di Elena Ferrara

Arriva nella città santa il diavolo iraniano. Perché a questa conferenza mondiale sulla “Sicurezza alimentare” - indetta dalla Fao a Roma dal 3 al 5 giugno - si presenta, con tutti gli onori del caso, un personaggio del calibro di Mahmud Ahmadinejad, leader di Teheran. Invitato al pari degli altri capi di Stato e di governo a discutere dell’attuale situazione alimentare, del rialzo dei prezzi delle derrate e di come il cambiamento climatico incida sull’agricoltura e di come essa, a sua volta, possa contribuire a ridurne gli effetti. Temi di stretta attualità e di importanza globale. Ma sull’ordine del giorno pesa già il fardello ingombrante di questo iraniano (che rappresenta un paese complesso, contraddittorio e sfaccettato) che non cede perchè si batte contro i diktat americani e contro gli embarghi politici ed economici di un occidente spesso nemico dell’Islam. E così mentre l’obiettivo ufficiale del summit è quello di aiutare i paesi e la comunità internazionale a trovare soluzioni sostenibili mediante l’individuazione di politiche, strategie e programmi necessari per salvaguardare la sicurezza alimentare mondiale, il fatto stesso della presenza di Ahmadinejad diviene un test rilevante per molte diplomazie occidentali. Il punto centrale di tutta questa vicenda consiste nel prevedere e capire cosa dirà a Roma il leader iraniano che mostra di non rinunciare alle grandi cause ideologiche.

Intanto, per riferirsi all’Italia, c’è da registrare che l’ambigua equidistanza (per alcuni “equivicinanza”) della vecchia gestione Prodi-D’Alema, altalenante tra posizioni di democrazia e di fondamentalismo nei riguardi del Medio Oriente, è giunta al capolinea, anche perché nell’arena geopolitica iraniana sono apparsi nuovi elementi. Tutto fa pensare al fatto che l’obiettivo reale e di fondo della Repubblica islamica non sia tanto quello di distruggere (a parole…) Israele, ma assicurare la sopravvivenza del regime di Teheran. Di conseguenza Ahmadinejad potrebbe cogliere l’occasione del vertice della Fao per lasciare chiuso nel deposito della diplomazia il volto di un fondamentalismo fattosi regime. Potrebbe rinunciare a discorsi negazionistici (Shoah) e a tutte quelle avance politiche nei confronti del Libano, della Palestina e dell’Afghanistan.

Relegare poi nell’angolo le questioni nucleari tenendo conto che nel paese che lo ospita - l’Italia, appunto - la recente gestione diplomatica di D’Alema ha operato per attenuare molte pressioni che venivano dall’ovest e tutte contro l’Iran. Perché la preoccupazione centrale di Roma non era tanto nel trovarsi schierata sul fronte pro-islamico quanto nel trovarsi impantanata in quelle sanzioni che avrebbero danneggiato il nostro interscambio commerciale con Teheran. E in questo l’Italia si è distanziata - e di molto - da altri paesi europei i quali hanno invece fatto pesare sul piatto delle trattative con Ahmadinejad l’importanza dei rapporti economici: distinguendo pragmaticamente l’obiettivo dell’integrazione commerciale iraniana da quello della vigilanza sul tema dei diritti umani e del potenziale di minaccia globale che quel regime continua - secondo molte diplomazie europee - ad accumulare.

Frattini, nuovo responsabile degli Esteri, punta ora - nei confronti di Teheran - ad una politica estera pragmatica. Lo ha manifestato, a chiare lettere, intervenendo dalle colonne del quotidiano Il riformista. Accettando la proposta del giornale ad esprimere "contrarietà ad ogni forma di ingerenza negli affari interni degli Stati del vicino Oriente e di sostegno alle attività di gruppi armati che ostacolano l'attuazione di soluzioni pacifiche e consensuali in Libano e l'evolversi del processo di pace tra israeliani e palestinesi", il ministro ha voluto esprimere il suo "sostegno alla stigmatizzazione di ogni dichiarazione diretta a porre in discussione il diritto all'esistenza di Israele e di ogni affermazione volta a negare la realtà storica della Shoah".

