di Michele Paris

Tra gli argomenti più interessanti che animeranno il dibattito estivo d’oltreoceano una volta stabilite ufficialmente le nomination in casa democratica e repubblicana, vi è quello della scelta del candidato alla vicepresidenza. Una decisione quella relativa al “running mate” spesso dettata da scelte di opportunità politica, altrettanto frequentemente disattese dall’esito delle presidenziali, che si presenta quest’anno particolarmente delicata alla luce sia dell’equilibrio che si preannuncia tra i due contendenti sia, soprattutto, delle debolezze alle quali John McCain e Barack Obama dovranno fare fronte nella battaglia a cui daranno vita da qui dall’Election Day. Se però il Senatore repubblicano ha già iniziato una serie di faccia a faccia con possibili candidati alla carica, lo staff di Obama dovrà necessariamente rinviare ogni mossa ufficiale in attesa della conclusione delle primarie che farà calare il sipario sulla estenuante sfida interna con Hillary Clinton per la nomination democratica. Ormai praticamente certo dell’investitura del suo Partito in vista della corsa alla Casa Bianca, il 46enne Senatore dell’Illinois ha però già provveduto a conferire l’incarico informale di svolgere i primi sondaggi per la stesura di un elenco preliminare di possibili candidati alla vice-presidenza a James A. Johnson, ex numero uno della società pubblica di finanziamento di ipoteche immobiliari Fanni Mae, nonché membro del consiglio di amministrazione di svariati colossi finanziari, tra cui la banca d’investimenti Goldman Sachs. Johnson ricopre un ruolo di primo piano nella campagna elettorale di Obama fin dallo scorso anno ed ha già avuto un simile incarico relativo a sondaggi di possibili aspiranti alla vicepresidenza nello staff dei candidati democratici Walter Mondale nel 1984 e John Kerry nel 2004.

Da parte sua McCain, nello scorso fine settimana ha ricevuto invece nel suo ranch di Sedona, in Arizona, tre papabili a ricoprire la carica di numero due, anche se i suoi assistenti hanno tenuto a chiarire che la scelta è ancora ben lontana dall’essere presa e la lista dei candidati in corso di valutazione è ben più lunga. Per un motivo o per l’altro tuttavia, i tre compagni di Partito incontrati nella sua residenza privata sembrano possedere dei requisiti importanti che li collocano verosimilmente tra i primi posti della lista di McCain. Tutti più giovani di quest’ultimo, che compirà 72 anni il prossimo mese di agosto, e accreditati di una fama di outsider riguardo agli ambienti di Washington, il governatore della Florida Charlie Crist, della Louisiana Bobby Jindal e l’ex candidato alla nomination repubblicana Mitt Romney potrebbero bilanciare i problemi legati all’età di McCain e ai suoi 22 anni di attività al Senato.

Romney in particolare avrebbe la capacità di attrarre i consensi dell’establishment del “G.O.P Party”, del quale era il favorito nelle prime fasi delle primarie ad inizio anno. Abile uomo d’affari, il miliardario mormone metterebbe inoltre in campo le sue notevoli capacità di raccolta fondi a favore della campagna elettorale di McCain influenzando verosimilmente anche l’esito del voto in Stati considerati in bilico nel confronto con i democratici come il Michigan, dove è nato, e il Massachussets, di cui è stato governatore. La capacità di essere decisivo in uno Stato in equilibrio tra i due Partiti è anche il pregio maggiore che può vantare Charlie Crist, il governatore della Florida dove nel 2000 si decise la sfida tra George W. Bush e Al Gore. Jindal invece, distintosi tra l’altro per il tentativo di bandire dalle scuole della Louisiana lo studio dell’evoluzionismo, con i suoi 36 anni potrebbe rappresentare un importante elemento di compensazione nei confronti del nuovo rappresentato dall’immagine di Barack Obama.

