di Eugenio Roscini Vitali

In Iran le elezioni parlamentari del 14 marzo scorso hanno sancito la vittoria dei conservatori. Un successo annunciato che però non convince e che può fornire diverse chiavi di lettura, non ultima l’immagine di una società piena di contraddizioni, fortemente influenzata dalle pressioni esterne e dalla forte conflittualità interna, divisa tra legittimità popolare e religiosa, tra rivoluzione e riformismo. Ad uscire sconfitti da quest’ultima consultazione sono proprio i sostenitori dell’ex presidente Khatami che, con il 26% delle preferenze, segnano una delle peggiori performance della loro breve storia. Ma alle difficoltà del fronte moderato non corrisponde un trionfo altrettanto limpido della destra radicale e dal grande blocco dei conservatori iraniani; spuntano nuove correnti, nuove fazioni e nuove alleanze che in attesa delle presidenziali del 2009 affilano le armi tra i banchi del nuovo Majlis. Dal punto di vista numerico le elezioni legislative sono state segnate da tre fatti fondamentali: la limitata partecipazione dell’elettorato, pari al 57% degli avente diritto; il veto del Consiglio dei guardiani della rivoluzione sulle candidature; circa 2500 dei 7000 partecipanti esclusi, 1700 dei quali appartenenti alla corrente riformista; l’altissimo numero dei nuovi eletti: un’incognita per l’assetto del futuro Majlis. Sul fronte politico si è invece registrata la nuova centralità assunta dalla prima autorità della Repubblica islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, che ha ufficialmente dichiarato il suo sostegno ad Ali Larijani, ex capo negoziatore nucleare per l’Iran e paladino di una destra moderata. Anche questa volta Khamenei non ha comunque rinunciato al suo ruolo di Guida “politica” e per evitare un possibile rilancio socialista, che avrebbe facilmente raccolto consensi negli strati più poveri della società, ha escluso dalle consultazioni i partiti della sinistra islamica, il Mosharekat e i Mojaheddin della Repubblica Islamica.

Uno dei temi di maggiore interesse rimane comunque la crisi del movimento riformista. Sono passati poco più di dieci anni da quando Mohammad Khatami venne eletto presidente della Repubblica islamica, con una vittoria inequivocabile caratterizzata da una massiccia partecipazione e da un vantaggio schiacciante. L’inizio di un periodo da molti definito come una “seconda rivoluzione”. Il riformismo di Khatami si basava - e si basa tuttora - su concetti di pluralismo, sul dialogo tra civiltà, sul governo del popolo, sulla libera scelta; tutte tematiche che apparivano contrastanti con i principi a cui si era ispirata la fase post-rivoluzionaria iraniana, caratterizzata dal rafforzamento del potere attraverso l’espulsione di qualsiasi istanza contraria al movimento islamico e al pensiero khomeinista. Ma il consenso della sinistra e della destra moderata, delle donne, degli studenti e di parte del clero, resero possibile l’inizio di questa avventura.

Un programma difficile da attuare, sospeso tra l’identità culturale e storica della nazione e una progressiva apertura alla modernizzazione, appesantito dalla disastrosa situazione finanziaria in cui versava il Paese e da un parlamento ancora controllato dai conservatori; un programma che avrebbe avuto bisogno di tempo per mettere radici. Una presidenza durata otto anni, espressione di un forte coinvolgimento popolare e di un grande desiderio di cambiamento, lungo la sua strada si imbatte però nel tragico evento dell’11 settembre 2001. E’ proprio questo il momento di svolta che segna l’inizio del declino del riformismo di Khatami. L’azione militare messa in atto dagli Stati Uniti in Medio Oriente, l’invasione dell’Afghanistan, la guerra irachena, le basi in Azerbaijan e Uzbekistan e l’inserimento dell’Iran nella lista dei paesi canaglia permettono il rilancio dell’ala più radicale della destra iraniana. Alla crescente retorica belligerante della Casa Bianca fa eco la prosopopea anti-occidentale dei conservatori oltranzisti, la leva che verrà usata da Ahmadinejad per trascinare l’Iran nella spirale del muro contro muro con Washington.

E’ proprio il voltafaccia occidentale a segnare il declino del riformismo ed è la politica dei falchi americani a preparare il terreno al successo di Ahmadinejad, che dall’isolamento imposto all’Iran trae l’energia necessaria per rafforzare la sua posizione interna. L’intransigente pulsione rivoluzionaria dei radicali e l’immobilismo dei conservatori religiosi fanno il resto: la nuova leadership mette in piedi un meccanismo legislativo tale da penalizzare in modo determinante i seguaci di Khatami. Il risultato elettorale del 14 marzo non equivale comunque alla definitiva sconfitta e, se è vero che con il 26% non è possibile governare, è altrettanto vero che le elezioni presidenziali del 2009 sono tutta un’altra cosa, altre alleanze, altri personaggi. Nonostante la vittoria, il fronte fedele ad Ahmadinejad è sempre più isolato e il presidente è ormai costretto a fare i conti con un paese scontento, dove i pochi ricchi sono sempre più ricchi e i tanti poveri sono sempre più poveri, dove la provincia e la periferia sono sempre più lontane dalle stanze del potere.

Per riuscire a percepire l’attuale situazione in cui versa il paese basta analizzare le due facce della capitale. La zona nord di Teheran con le sue boutique, le gioiellerie e i lussuosi alberghi, i centri commerciali e le catene di fast food; appartamenti da un milione di dollari, Mercedes, grattacieli di vetro e acciaio dove il regime è invisibile, dove la gente non vota perché i suoi interessi sono completamente slegati dalla politica; Shahrivar, quartiere povero nel sud della capitale, offre invece baracche e vecchi fabbricati, affitti astronomici e bassi stipendi, inflazione, disoccupazione e disperazione. Sicuramente è questo il vero volto della Repubblica islamica, dove la speranza è un lusso che molti non possono permettersi, dove la gente non va a votare perché si sente tradita e abbandonata, ingannata da quel presidente che tre anni prima aveva promesso dignità e benessere, ma che invece ha saputo solo dare retorica e ideologia, cose con la quali è impossibile sbarcare il lunario e sognare un domani migliore.

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