di Daniele John Angrisani

Dopo due turni elettorali di un certo peso per le primarie, in vista del Supermartedì, il 5 febbraio 2008 in cui si terranno le consultazioni in 22 Stati per i democratici ed in 20 per i repubblicani, l’unica cosa certa è che la campagna elettorale è più aperta che mai. Dopo la pesante vittoria di Barack Obama e Mike Huckabee in Iowa, tutto era pronto in New Hampshire per celebrare il nuovo trionfo di Obama, dato per certo da tutti i sondaggi della vigilia. Invece le lacrime in diretta televisiva della Clinton, che durante una conferenza stampa parlando delle difficoltà della campagna elettorale si è lasciata trascinare non poco dall'emozione, hanno aiutato a fare il miracolo: decine di migliaia di elettori democratici, in gran parte donne, si sono recati alle urne per votare a suo favore e la situazione si è radicalmente ribaltata. Alla fine la Clinton è riuscita a spuntarla su Obama con il 39% dei voti contro il 36% che, pur essendo una sconfitta è comunque un risultato di tutto rilievo in uno Stato del tutto dominato dai bianchi come il New Hampshire. Lato repubblicano, invece, i risultati delle primarie hanno confermato i sondaggi: Mc Cain ha ottenuto una relativamente ampia vittoria con il 37% dei voti, contro il suo principale rivale Romney al 32%. Da notare il risultato pessimo dell'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani che si è fermato solo al 9%, poco sopra l'8% andato al candidato anti-guerra Ron Paul. Il risultato è dunque che i giochi sono tornati aperti in entrambi i partiti e non vi è nessun chiaro front-runner per la nomination alla candidatura presidenziale. In particolare, Obama, che sperava di montare il vento favorevole subito dopo la vittoria in Iowa, si è trovato di fronte una macchina elettorale ben organizzata e soprattutto, come abbiamo detto, il voto delle donne che è andato, in gran parte, a favore della Clinton. Per quest'ultima invece si è trattato dell'occasione della vita, visto che se avesse perso anche in New Hampshire le sue possibilità di ottenere la nomination finale si sarebbero alquanto ridotte. C'è invece l'incognita Edwards che, pur arrivato al terzo posto e senza nessuna possibilità di ottenere la nomination, ha promesso di rimanere ancora in gara. Ma sarà vero? O alla fine Edwards dirà ai suoi supporters di votare per uno dei due candidati principali (molto probabilmente Obama)? Certo che, considerando il fatto che Edwards in entrambi gli Stati in cui si è votato ora (Iowa e New Hampshire) ha raccolto tra il 15% ed il 20% dei voti, un suo eventuale ritiro dalla competizione, con successivo schieramento a favore di uno o dell'altro candidato, potrebbe pesare parecchio.

In campo repubblicano invece, siamo ad una vittoria per uno. Se Mike Huckabee, il candidato degli evangelisti ha ottenuto la vittoria in Iowa, Mitt Romney, il suo arcinemico (arrivato secondo in Iowa e New Hampshire) ha ottenuto una vittoria "morale" nelle mini-primarie del Wyoming. Ma chi sembra, al momento, meglio piazzato per la nomination finale è John McCain che, effettivamente, è di gran lunga considerato come il più eleggibile ed il meglio piazzato per sfidare alle elezioni di novembre chiunque sia alla fine il candidato democratico. C'è comunque l'incognita Giuliani, che sembra aver puntato tutte le sue carte sugli Stati principali e sul Supermartedì, anche se, dopo le batoste in Iowa e New Hampshire, in cui ha preso meno del 10% dei voti, la sua strategia elettorale è veramente a rischio.

Di sicuro c’è che sono bastati due turni elettorali per far saltare tutte le previsioni. Una sfida che, alla vigilia, era prevista dover essere tra la Clinton e Giuliani, ora potrebbe vedere dei protagonisti ben diversi. Tra oggi ed il Supermartedì vi sono ancora le primarie in Nevada il 19 gennaio ed in South Carolina il 26 gennaio. Soprattutto in questo ultimo Stato vi è una forte minoranza nera, il che potrebbe favorire non poco Obama tra i democratici. Ma la situazione è talmente incerta in entrambi i partiti che potrebbe persino non bastare il Supermartedì per dare un responso definitivo. In ogni caso, già da ora, si tratta della più costosa campagna elettorale della storia americana. E più durerà il processo, maggiore sarà l'ammontare di denaro speso dai candidati. Una manna scesa dal cielo per i lobbysti delle principali compagnie americane che son pronti ad appoggiare l'uno o l'altro candidato in cambio di "adeguate" ricompense...

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