione più significativa tra le donne italiane è nascosta dall’aumento tra le donne straniere (una donna su tre che abortisce è straniera); l’aborto tra le donne italiane dal 1982 (anno in cui il picco è stato più alto) ad oggi si è ridotto addirittura del 60% (sono 94.095 nel 2005); l’aborto clandestino e la conseguente mortalità materna sono praticamente scomparsi; il dato degli aborti ripetuti è tra i più bassi a livello internazionale; gli aborti tra le 13 e le 20 settimane (che sono i cosiddetti aborti terapeutici) sono il 2.7% del totale mentre quelli dopo 21 settimane solo lo 0.7%. Si dimostra dunque che la legalizzazione dell’aborto non ne ha favorito la sua diffusione, ma al contrario la sua riduzione; la promozione della procreazione consapevole e quindi la diffusione e l’uso corretto degli anticoncezionali resta lo strumento principale della riduzione dell’aborto.

Sarebbe quindi normale riconoscere, con serietà e anche con qualche soddisfazione, che la legge 194 ha prodotto proprio i risultati che erano negli intenti dei legislatori: la riduzione continua e progressiva dell’incidenza del fenomeno abortivo, la cancellazione dell’aborto clandestino, la promozione di una sempre maggiore consapevolezza verso un procreazione responsabile per evitare che l’aborto sia il mezzo per il controllo delle nascite. Ma invece la reazione è durissima.

Dati, evidenze. Ma i nostri moralizzatori nostrani, si sa, non accettano altra verità che non sia quella assoluta, la Verità con la V maiuscola, quella che è solo di Dio e da Dio proviene. E perciò non ci stanno. E’ l’aborto in sé che non deve essere accettato, come l’anatema del Papa ogni domenica ricorda, e quindi è contro tutta la legge che bisogna schierarsi, perché “non è una legge per la vita”. L’attacco alla legge è totale, sebbene alcuni – quelli più avvezzi alla furbizia tattica del linguaggio - suggeriscono sia meglio dire che bisogna solo modificarla. Non sono più moderati, sono solo i più furbi e più ipocriti.

Chi sono? Sono i parlamentari dell’UDC che si mettono come al solito all’opera: presentano diverse proposte di legge, alla Camera e al Senato, che chiedono la presenza obbligatoria del partner quando la donna decide. Come a dire: finalmente la donna può essere tutelata dall’autorità maschile e per questo diventare “più responsabile”. Chiedono anche l’”assegno per non abortire”, mille euro da offrire alla donna per farle portare avanti la gravidanza. Intanto la Roccella (che i più hanno conosciuto solo in occasione della manifestazione del Family Day, quella contro i DICO, a favore delle famiglie “normali”) insiste e spara a zero contro la relazione. Scrive su Avvenire che l’unico modo di applicare la 194 è “aiutare un bambino a nascere”. Il leit motiv è sempre lo stesso: la donna è messa sotto tutela e diventa un contenitore di sacralità, che lo Stato (guidato dall’autorità morale cattolica) deve difendere.

E’ questo il punto vero di attacco contro la legge, che deve essere sottolineato con molta chiarezza. Si sta operando una gigantesca mistificazione, si mente sapendo di mentire. Infatti la legge 194, come è noto, “garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e riconosce il valore sociale della maternità”. E le politiche per la natalità, si sa, non solo sono necessarie, ma rappresentano davvero il cuore di una possibile rivoluzione sociale, capace di mettere al centro delle scelte economiche i diritti delle donne. E invece il nostro paese, anche questo è ben noto, è agli ultimi posti per investimenti sociali per servizi, asili, per i diritti delle donne lavoratrici, per le politiche abitative. Non regaliamo certo alla Chiesa la difesa del diritto di ogni donna a diventare madre (aggiungendo - magari - che questo dovrebbe valere sempre, sia per la procreazione naturale che per quella assistita), ma con l’aborto, che c’entra?

Le politiche di prevenzione dell’aborto non si identificano con le politiche per la natalità E natalità e abortività sono fenomeni tra loro disgiunti. Vi sono infatti paesi dove le politiche per la natalità sono sostenute, ma dove i tassi di abortività sono maggiori. E ancora: dove si è voluto imporre una modificazione della legislazione in termini di eliminazione della legalizzazione dell’aborto per favorire la natalità, non si è avuta alcuna modificazione della natalità (l’unico risultato è stato quello di far tornare ad aumentare la mortalità materna). Di cosa si sta quindi parlando? Si dice valore sociale della maternità, ma si intende controllo sociale sulle scelte delle donne.

Gli argomenti sono vecchi, terribilmente arcaici, sono quelli di sempre. Quelli che la Chiesa ha sempre usato contro le donne, contro la loro libertà nella sessualità, nella procreazione. Ma oggi vengono per così dire riabilitati dentro l’attualissima cornice che la politica ha accettato come bussola del suo agire: quella della tirannia etica, in nome dell’embrione (e quindi tanto più del feto), della “Difesa della Vita”. Troppo davvero è stato cancellato nel nostro paese e insopportabili sono le colpe di chi lo ha permesso. Silenzi, ritardi, ambiguità. Anche la legge 194, che sembrava patrimonio condiviso del livello di civiltà e del progresso della nostra società, è stata lasciata in balìa di egemonismi e di prove generali di nuovi schieramenti politici.

Oggi tutto è in salita. Difendere la laicità, riaffermare la titolarità femminile rispetto alla procreazione diventa un atto di coraggio politico. Ma si deve ripartire da qui: per ogni altra strada si schianta ogni idea di democrazia e di modernità. Il Partito Democratico è avvertito.

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