di Carlo Benedetti


MOSCA. La pace del Caucaso - dicono cinicamente a Mosca - è quella della guerra. E il riferimento d’obbligo è alla Cecenia che ha visto e vede ancora gli stessi scenari che arrivano oggi dalle due Ossezie divise tra Georgia e Russia. Con i bollettini dal nuovo fronte caucasico che sono impressionanti: cresce la tensione in tutto il teatro ossetino, i georgiani sparano a tappeto e con i loro aerei colpiscono ogni villaggio, Tbilissi attacca i separatisti e attua forme di genocidio e di pulizia etnica, le vittime sarebbero già 1400 mentre il leader georgiano Saakasvili si difende dicendo che il suo paese reagisce alle “provocazioni” del Nord. Da Mosca Medvedev, Putin e il ministro degli Esteri Lavrov giustificano l’invio di caccia e reparti blindati sostenendo che la Russia deve difendere i suoi peacekeeper e i connazionali. Parte intanto una missione congiunta Usa-Ue ma è allarme sul fronte energetico perchè a rischio c’è un milione di barili di greggio. E le fiamme del Caucaso avanzano di minuto in minuto. La televisione russa trasmette senza soste intervistando tutti gli esponenti politici e tutti i dirigenti del Cremlino.
In Russia molti dicono che sembra di essere tornati ai tempi della seconda guerra mondiale quando la popolazione restava incollata alla radio per sentire i comunicati sull’attività del fronte. Non si è, certo, al panico, ma a Tbilissi il governo ha decretato lo stato d’assedio e la gente fa incetta di pane. Si corre nei rifugi sotterranei e le fonti ufficiali continuano a parlre di una prossima invasione russa. Viene alimentata ad arte la paura di una guerra globale. Ma una cosa è certa: la guerra è qui, ai confini. A ricordarlo ci sono le bare di zinco che arrivano negli aeroporti militari e le centinaia di carri armati che sferragliano per le arterie che vanno verso Zchikvali.

Stesse visioni al Nord, nella Russia di Vladikavkas. Qui fanno base le truppe corazzate russe pronte sempre a mettere in moto i loro tank per correre in soccorso alle popolazioni dell’Ossezia del Sud che sono - a grande maggioranza - di origine russa o, addirittura, hanno la cittadinanza russa. La situazione è anche aggravata da alcuni “fatti” inevitabili che aumentano di ora in ora. Perchè nelle zone del Nord stanno arrivando i primi convogli di volontari. Sono giovani ed anziani, parenti degli ossetini che giungono da ogni parte del Paese. C’è una sorta di tam-tam che risveglia i sentimenti patriottici ed alimenta il nazionalismo. Si è in presenza di una vera e propria azione partigiana che il Cremlino non riesce più ad arginare. E a muoversi è anche la comunità Cosacca che annunciato che molte centinaia di uomini (“terroristi” secondo Tbilissi) sono già in marcia pronti a proteggere l'autoprocalamatasi repubblica. E tutti sanno che questi leggendari uomini un tempo fedeli alla Russia zarista sono già armati e decisi a tutto. In pratica una sorta di Gurka in versione caucasica...

In sintesi, questa è la mappa del teatro di guerra.
GEORGIA. Con i suoi 70.000 chilometri quadrati ed una popolazione complessiva di circa sei milioni di abitanti è la terra che ha dato i natali a Josif Stalin e a tanti altri personaggi della vita sociale di quella che un tempo era l’Unione Sovietica. Tutti ricordano questa terra caucasica come luogo di villeggiatura ideale, ma oggi è una regione devastata da conflitti, guerre e pulizie etniche. Ha sopportato l’arroganza di un poliziotto come Schevardnadze (uno dei distruttori dell’Urss) ed ora - tra spinte nazionaliste e ondate di separatismo - si trova dominata da un reazionario filo-americano di nome Michail Saakasvili. E’ lui che, traghettando il Paese nella Nato e negli Usa di Bush, sviluppa una dura campagna di odio antirusso. Ha già effettuato una svolta economica in direzione dell’Ovest scavalcando il monopolio della Russia per portare il greggio dal Mar Caspio verso i mercati occidentali. Ma proprio mentre si delinea una politica tutta filo-americana, la Georgia vede esplodere nazionalismi e movimenti di secessione. E’ il caso di due regioni, come Abchazia e l'Ossezia del sud, che si sono autoproclamate indipendenti a prezzo di sanguinose guerre interetniche e che godono di un più o meno tacito sostegno di Mosca nella difesa della loro autonomia.