Sull’elenco di McCain, e su quelli ipotizzati dai media americani nelle ultime settimane, ci sono inoltre anche il rampante governatore del Minnesota Tom Pawlenty, figlio di un autotrasportatore e capofila dei modernizzatori dell’agonizzante Partito Repubblicano capace di connettersi con la parte più conservatrice della working-class americana, e l’ex parlamentare dell’Ohio Rob Portman, già a capo di importanti Commissioni legislative ed economiche sotto la presidenza di Bush padre e figlio. Se la scelta dovesse privilegiare invece un vicepresidente in grado di bilanciare la scarsa attitudine di McCain per l’economia, nonché una donna, le candidate principali sarebbero allora Carly Fiorina e Meg Whitman, rispettivamente ex amministratrici delegate di HP e eBay ed entrambe già impegnate nella campagna elettorale in corso. Da considerare, anche se più remote, le ipotesi dell’altro ex candidato alla nomination Mike Huckabee, già governatore dell’Arkansas che garantirebbe un’ampia fetta dell’elettorato evangelico visti i suoi precedenti di pastore, ma allo stesso tempo comprometterebbe il sostegno degli indipendenti, e Michael Steele, importante esponente repubblicano di colore.

I problemi che Obama dovrà affrontare in campagna elettorale hanno a che fare al contrario con la ancora relativamente scarsa conoscenza che la gran parte dei cittadini americani ha di lui e del suo programma politico e con la sua insufficiente esperienza politica accumulata in pochissimi anni di permanenza al Senato. Se resta lontana l’ipotesi di un “ticket” con la rivale Hillary Rodham Clinton, in questa direzione potrebbe andare però l’opzione dei navigati Joseph R. Biden jr., Senatore del Delaware e già candidato alla nomination democratica nel 2008, e Sam Nunn, uomo d’affari ed ex Senatore della Georgia. Il primo in particolare, oltre ad avere una solida esperienza in politica estera, proviene da una famiglia operaia di origine irlandese, un background cioè che potrebbe aiutare Obama nei confronti di una porzione di elettorato che lo ha trattato con diffidenza durante le primarie. Identiche credenziali possiede anche il Senatore della Virginia James Webb, ex repubblicano e Segretario alla Marina durante la presidenza Reagan con un significativo sostegno tra la working-class del suo Stato di provenienza.

Per sanare la frattura con l’elettorato femminile durante la corsa alla nomination con Hillary Clinton, Obama potrebbe poi optare per una donna come vice-presidente. Ecco allora spuntare i nomi delle governatrici del Kansas Kathleen Sebelius, 60enne di religione cattolica e nativa dell’Ohio, e dell’Arizona Janet Napolitano, 50enne newyorchese di nascita considerata un paio di anni fa come possibile candidata alla presidenza degli USA, o della Senatrice del Missouri Claire McCaskill, anch’essa come le due precedenti colleghe di Partito tra le prime a sostenere pubblicamente Obama nella sua corsa alla nomination. Con un occhio alla base clintoniana negli Stati dove Obama ha perso le primarie e con l’obiettivo dell’unità del Partito potrebbero invece avvenire scelte che comprendano il Senatore ed ex governatore dell’Indiana Evan Bayh oppure gli attuali governatori della Pennsylvania Edward G. Rendell e dell’Ohio Ted Strickland, tutti e tre schierati al fianco della ex First Lady durante questi mesi. La rosa dei candidati alla vicepresidenza democratica, almeno secondo i media, dovrebbe anche includere il Senatore repubblicano del Nebraska Chuck Hagel, in rotta da tempo con l’amministrazione Bush, e l’indipendente sindaco di New York Michael Bloomberg.

La scelta del “running mate” nelle presidenziali statunitensi è stata fatta molto spesso tenendo in considerazione una fetta di elettorato che esso avrebbe potuto influenzare nella sfida con il candidato dell’altro Partito o nella speranza di conquistare uno Stato importante nel quale l’aspirante presidente aveva mostrato qualche difficoltà durante le primarie. I precedenti tuttavia dimostrano come raramente ciò sia accaduto. Se è vero, ad esempio, che Lyndon Johnson contribuì in maniera decisiva nel 1961 alla conquista del Texas per il futuro presidente Kennedy, più recentemente la scelta di Jack Kemp nel 1996 non aiutò Bob Dole a vincere nello Stato di New York, né quella di John Edwards permise a Kerry nel 2004 di prevalere in North Carolina su Bush jr. Meglio affidarsi allora ad un compagno di viaggio più affidabile in vista dei successivi quattro anni di permanenza alla Casa Bianca le cui capacità possano contribuire non tanto all’elezione ma a governare con successo così da potersi assicurare la conferma per un secondo mandato.

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