di Bianca Cerri

Per gente pragmatica e poco amante della mondanità come quella del New Hampshire il caos delle primarie è una specie di influenza a scadenza quadriennale contro la quale con si può fare nulla, bisogna starsene a letto in attesa che passi. In genere, la percentuale dei votanti raggiunge a malapena il 40%, gli altri si chiudono in casa o nei bar e parlano di altri argomenti. Il NH appartiene geograficamente al New England, dove il clima freddo non pregiudica la vita sociale degli abitanti. Eppure, l’otto gennaio scorso, la percentuale dei votanti ha superato per la prima volta il 60%. Il crociato anti-gay e predicatore battista Mike Huckabee non è riuscito a bissare il successo dell’Iowa: la vittoria repubblicana se l’è aggiudicata John McCain, che aveva già trionfato in New Hampshire nel 2000. Molto deluso Barack Obama, arrivato dall’Iowa vestito come un hip-hopper e con l’aria sicura di chi sa che sta andando incontro ad un nuovo trionfo. Con sorpresa di tutti è stata invece Hillary Clinton ad aggiudicarsi il voto democratico. Apparsa frastornata durante un dibattito televisivo solo poche ore prima, tanto da abbandonarsi ad un pianto catartico davanti alle telecamere, l’ex first lady pare abbia ora recuperato qualche speranza. I media si sono gettati sul cedimento emotivo di Clinton come aquile su un agnello, arrivando a convocare degli esperti pur di capire come mai una donna tanto composta da far sospettare addirittura che sia rinchiusa all’interno di un’invisibile palla di vetro, abbia improvvisamente cambiato rotta, ma nessuno è riuscito a dare una spiegazione. Un grafologo ha timidamente avanzato l’ipotesi di uno stress dovuto ad una carenza ormonale, fenomeno per altro deducibile dalla firma della candidata democratica che tende a volgere verso il basso. Pensare che invece sarebbe bastato controllare le cronache del giorno per scoprire che il motivo della crisi era probabilmente legato alla notizia della condanna a sedici anni di carcere appena inflitta a Norman Hsu, uno dei principali finanziatori della campagna elettorale dell’ex-first lady. L’uomo, che si spacciava per banchiere, era in realtà un truffatore da operetta che sperava di assicurarsi un posto d’onore nei circoli politici di Washington versando milioni di dollari di dubbia provenienza al partito democratico in generale e ad Hillary in particolare. Costretto a darsi alla macchia in seguito ad un’inchiesta del New York Times era rimasto latitante fino allo scorso mese di settembre, quando la polizia lo aveva arrestato su un treno diretto verso il Colorado. Non è escluso che i Clinton possano trovarsi tra poco nell’imbarazzante posizione di dover spiegare perché abbiano mantenuto rapporti con un personaggio ricercato in tutta l’America per tutta la durata della sua latitanza..

Come se l’affare Hsu non bastasse, alla cena offerta dal partito democratico in New Hampshire, Hillary era stata sonoramente fischiata davanti a tremila persone. Furioso per la mancanza di rispetto nei confronti della moglie, Bill se l’è presa con i giornalisti, accusandolo di averle sabotato la campagna elettorale. E’ volata qualche parola di troppo e i giornalisti hanno accusato a loro volta l’ex-presidente di essere meno affidabile dei coloni che truffarono gli indiani prendendosi Manhattan in cambio di una manciata di perline. Per fortuna la calma è stata ripristinata dalle lacrime di Hillary, che dopo la vittoria ha subito ripreso il controllo di sé.

La sfida elettorale riprenderà il 15 gennaio in Michigan, “la terra delle belle acque”, altra chiave di volta della corsa verso la Casa Bianca. Intanto la campagna va avanti tra coreografie dei media, pronostici e vacue considerazioni. Meglio la moderata neutralità di Obama o l’amabile populismo stile Bob Kennedy di John Edwards? Riuscirà Bill Clinton a tenere chiusa la patta dei pantaloni fino al quattro novembre? C’è molta differenza tra un presidente nero e uomo e un presidente bianco e donna? Ai candidati piace di più il chewing con lo zucchero o quello senza?Rassegniamoci perché l’andazzo è questo. Fino al prossimo quattro novembre i giornalisti tireranno fuori le coreografie più incredibili pur di evitare gli argomenti concreti.

Mentre la carovana elettorale viaggia verso il Michigan, George Bush è andato in Israele per rassicurare gli amici israeliani che anche senza di lui potranno stare tranquilli. Tutti i candidati alla presidenza, a prescindere dal colore politico, prenderanno a calci la parola cambiamento per la quale i media sembrano avere una vera e propria ossessione.

Barack Obama, ad esempio, non fa che parlare di cambiamento, ma ha già dichiarato che se sarà eletto avvierà un piano di pace in Medio Oriente senza intaccare la sovranità di Israele. Il senatore dell’Illinois, che oggi appare come l’uomo nuovo della politica americana, ha già chiamato accanto a sé consiglieri come Anthony Lake, uno dei principali artefici della tragedia del popolo di Haiti, che sapranno insegnargli come si comporta un buon presidente degli Stati Uniti. Quanto ad Hillary, con un marito due volte presidente e
un esercito di avvocati, lobbisti e burocrati di varia estrazione tra le conoscenze di famiglia, conosce già tutti i segreti della politica estera.

Intanto, il quattro gennaio scorso, senza che gli americani se ne accorgessero, un tribunale ha mandato assolti i marines che assassinarono a sangue freddo 25 civili nella città irachena di Haditha. Per la verità neppure i candidati se ne sono accorti, così come pare non si siano accorti della distruzione dei nastri della CIA che mostravano l’uso della tortura sui prigionieri nelle mani degli Stati Uniti. Ossessionati dalla ricerca di fondi elettorali e di voti, hanno continuato la loro marcia come se nulla fosse. Forse aveva ragione quel saggio che disse “se sai di non valere nulla, vai a Washington, ti accoglieranno a braccia aperte !! Se sai di non valere nulla, avrai sicuramente successo”.

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