LE DUE OSSEZIE. Quella del Nord si trova ufficialmente integrata nella Repubblica federativa Russa. La sua capitale è Vladikavkaz. E in questa regione di confine (con la Georgia ossetina) si trovano la maggior parte delle basi militari russe nella regione del Caucaso e il paese - forse anche per questo motivo - è stato suo malgrado coinvolto e vittima del conflitto tra la Russia e la Cecenia, con la tragedia del 2004 dei bambini di Beslan. Gli osseti, intanto, accusano la minoranza musulmana inguscia di alimentare il terrorismo nella regione.

Il Sud, invece, è territorio georgiano (3900 Km2) con circa 75mila abitanti di cui il 68% osseti, il 25% georgiani e il resto russi. La capitale è Zchikvali (42mila abitanti) che sino al 1961 era chiamata Staliniri in onore, appunto, del conterraneo Stalin. La svolta separatista ufficiale si è avuta nel 2006 quando alle elezioni presidenziali vinse il candidato secessionista Eduard Kokojty (che in un messaggio alla Duma di Mosca chiese l’annessione alla Russia) contro il filo-georgiano Dmitrij Sanakoev.

GLI UOMINI DEL CONFLITTO. Le più grandi responsabilità di questa guerra ricadono sul dittatore di Tbilissi, Michail Saakasvili. Siamo qui in presenza di un reazionario che si è messo al servizio degli Usa. Un personaggio sempre considerato dall’Occidente come un paladino dei valori democratici. Ma che con i suoi metodi repressivi, ha ampiamente disatteso le promesse di democrazia di cui si era fatto garante. Il suo obiettivo politico è di portare la Georgia nel bacino americano, nella Nato e nel campo di quelle forze che si oppongono alla Russia. Il vero regista dell’intera operazione caucasica è, comunque, il presidente americano Bush. E’ lui che appoggia la Georgia del dittatore Saakasvili.


Diversa la posizione del presidente dell'Ossezia del Sud, Eduard Kokoity. Un personaggio che si trova a gestire la difficile situazione del suo paese dove la spinta all’autonomia da Tbilissi cresce di giorno in giorno. E che ora è favorita anche dalla pulizia etnica delle truppe di Saakasvili. Kokoity denuncia l'uccisione di "centinaia di civili" nell'operazione militare delle forze georgiane a Tskhinvali. Nel definire l'azione in corso "un genocidio", Kokoity, afferma che "hanno perso la vita centinaia di abitanti pacifici". "Questi ultimi tragici eventi - accusa ancora il presidente - dovrebbero diventare l'ultimo passo verso il riconoscimento dell'indipendenza dell'Ossezia del Sud".

E nel contesto generale del conflitto nord-sud si staglia anche la figura di Putin già coinvolto nella guerra in Cecenia. Il leader russo giunge a Vladikavkas direttamente da Pechino per dire che l’intervento militare della Russia in Ossezia del Sud “dal punto di vista giuridico è del tutto fondato e legittimo, ma è anche necessario” per il ripristino della pace nella regione. Putin, accusa poi le autorità georgiane di “azioni criminali” e annuncia lo stanziamento di 500 milioni di rubli aggiuntivi per aiutare l’Ossezia del Sud, dove è in corso “una catastrofe umanitaria”.

Intanto a Mosca il difensore dei diritti civili, Vladimir Lukin chiede alla società mondiale che venga formato al più presto un Tribunale chiamato a giudicare i criminali che in Georgia hanno ordinato il genocidio degli ossetini. Ma in attesa del giorno del giudizio Tbilissi continua a sparare, mentre la Russia si vede costretta - dalle dure leggi della diplomazia e della realpolitik - ad assistere a questa tragedia caucasica. Ma è anche vero che la domanda che circola a Mosca è questa: sino a quando?

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