di Eugenio Roscini Vitali

Nel nostro mondo sono tanti i popoli a rischio, comunità religiose, razze indigene, gruppi etnici più o meno conosciuti che rischiano ogni giorno di scomparire, che ogni giorno subiscono crudeltà di ogni genere, prepotenze e maltrattamenti che puntano all’annientamento dei diritti umani e alla morte demografica. Aberranti e sistematiche violenze che si trasformano spesso in genocidio, termine coniato da Raphael Lemkin, nel 1944, che definisce in modo inequivocabile questo agghiacciante fenomeno: azione o piano coordinato che mira alla distruzione, in tutto o in parte, di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso e che ha come obbiettivo la disintegrazione delle istituzioni politiche, sociali, culturali, linguistiche ed economiche di tale gruppo, che ne cancella il diritto alla fede, alla sicurezza personale, alla libertà, alla salute, alla dignità e in alcuni casi alla vita stessa. I casi di genocidio di cui si parla più spesso sono quelli che hanno sull’opinione pubblica un impatto culturale, sociale ed economico più rilevante, che hanno raggiunto dimensioni devastanti e che hanno il riconoscimento unanime della comunità internazionale: l’olocausto degli ebrei europei, la deportazione degli armeni, la carestia pianificata in Ucraina, la coercizione politica in Cambogia, il massacro dei Tutsi in Ruanda, la ridefinizione etnonazionalista della Bosnia e lo sterminio dei curdi iracheni. Ci sono drammi che invece stanno assumendo o che possono assumere le dimensioni di genocidio: la violazioni dei diritti umani in Darfur, le uccisioni di massa nella Repubblica Centrafricana, in Uganda, in Kenia, in Somalia, in Tibet. Esistono poi vicende meno note che comunque rientrano nello schema di un piano coordinato che mira alla distruzione di un popolo; sono senza dubbio tragedie spaventose alle quali non si può voltare le spalle ma che la stampa spesso dimentica.

Tra coloro che ogni giorno devono affrontare l’indifferenza del mondo ci sono i sahrawi, la popolazione autoctona del Sahara Occidentale che da oltre trent’anni vive tra le dune di Tindouf, nel deserto algerino, dove si è rifugiata per sfuggire alla soverchiante occupazione militare marocchina. La tragica situazione dei sahrawi, iniziata con l’arabizzazione delle tribù berbere e con l’espansione del Regno marocchino, si aggrava con la Conferenza di Berlino del 1884-1885, l’accordo sottoscritto dalle potenze imperialiste europee con il quale viene regolata la colonizzazione del continente africano. Il Sahara Occidentale, fino ad allora sottoposto al controllo della dinastia Alawita, è assegnato alla Spagna che da inizio allo sfruttamento dei ricchi giacimenti di fosfati e lo trasforma in una vera e propria miniera d’oro. Il 14 dicembre 1960 le Nazioni Unite decidono però di riconosce alle popolazioni colonizzate il diritto all'indipendenza e tre anni dopo il Sahara Occidentale viene incluso nell'elenco dei paesi da decolonizzare; nel 1965 l'Assemblea Generale invita Madrid ad abbandonare i distretti di Saguia el-Hamra e Rio de Oro, fino ad allora conosciuti con il nome di Sahara Spagnolo.

Affinché il nuovo Stato possa nascere é però necessario un referendum, attraverso il quale il popolo sahrawi deve esprimere la propria volontà all’autodeterminazione; consultazione popolare mai organizzata a causa dell’opposizione di Rabat che considera la regione parte integrante del Marocco. E’ nel 1975 che accade un fatto determinante per il futuro del Sahara Occidentale: mentre la Spagna è impegnata nel ritiro delle truppe il Marocco da inizio ad un’operazione militare in vasta scala e il 31 ottobre dello stesso anno 25 mila soldati attraversano il confine. Nonostante l’Onu abbia riconfermato il diritto del popolo sahrawi all’autodeterminazione il 6 novembre Re Hassan II lancia la "marcia verde", con 350 mila marocchini occupano il distretto di Saguia el-Hamra. Stessa cosa a sud dove l’esercito mauritano entra nel Rio de Oro e si assicura il controllo della provincia. La doppia invasione impedisce di fatto l’effettuazione del referendum e il 14 novembre 1975, a Madrid, Marocco, Mauritania e Spagna siglano l’accordo sulla spartizione del Sahara Occidentale.