Ma ha poi aggiunto che l’Italia "continuerà a perseguire, congiuntamente con i principali partner internazionali, una linea di fermezza e di trasparenza riguardo al programma nucleare iraniano, e al contempo ad appoggiare l'impegno negoziale posto in essere dall'Unione Europea e dall'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Javier Solana". Pragmatismo diplomatico, quindi, ed attesa nei confronti del vertice della Fao.

Su tutto grava poi l’eventualità di una tappa del presidente di Teheran nella sede dell’ateneo romano. Ma qui, dopo le violenze dei giorni scorsi, l’aria non è buona e i centri sociali - fanno notare gli uomini della sicurezza - potrebbero approfittate per creare nuovi disordini e scontri. Resta invece la visita oltretevere. Pur se all’ambasciata di Teheran presso la Santa Sede la notizia della richiesta dell’incontro con Benedetto XVI “al momento non viene né confermata né smentita”. E d’altronde nel gruppo della cinquantina di capi di Stato a Roma per il vertice Fao ci sarebbero sette-otto presidenti, tra i quali appunto Ahmadinejad, che avrebbero intenzione d’incontrare privatamente il Pontefice.

La cosa non manca però di creare qualche imbarazzo in Vaticano perchè - si dice - il Papa ha un calendario di incontri molto serrato ed è difficile inserire sette-otto udienze nel giro di appena due giorni, il periodo di tempo nel quale i capi di Stato si tratterranno a Roma. Intanto parte puntuale la protesta degli ebrei romani. La loro Comunità annuncia di essere pronta ad una “maratona oratoria davanti alla Fao”, nel momento in cui il presidente iraniano prenderà la parola.

E mentre l’assise della Fao a Roma fa nascere nuove polemiche, a Teheran esplode, per Ahmadinejad, una nuova bomba sociale. Perché nel paese continua l’attacco alla comunità Bahai: dopo gli arresti delle settimane scorse di sei di loro, accusati di “sovversione”, ora l’agenzia Fars annuncia la creazione di un’organizzazione che ha lo scopo di combattere il movimento, considerato eretico e perseguitato fin dalla rivoluzione islamica del 1979, sebbene il governo continui a sostenere che nel Paese tutti gli iraniani possono professare la loro fede e godere degli stessi diritti. L’ondata di arresti si sviluppa con perquisizioni e arresti di alcune famiglie di musulmani convertiti al cristianesimo.

Ma mentre in quest’ultimo caso l’accusa è di aver abbandonato l’islam, a proposito degli ultimi arresti di Bahai un portavoce governativo, Gholam-Hossein Elham, continua a negare qualsiasi rapporto con le convinzioni religiose degli imprigionati. La vicenda è tale da aver suscitato l’intervento di un personaggio di primissimo piano, il grande ayatollah Montazeri, il quale ha sostenuto che anche i Bahai hanno tutti i diritti che spettano ai cittadini iraniani. Dichiarazioni indirettamente contestate dalla Fars, che ha fatto parlare un “esperto”, secondo il quale “un vero grande ayatollah non si è mai compromesso con il culto Bahai” che, secondo lui, ha non precisati collegamenti con Israele. L’organizzazione anti-Bahai, della quale si annuncia la nascita, “vuole combattere apertamente le attività sotterranee” della comunità, che è la più grande minoranza religiosa dell’Iran, con circa 300mila fedeli. Come primo passo essa creerà un sito Internet e raccoglierà firme che condannano i complotti dei Bahai.

Ecco, quindi, che mentre il diavolo iraniano si presenta nel bianco palazzo della Fao, su Roma incombe l’arrivo di un altro diavolo ben più agguerrito e potente. Perché è già all’orizzonte il presidente degli Stati Uniti George W. Bush che farà tappa il 12 giugno a Palazzo Chigi per un faccia-a-faccia con Berlusconi e per un giro di colloqui con Napolitano per poi ricevere la benedizione papale. Trarre ora alcune considerazioni su tutte queste attività politiche e diplomatiche è presto. Certo è che ancora una volta l’evolversi della storia e dei rapporti interstatali conferma che tutti segnali che si evidenziano dimostrano che non si avanza in linea retta. E che c’è sempre un drammatico crescere della tensione che impone di stare all’erta.

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