di Carlo Benedetti

MOSCA. Soffiano venti di guerra anche nelle gole abchase del Kodorskje (quelle che portano ancora i segni dell’antico regno della Colchide) perchè la dirigenza russa - Putin in testa - si dichiara sempre più pronta a sostenere le rivendicazioni separatiste dell’Abkhazia del presidente Sergej Bagapsh. E così anche questa fetta di territorio compreso nella Georgia (8.600 km² nell'estrema parte occidentale, sulla costa del Mar Nero, con 600mila abitanti) torna al centro del conflitto caucasico: cede alla logica delle circostanze e riapre il “contenzioso” con il potere del georgiano Saakasvili ormai bollato dal Cremlino come il responsabile del genocidio degli ossetini. Tutto era in qualche modo annunciato, ma ora si scopre che sta avvenendo secondo piani già ben prestabiliti, perchè il potere locale - quello che opera nella capitale Sukumi, città segnata da una presenza genovese nel XII secolo - alza il tiro contro Tbilissi dopo che, nel 1992, forte dell'appoggio di Mosca, aveva unilateralmente proclamato la propria indipendenza. Il conflitto armato scoppiato allora con Tbilisi aveva provocato migliaia di morti. E la pace successiva nella repubblica separatista era stata possibile solo grazie alla presenza dei soldati russi. Ma ora è la guerra dell’Ossezia che riapre i problemi e che, soprattutto, allarma gli abchasi. I quali - sostenitori dell’intransigenza più radicale - temono un blitz georgiano del tipo di quello effettuato contro Tsinkvali.

Ed ecco che Bagapsh - il falco che domina una Abchasia chiamata dalle popolazioni locali “terra dell’anima” - schiera in difesa della autonomia locale il piccolo esercito di 6000 soldati (vanno aggiunti 20.000 uomini della riserva) dislocati in tutto il territorio e dotati di 85 mezzi corazzati leggeri e 50 carri armati pesanti del tipo “T-72”. Sukumi guarda anche al mare dove ha una piccola flotta con 5 corvette guardiacoste. E non manca l’aviazione militare con un “Mig-21”, due aerei da combattimento “Su-25” e una decina di “Mi-8”, “Jak-52” e “An-2”.

Ora, mentre la “nazione” si arma, si torna a parlare anche di quei partigiani abkhazi - quei "Fratelli dei Boschi" e delle "Legioni Bianche" - che massacrarono centinaia di georgiani residenti nella regione, e centinaia di migliaia furono costretti ad abbandonare i loro villaggi per fuggire in Georgia. Fu in quel periodo che la Russia post-sovietica non rimase neutrale nel conflitto, parteggiando per i separatisti abkhazi, al fine di impedire il progetto di Tbilissi di costruire - facendolo passare per l'Abkhazia - un metanodotto per portare sul Mar Nero il gas naturale del Mar Caspio. E fu poi nel settembre del '93 che i guerriglieri abkhazi, appoggiati da mercenari russi, conquistarono Sukumi, cacciando le forze georgiane dalla regione ed espellendo poi tutti i civili georgiani rimasti.

Nel '94 una forza di pace russa si stanziò al confine tra Abkhazia e Georgia per evitare scontri, sancendo così il dato di fatto. Alla fine del '94 l'Abkhazia si dotò poi di una Costituzione indipendente e di un Presidente della Repubblica, mai riconosciuto da Tbilisi. Nel '98 si riaccesero i combattimenti tra partigiani abkhazi ed esercito georgiano. A farne le spese, ancora una volta, furono i civili georgiani, uccisi a centinaia. Ora la situazione torna tesa e sembrano delinearsi all’orizzonte le minacce di una rivincita. Secondo Tbilisi la Russia, forte del recente successo ottenuto con la sua macchina militare, potrebbe riaccendere il conflitto con la scusante di bloccare l’escalation georgiana.

Ma Mosca, ovviamente, respinge questa interpretazione e denuncia - come fa Sukumi - la presenza di formazioni dell’esercito georgiano nelle "Gole di Kodorskje". Ed ecco che mentre le diplomazie sono al lavoro per calmare il teatro caucasico si apre la pagina abkhaza. Perchè il “cessate il fuoco” (quello previsto dal piano di pace europeo accettato da Mosca e da Tbilisi) non sembra consolidarsi in quanto le posizioni politiche sono troppo irrigidite e, in particolare, sembrano deteriorarsi sempre più le relazioni tra Russia e Stati Uniti. In questo contesto il presidente russo Dmitri Medvedev si mette all’opera e parla con i leader separatisti, l’abkhazo Bagapsh e il sudosseto Eduard Kokoity.

La Russia - dichiara il Capo del Cremlino - appoggerà qualsiasi decisione sullo status delle due Repubbliche che verrà presa dai loro popoli: "La posizione russa - dice - è immutabile: appoggeremo qualsiasi decisione che verrà presa dai popoli dell'Ossezia del sud e dell'Abkhazia in connessione con lo statuto dell'Onu, della convenzione internazionale del 1966 e dell'atto di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa". E non si tratta solo di questo perchè Medvedev aggiunge che la Russia "si farà garante sia nel Caucaso che nel mondo" delle decisioni dei due popoli secessionisti. Comunque sia, per ora, Bagapsh e Kokoity hanno firmato il piano di cessate il fuoco in sei punti concordato da Medvedev con il presidente francese e presidente di turno dell'Unione europea Nicolas Sarkozy e poi accettato anche dal presidente georgiano Saakashvili.

Non tutto, però, fila liscio. Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, torna a polemizzare con gli Stati Uniti, sostenendo - in un'intervista con l'emittente moscovita Radio Eco - che la Georgia "è un loro progetto" e che "per questo fanno pressione con tanto zelo sull'opinione pubblica mondiale". Lavrov si dice tranquillo in merito alle minacce d’isolamento internazionale rivolte a Mosca dagli Stati Uniti: "Non vedo come possano farlo - dichiara polemicamente - perchè ho già sentito minacce su veti al nostro ingresso nella Wto, ed è chiaro che non hanno comunque intenzione di accettarci”.

Lo scetticismo del russo Lavrov è poli alimentato dalle notizie che giungono da altri fronti diplomatici. Perchè ad allertare Mosca è anche la fretta con cui Washington e Varsavia hanno firmato l'accordo sullo scudo missilistico, che prevede l'installazione in Polonia di una batteria di missili intercettori. Tutto questo dimostra che il “sistema” è "diretto contro la Russia". E qui parole dure vengono al portavoce del Cremlino: "Evidentemente, visto il suo contenuto e la fretta, le condizioni in cui è stato firmato l'accordo dimostrano ancora una volta che questo progetto non ha alcun rapporto con la minaccia di missili iraniani”. Mosca risponde anche sull’intero territorio abkhazo, dove si procede alla dislocazione di truppe russe e si registra un’attività militare anche nelle acque del Mar Nero dove varie unità - compresa l’ammiraglia della flotta russa l’incrociatore missilistico “Moskva” - si trovano in stato di allerta. Un dettaglio, infine, che rivela però una precisa strategia moscovita: in Abkhazia le truppe russe sono comandate dal generale Vladimir Shamanov. Una vecchia conoscenza che si è fatto le ossa nelle operazioni in Cecenia.

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