Le prime azioni di resistenza contro la colonizzazione delle regione risalgono ai primi anni del XX secolo, quando sahrawi e marocchini danno vita ad una alleanza e uniti sotto una sola bandiera combattono contro le truppe spagnole e francesi. Sconfitti a Marrakesh e Smara, la città sahrawi distrutta nel 1913 e nel 1934 dalle truppe francesi mehariste provenienti dalla Mauritania, i ribelli non si arrendono e continuano la loro guerra fino al 1940, anno in cui i francesi organizzano l'armata di resistenza in Africa alla quale partecipano anche truppe marocchine. Dopo essersi staccata dalla Francia, Rabat continua comunque a sostenere il popolo sahrawi e tra il 1957 e il 1958 entra in guerra contro la Spagna. Il conflitto, ricordato con il nome di Guerra dimenticata, la Guerra Olvidada, termina con la repressione della rivolta organizzata dai sahrawi nel distretto di Saguia el-Hamra e con il fallito assedio di Sidi Ifni, città rimasta nelle mani dell’esercito di Franco anche dopo il riconoscimento franco-spagnolo dell'indipendenza del Marocco (1956).

Nel 1967, Muhammad Bassirim, maestro coranico di Smara, fonda il Movimento di liberazione del Sahara (Harakat Tahrir). L’obbiettivo è quello di ottenere in modo pacifico l’autodeterminazione, ma il regime Franchista non sembra essere disposto al dialogo. Il 17 giugno 1970, a El-Aaiun, la popolazione scende in piazza per rivendicare i propri diritti; l’intervento dell’esercito spagnolo, che non esita a sparare sulla folla, scatena l'Intifada di Zemla. La rivolta, pianificata dai capi di Harakat Tahrir, si conclude con la morte di diversi dimostranti e con l’arresto di gran parte del gruppo dirigente del movimento. Nelle carceri spagnole finisce anche Muhammad Bassirim che dal quel giorno scomparirà nel nulla. I sahrawi non si arrendono e il 10 maggio 1973 fondano il Fronte Polisario, abbreviazione spagnola di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro.

A differenza del Harakat Tahrir, il Polisario è sia una movimento politico che una formazione militare e sin da subito organizza azioni di guerriglia contro le forze di occupazione, prima spagnole e poi marocchine e mauritane. Nel 1975 l’esercito di Rabat non esita a fare uso di bombe al napalm, sia contro i ribelli che contro la popolazione civile, e questo costringe gran parte della popolazione a ritirarsi nelle oasi di Tindouf, nell'Algeria occidentale. Il 27 febbraio 1976 il Polisario proclama formalmente la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (Rasd), riconosciuta da 76 stati, principalmente africani e sudamericani, dall'Unione Africana, dall'Onu e dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aja, che nel 1976 riafferma con una sentenza il diritto all'autodeterminazione del popolo sahrawi. La costituzione della Rasd viene preceduta dalla battagli di Amgala, oasi situata a circa 300 chilometri dal confine con l’Algeria. A scontrarsi sono le truppe marocchine e i combattenti del Polisario che questa volta sono appoggiati da unità dell’esercito algerino. Questo, che è l’unico incidente che coinvolge direttamente i due grandi paesi magrebini, ufficializza la posizione di Algeri di fronte alla comunità internazionale.

In seguito al golpe militare che porta al governo una giunta militare guidata dal Colonnello Mustafa Ould Salek, nell’estate del 1978 la Mauritania rinunzia al conflitto e il 5 agosto 1979 ratifica con il Fronte Polisario un accordo di pace separato. Al ritiro delle truppe di Nouakchott corrisponde la contemporanea avanzata marocchina che per occupare la regione meridionale del Sahara Occidentale raddoppia il proprio sforzo bellico. Grazie all’appoggio politico degli Stati Uniti e al finanziamento dell’Arabia Saudita, Rabat riesce comunque a sostenere i costi della guerra e nell’agosto del 1980 inizia la costruzione di un muro di sabbia che mira a proteggere il territorio occupato e difendere le ricche miniere di fosfati dalle incursioni della guerriglia sahrawi. La sua costruzione termina nell’aprile del 1987: lungo 2720 chilometri e circondato da più di due milioni di mine, diventa una delle zone a più alta concentrazione di ordigni anti-uomo al mondo. I combattimenti continuano comunque fino al cessate il fuoco del 6 settembre 1991 e al contemporaneo intervento delle Nazioni Unite che nello stesso anno invia nel Sahara Occidentale la missione di pace MINURSO.

