di Carlo Benedetti

MOSCA. La capitale dell’Ossezia del Sud - Tskhivali - è in fiamme. Le truppe georgiane comandate dal presidente di Tbilissi Saakasvili attaccano su tutti i fronti. Bruciano gli ospedali, le scuole e i maggiori edifici pubblici. Ma le bombe cadono anche sulle abitazioni. Le vittime, secondo le prime informazioni diffuse a Mosca, sarebbero oltre mille. Si combatte nelle strade delle città e dei villaggi mentre il comando delle forze d’interposizione della Csi (Comunità di Stati indipendenti, l'organismo nato sulle ceneri dell'Urss) - per la stragrande maggioranza russe - viene attaccato dai militari georgiani. L’esercito ossetino non riesce a respingere l’offensiva scatenata da Tbilissi. Colonne di profughi, con auto e camion, cercano di raggiungere il confine russo per trovare rifugio nell’Ossezia del Nord. Il caos regna ovunque e le notizie che giungono dal fronte caucasico sono frammentarie e, spesso, anche contraddittorie. Alcuni fatti vengono strategicamente taciuti. Ma una cosa è certa: è guerra. E in Russia iniziano gli arruolamenti volontari per accorrere nell’Ossezia del Nord e raggiungere poi il Sud per combattere contro gli invasori georgiani. Si scatenano odi antichi che diventano fattori di ulteriori tensioni. Il governo dell’Ossezia del Sud, intanto, non cede di un millimetro e ribadisce la sua volontà di staccarsi dalla Georgia e ottenere una completa e reale autonomia. In pratica vuol passare dal processo di autodeterminazione al riconoscimento ufficiale della Repubblica. La situazione (che si caratterizza con un gorgo di conflitti nazionalistici) ricorda a tutti quella della Cecenia. Ma qui c’è già una istituzione autoproclamata che ha tutte le caratteristiche di una nazione autonoma.

Mosca, per ora, non si pronuncia sulle questioni di natura istituzionale e diplomatica. Punta a difendere l’integrità del suo territorio di confine (quello dell’Ossezia del Nord) e ad impedire che nella zona del sud i georgiani diano il via ad azioni di pulizia etnica. Sono queste le posizioni espresse da Putin (che si trova a Pechino per le olimpiadi e che ha parlato dell’Ossezia con Bush) e da Medvedev che, in diretta tv dal Cremlino, afferma che “la Russia fornirà risposte adeguate alla Georgia” e sottolinea che "non abbandoneremo i nostri concittadini: i colpevoli saranno castigati come meritano".

E’ chiaro che Mosca (pur tenendosi a volte nel vago se non bell’ambiguità del linguaggio diplomatico) si prepara a passare dalle parole alle armi per difendere la popolazione russa che abita nell’Ossezia. E mentre le unità di crisi della Difesa e degli Esteri sono al lavoro studiando soluzioni per una trattativa globale, l’intera vicenda assume il carattere di una emergenza politica nazionale. Con il presidente della Duma di Stato, Boris Gryzlov, il quale ammonisce che la Russia "non si asterrà dalle misure operative su vasta scala per proteggere i connazionali presenti nella regione".

A Mosca arrivano anche segnali dagli Usa con la proposta della fine immediata dei combattimenti nell'Ossezia del Sud, invitando all'apertura di negoziati diretti tra i belligeranti. "Noi chiediamo che le violenze cessino immediatamente e che le parti avviino negoziati diretti", dice il portavoce della Casa Bianca, Gordon Johndroe, che si trova al seguito del presidente Bush, a Pechino. Ma a Mosca come a Tskhivali si sa bene che il limite di guardia è stato superato, dal momento che il capo della Georgia - Saakasvili - è un uomo di Washington. Segue i diktat della Casa Bianca, del Pentagono e della Cia. Riceve fondi ed armi dall’amministrazione statunitense ed ha come compito principale quello di fare della Georgia una fortezza americana nel cuore del Caucaso.

In questo contesto non è difficile capire che il disegno degli geostrateghi americani sia proprio quello di favorire sempre più una destabilizzazione dei sistemi politici, capace di favorire l’ingresso nella NATO dei due Stati che hanno sbocchi sul Mar Nero: Ucraina e Georgia. L’obiettivo, infatti, consiste nel trasformare il Mar Nero in un lago della Nato spodestando, di fatto, la Russia dai suoi storici territori in Europa.

Tutto ciò dovrebbe servire a tre scopi: proteggere le forniture energetiche ponendole sotto il controllo delle holding dell’Ovest; agevolare la “democratizzazione” e cioè l’occidentalizzazione totale di quello che nelle mire di Washington dovrebbe essere un “Grande Medio Oriente”, da Casablanca a Kabul. Non solo, ma il piano statunitense tende anche ad infliggere una decisiva sconfitta geostrategica alla Russia. Questi fini spiegano il sostegno occidentale al filoamericano e filo-Nato Viktor Yushchenko in Ucraina. E soprattutto spiegano la determinazione del governo georgiano-americano a riprendere il controllo delle sue due province separatiste, Abchazia ed Ossezia meridionale.

Intanto l’Unione europea chiede alle parti in causa di fermare le violenze. Anche l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) esprime la sua "seria preoccupazione" per le violenze nella provincia dell'Ossezia del Sud e lancia un appello alle parti in conflitto perché trovino una soluzione. Dal canto suo il ministro degli Esteri finlandese, Alexander Stubb, attuale presidente dell'Osce, dichiara di essersi messo in contatto con Tbilissi e Tskhinvali e di aver invitato le due parti a incontrarsi il prima possibile a Helsinki: "La situazione nella zona del conflitto è estremamente tesa e si impone un calo immediato della tensione" precisa Stubb.

Si fa sentire anche il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, il quale lancia un appello per la "fine immediata degli scontri armati" e l'apertura di "discussioni dirette". Dimentica ovviamente che le colpe del conflitto vanno ricercate anche nell’arroganza della Nato, che non vuole consentire ad una “parte” della Georgia di scegliere la via dell’autonomia.

E mentre dal Caucaso continuano ad arrivare notizie di scontri e di lutti, Putin da Pechino fa sentire ancora una volta la sua voce: "Ci dispiace - dice - che oggi, proprio nella giornata dell’inaugurazione delle Olimpiadi, i dirigenti georgiani abbiano intrapreso le azioni aggressive nei confronti dell’Ossezia del Sud, anche se sin dai tempi antichi nel periodo dei Giochi Olimpici le guerre venivano sospese. Di fatto la Georgia ha scatenato le azioni militari con l’uso dei mezzi bellici pesanti. Si lamentano vittime e feriti anche tra le forze di pace russe”.

Non mancheranno “nostre misure di ritorsione": è l’annuncio che il primo ministro russo fa alla radio che continua a trasmettere le tragiche notizie del Caucaso, mentre nella centrale piazza Smolensk di Mosca - dove si trova il palazzone del ministero degli Esteri - gli ossetini che vivono nella capitale danno vita a meeting di protesta. Chiedono l’intervento della “Madre Russia”. Ed è chiaro che oggi inizia il momento della verità per Medvedev e Putin. Perchè questa attuale - senza voler essere catastrofici - può essere considerata come una guerra degli Usa (tramite l’alleata Georgia) contro la Russia.

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