Con il passare degli anni la MINURSO, che ha come obbiettivo finale la corretta effettuazione del referendum di autoderminazione del popolo sahrawi, si rivelerà una delle più inutili missioni dell’Onu. A causa del reciproco intervento e dell’opposizione di entrambe le parti in causa la consultazione popolare, inizialmente fissata per il 1992, viene infatti rinviata più volte. Per lo stesso motivo nel 1997 fallisce l'accordo di Houston, con il quale la comunità internazionale cerca di trovare una soluzione negoziale al conflitto, e i due piani di pace dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, James Baker. Presentato nel 2001, il primo piano Baker viene rifiutato dal Polisario perché ritenuto insufficiente e dannoso per il popolo sahrawi: un’autonomia limitata e il controllo della sicurezza nazionale, della difesa e della politica estera lasciati nelle mani del governo marocchino, fatti che avrebbero trasformato il Sahara Occidentale in un protettorato. Stilato nel gennaio 2003, il secondo piano Baker è invece rigettato dal Marocco: presentato sia alle parti coinvolte che ai paesi confinanti, Algeria e Mauritania, prevede l’effettuazione del referendum per l’indipendenza.

L’insuccesso del secondo piano Baker, appoggiato dal Consiglio di Sicurezza con le Risoluzioni 1495 e 1541, viene sfruttato dal Marocco per lasciare che la crisi continui a rimanere in un perenne stato di immobilità. Nel 2007 Rabat, forte dell’alleanza con Washington nella Guerra Globale al Terrore, riesce a strappare il consenso delle Nazioni Unite: di fronte al Consiglio di Sicurezza i rappresentanti statunitensi definiscono le proposte di autonomia avanzate dal Marocco serie e credibili, posizione poi confermata dal voto unanime del Congresso. Intanto il “Sahara marocchino” è ancora una regione occupata; il popolo sahrawi è condannato a un'esistenza divisa e nelle città vige un regime di stretta sorveglianza. Chi non è fuggito oltre il muro è costretto ad assistere alla progressiva trasformazione della regione che grazie ad una tenace politica di colonizzazione sta lentamente entrando a far parte del Marocco. Sgravi fiscali e premi in denaro attirano ogni giorno nuovi coloni mentre i sahrawi che non si piegano all’apparato vengono isolati, emarginati e in alcuni casi ancora ferocemente perseguitati.

In questi giorni a New York stanno proseguendo i negoziati di pace iniziati nel giugno dello scorso anno e ai quali partecipano l’Algeria, la Mauritania, il Marocco e il Fronte Polisario. Ripresi dopo sette anni di silenzio, i colloqui, per i quali è prevista una quinta fase di incontri, sono la fotografia di una crisi difficilmente risolvibile: Rabat afferma che una vasta maggioranza del popolo sahrawi è a favore di un’autonomia parziale; i rappresentanti del Polisario insistono sul fatto che il referendum è l’unica soluzione percorribile. Uno dei maggiori fallimenti di questo ennesimo tentativo è il fatto che i principali protagonisti di questa vicenda sono consapevoli che non ci sono le condizioni per raggiungere un accordo, così come le Nazioni Unite sono coscienti della minaccia di un escalation militare nel caso in cui una delle parti dovesse lasciare il tavolo delle trattative.

Per ora il Sahara Occidentale rimane una questione irrisolta e nel migliore dei casi lo rimarrà ancora per parecchio tempo, almeno fino a quando le multinazionali continueranno a comprare fosfati dal Marocco, la comunità internazionale non riuscirà ad imporre l’unico strumento di democrazia diretta che consenta ai sahrawi di decidere sul proprio futuro e l’opinione pubblica non denuncerà questo ennesimo caso di colonizzazione demografica.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy